Convento del Bosco ai Frati*** Superato il ponte sulla Sieve in direzione Scarperia, poco dopo il semaforo una stradella sulla sinistra, fra poderi e case coloniche di suggestiva bellezza porta in breve il Convento del Bosco ai Frati***. Fondato dagli Ubaldini prima del Mille, venne affidato ai frati Basiliani e poi, da questi abbandonato, fu definitivamente donato, assieme ad un considerevole appezzamento di terreno boschivo, a S. Francesco che, nel 1212 vi fondò uno dei più importanti monasteri francescani. Nel 1273 vi dimorò San Bonaventura, cui è intitolata la Chiesa, e che qui ricevette da Papa Gregorio X la porpora cardinalizia. Narra la leggenda (o forse qualcosa di più) che quando giunsero i dignitari papali egli stesse lavando i piatti del convento in una pila di pietra che viene tuttora mostrata ai visitatori come autentica. Interrotto il lavoro, con il suo grembiule stretto ai fianchi e le mani bagnate, si unì ai confratelli per farsi incontro al corteo e, al prelato giunto per consegnargli le insegne cardinalizie si rivolse pregandolo di pazientare finché non avesse terminato la rigovernatura e che, si liberasse pure della berretta rossa appendendola al ramo di un corniolo lì vicino che, vecchio e contorto viene tutt’oggi presentato come quello. Terminato il suo lavoro, fra’ Bonaventura festeggiò l’evento con gli altri frati che così dimenticarono di recitare la compieta prima di andare a cena; finito di mangiare e accortosi della dimenticanza, il novello Cardinale fece suonare la campana e tutti si recarono a pregare. Così al convento è rimasto l’uso di suonare la compieta a quell’ora insolita che la gente del posto chiama ancora “la campana di S. Bonaventura”. Era intorno al 1420 quando Cosimo dei Medici acquistò con altre proprietà anche il convento e ne affidò la ricostruzione al suo architetto di fiducia, Michelozzo Michelozzi, il quale con materiali poveri e di nessuna appariscenza riuscì a realizzare un rustico dalle linee essenziali e dall’equilibrio perfetto che rispecchia fedelmente lo spirito francescano. La Chiesa, ad una sola navata scandita in quattro campate con volte a crociera su pilastri e nervature in pietra serena è completata da un’abside la cui bellezza viene parzialmente nascosta da un imponente tabernacolo del 1626 in legno dorato, sormontato dallo stemma dei Medici, che contiene la statua di S. Francesco e che, pur di pregevole fattura, mal si addice ad accogliere l’immagine del “Poverello” di Assisi; solo la patina del tempo riesce ad attenuare il contrasto fra la sontuosità della “macchina” e l’immagine dimessa del Santo. La facciata, in filaretto di alberese di varie tonalità, è rallegrata da una serie di archetti ed altri motivi ornamentali in cotto; una sola finestra rotonda al centro ed una sola porta che si apre sotto un loggiato a colonne in muratura, con basi e capitelli pseudocorinzi, che sostengono il tetto di cotto. Dal loggiato si accede anche al convento, adiacente alla Chiesa, con al centro un chiostro nel cui loggiato, interamente murato, si aprono quattro porte. Da qui si accede a tutti gli ambienti che mantengono intatte le loro caratteristiche originarie: la sala capitolare con arredi lignei e dipinti del XVI - XVII secolo; il refettorio con una ceramica di Cafaggiolo sopra la porta e, sulla parete di fondo, il capolavoro del Padre Edoardo Rossi che qui trascorse parte della sua vita: l’Ultima Cena del Signore. Qui il frate ceramista, rifuggendo dai facili classicismi, riesce ad esprimere tutta la drammaticità dell’evento attraverso la crudezza del modellato e l’equilibrio improbabile delle figure, in una rappresentazione che non è azzardato definire naïf. Nella “Stanza dei Medici” è allestito un piccolo museo d’arte sacra del XV - XVIII sec. dove sono conservati antichi arredi sacri, libri, incunaboli, calici e reliquiari e l’antica campana bronzea del convento. Fra le opere d’arte, sculture in legno e dipinti, spicca uno splendido crocifisso ligneo di Donatello la cui bellezza coinvolge anche il visitatore più distaccato. Quando alla fine degli anni ’50 venne affidato alle cure delle Belle Arti di Firenze, aveva subìto veri e propri rattoppi in più occasioni, con stoppa, stucco e mani di colore, gli era stata messa una corona di spine sulla testa e un perizoma intorno ai fianchi. La sapiente opera di restauro terminata nel 1960 ci restituisce un Cristo morente, ignudo, dai lineamenti inconsueti ma di una struggente bellezza. Nella sacrestia, oltre ad un bellissimo cassettone, dono di Cosimo il Vecchio, si trova un crocifisso ligneo di Benedetto da Maiano. Sempre al piano terra c’è un loggiato simile a quello della facciata ma assai più spazioso, dal quale si accede al pozzo del Michelozzo e al leggendario corniolo della berretta cardinalizia di S. Bonaventura. Anche ai piani superiori sono conservati arredi sacri, dipinti su tela e su tavola, ceramiche di Cafaggiolo, antichi attrezzi da cucina, ecc. Il campanile, dalla linea agile quanto inconsueta, è stato ridimensionato in seguito a ripetuti eventi sismici. |
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© Notizie e foto tratte da il volume "Il Mugello" di Massimo Certini e Piero Salvadori (ed. Parigi & Oltre, Borgo San Lorenzo, 1999) |