La moda pericolosa
del “binge-drinking”
Giovani mugellani e bicchieri (troppi…)
Nessuno ha il coraggio di ammetterlo, ma la nostra società
sembra aver perso attenzione nei confronti dei giovani.
A cominciare dalla politica, passando per l’economia ed arrivando al
calcio… (la brutta figura della nazionale ai mondiali è
stata imputata all’età media della nostra nazionale, la più vecchia!). In Italia
l’essere giovane sembra non interessare a nessuno o perlomeno a pochi. Per
questo riteniamo opportuno, nel nostro piccolo, essere attenti alla questione
giovanile e ad affrontare i problemi che interessano i giovani e le loro
famiglie.
Così senza
voler generalizzare, ma senza nemmeno tacere una nuova moda dannosa per la
crescita delle nuove generazioni, oggi proviamo a parlare del cosiddetto “binge-drinking”.
Le centinaia di ragazzi che affollano il centro storico di Borgo San Lorenzo in
occasione delle serate di festa, i numerosi bicchieri, bottiglie, “resti”
lasciati a terra sono la prova evidente che la moda del “binge-drinking”,
definibile come il bere ripetutamente in modo compulsivo fino ad ubriacarsi, si
stia diffondendo anche da noi. In modo particolare la nostra attenzione è
centrata sulla fascia di età dei giovanissimi, dai 14 ai 16 anni, ai quali per
legge non dovrebbero essere né venduti né tantomeno somministrati alcolici.
Quindi fascia “protetta”, ma che come vedremo invece è già assoggettata a questa
nuova moda ed anche la più fisicamente esposta con danni anche irreparabili.
Qualche dato scientifico preoccupante
Secondo la Relazione del
Ministro della Salute al Parlamento l’Italia ha il primato della maggior
diffusione di alcool fra i più giovani: già a 12 anni infatti si comincia a
bere, e fra i 12 ed i 13 anni lo si fa con una frequenza tra le più alte in
Europa. Inutile dire che il
fenomeno non consoce tante distinzioni tra i sessi, con le ragazze anzi in
costante aumento. Ma quello che maggiormente colpisce è la gravità dei danni
prodotti da un uso smodato di alcool in giovanissima età. Una ricerca compiuta
negli USA, confermata anche da altre studi, ha dimostrato che l’alcool “brucia”
il cervello dei giovani e, soprattutto nei giovanissimi, in maniera
irreversibile. Attraverso la risonanza magnetica è stato appurato che il “binge-drinking”
comporta una riduzione dell’ippocampo con conseguente riduzione funzionale del
10%-20% di memoria e capacità di orientamento. La correlazione tra alcool e
cervello, nella fascia di età considerata, sta nel fatto che fino ai 20/21 anni
l’organismo non ha ancora prodotto un enzima in grado di metabolizzare l’alcool,
il quale è libero di arrivare al cervello, distruggendone i neuroni e le cellule
staminali neuronali. E’ bene chiarire che bere, soprattutto in modo esagerato,
fa male a qualunque età, ma la drammaticità del fatto consiste nei danni
prodotti in maniera irreparabile nel corpo umano di un giovane.
Cosa
ne pensano i nostri giovani
Preoccupato da una parte
dalle “sensazioni” registrate nelle vie del centro di Borgo, come negli altri
luoghi di ritrovo dei giovanissimi, ho pensato che la cosa migliore fosse quella
di sentire i diretti interessati per sapere da loro come vivevano il problema.
Ho dovuto desistere dall’effettuare a campione degli alcool-test, in quanto si
trattava di minori e pertanto “coperti” dalla patria podestà, ed allora ho
chiesto ad alcuni genitori se potevo scambiare due chiacchiere con i loro figli.
Lontano quindi da occhi indiscreti, come sono giudicati spesso i genitori
dagli adolescenti, ho cominciato ad entrare in confidenza, garantendo che i nomi
che avrei usato sarebbero stati di fantasia, chiedendo loro se avevano mai
bevuto alcolici. “Non esiste. -dice subito Marco- E’ quasi impossibile trovare
un ragazzo che non abbia bevuto
alcolici”; “Casomai -aggiunge Matteo- pochi si sono ubriacati fino a star male,
ma sballati ce ne sono molti”. Infatti con mia sorpresa ho scoperto che esistono
dei veri e propri tam-tam, spesso lanciati su FaceBook, con i quali (stiamo
sempre parlando di giovani dai 14-17 anni) ci si dà appuntamento per una bevuta
“sostenuta”. Ce lo spiega Michela: “alle volte si esce di casa già sapendo che
quella sera berremo, oppure andiamo a cena proprio per bere”. Altra novità,
almeno per un quarantenne come me, è stata constatare che bevande a bassa
gradazione, pur dannosa, come la birra sono quasi relegate agli “sfigati”,
mentre il livello minimo in voga è quello del vino, meglio se bianco, frizzante
e fresco ed arrivando fino a superalcolici, con preferenza per
Perché?
Oramai convinto, da
adulto, che su questa cosa sia necessario fare qualcosa ho chiesto loro se c’era
una ragione precisa per tale comportamento e qui mi è arrivato il secondo pugno
allo stomaco: “si fa per noia!” afferma sconsolato Giovanni. Ora per chi è della
mia generazione, sapere che per “noia” si beve quasi tutti i fine settimana e
sicuramente in occasione di tutte le feste, siano quelle “comandate” o quelle
“organizzate”, equivale al terrore di cosa cercheranno questi ragazzi (ricordo
dai 14-17 anni) nei prossimi anni. Troppe volte, nella mia gioventù, mi sono
sentito ripetere che la noia era stata la strada in discesa percorsa da tanti
per arrivare all’uso di droghe. Ma su questo lo “sparuto”, ma valido, universo
campionario che mi sono scelto è stato fermo. “Cosa possiamo fare?” mi domanda
Matteo “il sabato dalle nostre parti, l’unica cosa che è offerta
è la scelta tra un cinema o il girellare
con un bicchiere in mano, pensa che in città è anche peggio perché non hanno
posti dove andare allora organizzano feste”.
Ho provato così a
introdurre il tema dei danni provocati dall’alcol, e chiesto anche se dai
“grandi”, singoli ed organizzati, avessero avuto messaggi in tal senso. Qualcuno
ha ammesso che sapeva che bere faceva male, “però –aggiunge- nessuno ci ha detto
che facesse così tanto male”.
Si potrebbe pensare, visto
che il bere è così ripetuto, che qualche genitore se ne potrebbe accorgere…
Ma non è così.
Ora, si esce presto, si cena con gli
amici, si sta fuori, poi, alle volte, montati sulla navetta, si va a ballare e
si rientra tardi, quasi all’alba. Il genitore così dorme, e quando ancora
“sveglio”, si può liquidare con qualche laconica risposta a monosillabi, tipica
dell’età adolescenziale, e poi ci si chiude in camera, sperando di riuscire a
fermare la stanza prima che lo stato di ebbrezza sia manifesto. Comunque un bel
“tanto lo fanno tutti”, non si nega a nessuno!
Che
fare?
Chiedendo ai ragazzi
stessi in che modo poter “combattere” questa moda, arrivano risposte costruttive
e positive. Giovanni, dopo occhiate complici agli altri, la butta lì: “un valido
sistema potrebbe essere quello di farsi chiamare al cellulare dai genitori,
chiamate random nella serata/nottata, per verificare lo stato di lucidità del
figlio”. Qualche centesimo di telefono, potrebbe valere molto in termini di
salute dei figli. Questo aggiunge, “oltre ad evitare abusi alcolici, permette
anche di “smascherare” chi finge di essere ubriaco” e quindi
“serve anche per far vedere sempre di
più che c’è anche chi non beve, perché alcuni fanno finta solo per non essere da
meno o essere presi in giro”.
Michela invece si
concentra sulla vendita, e avanza una richiesta:
“Occorrerebbe controllare maggiormente che non siano venduti alcolici a
chi sta già male, e comunque ai più giovani”. Anche questa mi sembra una buona
idea perché per loro stessa ammissione raramente si beve al di fuori di quando
siamo con gli amici, il che farebbe relegare il fenomeno più ad un “uso”
collettivo che ad una dipendenza fisica. La terza proposta che viene dai ragazzi
è quella dell’informazione per la prevenzione: “ci vorrebbe qualcuno che ci dice
queste cose”, dice Matteo, subito ripreso da Michela “ma in modo forte”. Domando
cosa vuol dire “forte” e Matteo risponde: “Per darti una un’idea dell’impatto
che dovrebbero avere queste informazioni, ti dico che io ed miei amici sappiamo
purtroppo che alcuni ragazzi, più sfortunati, hanno perso la vita in incidenti
causati dall’alcool… però il sabato o se facciamo una festa, da bere, anche
superalcolici non possono mancare, altrimenti che festa sarebbe!”.
Infine, tutti i ragazzi si offrono per
fare qualcosa per cambiare questo stato di cose, “se c’è bisogno io ci sono”
afferma perentorio Giovanni e tutti gli altri annuiscono convinti.
Che dire dunque?
L’impressione – o la
speranza- è che la situazione non è persa. E’ vero, le nostre future generazioni
stanno rischiando il loro “cervello”, ma, se sapute ascoltare, hanno in loro
stesse i semi delle possibili soluzioni. 100.000 neuroni perduti per sempre ogni
sabato sera sono un prezzo enorme che ogni nostro giovane non può pagare per una
moda stupida, e credo che cominciare ad occuparsi, sul serio, dei problemi,
delle aspettative, del futuro dei nostri giovani sia davvero urgente e
fondamentale, e ci aiuterebbe ad essere una società meno vecchia.
Carlo Incagli
© il filo, Idee e notizie dal Mugello, dicembre 2010