Tonnellate di generi alimentari e materiali di prima necessità, la
scorsa primavera il Mugello ha offerto per le popolazioni del Kosovo martoriate dalla
guerra. Ha offerto con la consueta generosità. E fatto inedito, le raccolte non sono
state affidate allo spontaneismo, ma enti locali, associazioni e parrocchie, in molti
casi, si sono coordinate e hanno operato insieme sotto le insegne della Missione
Arcobaleno.
Ora le notizie che sono giunte dal porto di Bari, dai
container ammassati e dai materiali al macero, hanno stretto il cuore a tutti. Il
contrasto tra inefficienza e generosità, tra cinismo burocratico e impeto di solidarietà
è davvero un brutto colpo allo stomaco.
Non ci interessa qui -e neppure ne saremmo in grado-
analizzare in profondità ragioni e colpe, cause e fenomeni. Ci preme invece andare oltre
l'ennesimo smacco per la credibilità dello Stato. Vorremmo cioè che l'accaduto da una
parte non oscurasse quanto di buono è stato fatto, e dall'altra non andasse ad alimentare
ed incrementare il tasso di cinismo in circolazione. Il rischio vero infatti è quello che
la gente, la prossima volta -e purtroppo c'è sempre una prossima volta, vicina o lontana
che sia-, pensi che è inutile partecipare, che non vale la pena donare alcunché. E
questo, oltre ad essere un danno forte per chi è nel bisogno, è un impoverimento per
tutti noi.
Per questo abbiamo chiesto un giudizio sull'accaduto, sulle
raccolte di solidarietà e sui "container della vergogna", ad alcuni
responsabili che hanno partecipato al coordinamento mugellano per la raccolta degli aiuti.

"Abbiamo fatto tutto il possibile -dice Tullia
Benfenati, coordinatrice tecnica del Comitato del Mugello, per conto della Comunità
Montana- per inviare cose ben catalogate, ben assortite -facendo cioè raccolte tematiche,
di generi ben definiti e solo di quelli, in container omogenei. Sulle scatole è sempre
stato indicato che cosa c'era all'interno, usando il sistema di contrassegni e colori
diversi in uso presso la Croce Rossa".
Ma dove sono andati i materiali raccolti? "Tutto è
stato convogliato alla Mercafir di Firenze, e ho notizie che ottima parte è andata al di
là del mare. Anche se certo non possiamo garantire su ciò che è accaduto "di
là". Abbiamo comunque creato un data base in Prefettura dove è stato iscritto tutto
ciò che è stato raccolto, oltre 400 colli, ai quali si aggiungono un altro centinaio,
giunti successivamente, che non sono stati registrati". In particolare il Comitato ha
gestito i materiali raccolti da Borgo San Lorenzo, Barberino, San Piero, Scarperia,
Vaglia. Vicchio ha effettuato autonomamente una raccolta di latte con la Caritas,
Firenzuola ha inviato fondi alla Comunità Montana, 900 mila lire, utilizzati per i
profughi del Banti, mentre Palazzuolo e Marradi hanno avuto iniziative autonome con la
Romagna.
"Abbiamo aderito -continua Benfenati- inviando
materiali alla costruzione di un asilo nido per il campo profughi allestito a Comiso, e
anche il materiale raccolto dopo la fine della guerra è stato utilizzato per rifornire di
generi di prima necessità il Banti, dove furono alloggiati 80 kossovari. Nei magazzini
delle associazioni di volontariato restano soltanto capi di abbigliamento invernale, non
utilizzabile al momento, e che verrà distribuita per casi di necessità".
"Una cosa è certa -sottolinea subito Patrizia Zuri,
del Centro Radio Soccorso di Borgo San Lorenzo-: anche per il Kossovo i mugellani hanno
dimostrato grandissima disponibilità. Noi non siamo stati direttamente in Albania, ma
conosciamo volontari delle pubbliche assistenze presenti nei campi profughi, e siamo stati
in stretto contatto con loro. E da loro sappiamo che nel campo dell'Anpas non è mai
mancato niente, i container arrivavano regolarmente e i materiali regolarmente venivano
distribuiti. Se qualcosa è rimasto non consegnato, lo è stato per gli eventi,
all'improvviso è finita la guerra, all'improvviso è avvenuto il rientro. Certo ci sono
state mancanze nel gestire quello che è rimasto a Bari, ma la situazione non era
facile".
Tra la gente però si sente scetticismo e dubbi sul fatto
che tutto ciò che è stato donato è andato a destinazioneÁ "Il timore -risponde
Zuri- che quanto è accaduto possa incidere sulla fiducia della gente esiste. Anche se
resto convinta che i mugellani abbiano fiducia nelle loro associazioni, per le positive
esperienze del passato. Friuli, Irpinia, Bosnia, Bielorussia, sempre tutto ciò che è
stato raccolto è stato portato. Questa era la prima volta che ci affidavamo ad
un'organizzazione nazionale, e per me è andata bene. Spero che la fiducia non venga
meno".
Anche Giacomo Matteucci, provveditore della Misericordia di
Borgo San Lorenzo, vede più luci che ombre, ed anzi polemizza con le critiche -riportate
anche su queste pagine- del collega e "confratello" Andrea Cavaciocchi: "La
Misericordia -dice Matteucci- ha sempre avuto lo spirito della 'buffa', e non mi sembra
questo lo spirito dell'intervento di Cavaciocchi. Dire che noi siamo bravi e gli altri no
non mi pare rientri nello spirito della Misericordia. No, noi non ci identifichiamo nella
sua posizione. Anche perché temo si voglia esser protagonisti a tutti i costi e aver la
scena a proprio vantaggio". Abbandonata la polemica "interna", Matteucci
ragiona di quello che è stato: "In primo luogo che una percentuale del materiale
raccolto non vada a buon fine è fisiologico. Direi piuttosto che è stato positivo anche
il fatto di aver lavorato tutti insieme. Magari il coordinamento all'inizio può aver
provocato qualche lentezza, ma alla fine raccordarsi è stato utilissimo e ha prodotto,
per la raccolta, un effetto molto positivo: in questo campo voler fare i primi della
classe e muoversi da soli è sbagliato. Ci saranno contraccolpi negativi dopo le immagini
dei container abbandonati? Che devo dire? Di una cosa sono certo. Chi conosce le
Misericordie sa che non vi sono mai state operazioni di spreco o di negligenza o di
interesse. La nostra gente mugellana sa bene che le mille lire offerte alla Misericordia
sono sempre state ben utilizzate. E quindi credo che in caso di necessità risponderanno
con la medesima generosità."
Mons. Giancarlo Corti è rimasto colpito dai generi
abbandonati a Bari: "Non sono episodi -commenta- che aiutano le persone ad avere
piane fiducia in chi promuove questo tipo di raccolta. Faccio una constatazione ovvia, per
un fatto che ha lasciato un senso di smarrimento. Non vi può essere alcuna
giustificazione, quando ci si trova a promuovere iniziative e gestire soldi e cose
destinate ad altri, specie quando gli altri sono in stato di particolare bisogno. Ma
neppure si può dimenticare le tante persone che hanno manifestato grande
generosità". Mons. Corti volge la cosa al positivo: "Occorre educare le
persone, e questo l'ho sottolineato anche durante le riunioni del Comitato. Le persone
vanno educate a scegliere di donare. Spesso si dà non tanto il superfluo, ma quello che
ci dà noia, quello di cui vogliamo disfarci. Occorre invece educarci al senso della
carità, che non è un fatto di emozione e che prima di coinvolgere i nostri beni, ci
chiede di mettere in discussione noi stessi, e di renderci disponibili ad essere vicini
agli altri".
Il pievano di Borgo San Lorenzo invita poi a non
generalizzare: "Non si tratta di dare etichette di benemerenza a chi non le ha; però
al di là dell'errore, ugualmente siamo chiamati alla condivisione, e un incidente, pur
grave, non può permetterci di concludere che 'tanto va sempre a finire così'. Il senso
di solidarietà non può essere spento da un incidente, che pure certamente ci ha
addolorato. In fondo le vicende negative che si possono insinuare in un progetto bello,
disonestà, non competenza, imprevidenza, sono realtà umane che vanno superate. Di per
sé possono uccidere la speranza, mentre la carità, che è dono di Dio, ci porta a
sconfiggere le realtà negative che umanamente si frappongono alle scelte di
condivisione".
Anche Tullia Benfenati trae dall'accaduto, più laicamente,
qualche insegnamento: "Ci si rende conto anzitutto che ciò che in piccole quantità
non costituisce un problema, lo diventa con le grandi quantità: se ad esempio i vestiti
non sono in buone condizioni, non sono puliti, questo può creare gravi difficoltà,
perché da qualche parte devi metterli. E questo talvolta la gente non lo capisce. Così
come è necessario attenersi strettamente alle indicazioni: quando devi portare un pacco
singolo alla Caritas tutto va bene, ma nei grandi numeri generi diversi creano gravi
appesantimenti organizzativi". Infine gli sprechi: "Forse abbiamo preso questa
situazione di guerra in maniera un po' leggera, un po' da spettatori. E così ora si
critica. Ma rendiamoci conto dell'entità del fatto che ci ha visto coinvolti,
dell'impegno a fondo che in tanti hanno profuso; e rendiamoci conto che c'è stata una
guerra, e una guerra non è come gestire una mensa scolastica".

Andrea Cavaciocchi, sampierino, ha avuto un ruolo
importante negli aiuti al Kosovo, quale responsabile nazionale per le Misericordie. A
proposito della Missione Arcobaleno ha scritto a "Panorama" una dura lettera di
denuncia delle disfunzioni. Qui ne riportiamo alcuni stralci.
Contrariamente a quanto afferma l'ufficio stampa dei
Dipartimento della protezione civile, l'inchiesta di Panorama non provoca amarezza fra i
volontari che hanno partecipato alla Missione Arcobaleno. Dal mio punto di osservazione di
dirigente responsabile per la Missione per conto delle Misericordie d'Italia posso solo
lamentare (ma non farvene una colpa) che quanto descritto nell'inchiesta sia emerso agli
onori della cronaca soltanto ora, a cose fatte, e che le preoccupazioni e le denunce
espresse nei giorni caldi siano state coperte dalla grancassa della pubblicità. All'epoca
noi delle Misericordie, che rappresentavamo oltre un terzo deL volontariato impiegato
nella Missione (gestendo direttamente il campo di Rrushbull, contemporaneamente ai servizi
sanitari di Bari Palese e di Comiso, oltre a un magazzino di 20 mila mq ad Andria e a
numerose altre attività), potemmo verificare che non tutto girava come avrebbe dovuto e
potuto. Quotidianamente lanciavamo sos riguardo alla gestione degli aiuti per i kosovari.
Già il 16 maggio segnalavamo la giacenza di 700 container colmi di generi alimentari nel
porto di Durazzo, che nonostante le pressanti richieste non venivano distribuiti nei campi
profughi. E quattro giorni più tardi denunciavamo al centro regionale di Firenze della
Missione Arcobaleno il fatto che, a causa delle carenze della loro organizzazione in
Albania, eravamo stati costretti ad arrangiarci da soli, rifornendo i campi di Rrushbull e
Shijak con mezzi di fortuna. Un caso tutt'altro che isolato: il resoconto redatto il 9
giugno dal nostro magazzino di Andria (aperto proprio per sopperire alle difficoltà di
distribuzione della Missione Arcobaleno) dimostra che i rifugiati di Rrushbull erano stati
alimentati pressoché totalmente con i nostri aiuti.
Ma i nostri segnali d'allarme riguardavano soprattutto la
gestione dei fondi e delle procedure burocratiche per il ricongiungimento delle famiglie:
arrivammo perfino a rendere noti, in data 1 e 8 giugno, documenti autografi in cui
denunciavamo taglieggiamenti e corruzioni. Tutto questo rimane, a futura memoria, sul
diario dei nostro intervento pubblicato, come è tradizione di trasparenza, sul nostro
sito lnternet alle pagine http://www.misericordie.org/
procivile/pcquadri/kosovo/HPPCOKOSOVO.htm. Attraverso la vostra inchiesta abbiamo capito
che ciò che in quel momento ci apparve come incapacità operativa di dipendenti pubblici
prestati a un mestiere non loro aveva in realtà connotati più preoccupanti. Se allora,
non ricevendo gli aiuti alimentari promessi della Missione, riuscimmo lo stesso a sfamare
oltre tremila profughi, organizzandoci per conto nostro, oggi, visto lo sfacelo dei
container, ci sentiamo sì delusi ma non certo per quanto ha scritto Panorama. Ricordo con
chiarezza che in quei giorni l'ossessione del personale del ministero dell'Interno era che
i container non venissero rubati dalla mala albanese. E quindi, per proteggerli, li
sistemava uno contro l'altro, in modo che non si potessero aprire le porte... A nulla
valsero le nostre rimostranze per una gestione che, così organizzata, se non consentiva i
furti, non consentiva nemmeno la distribuzione dei beni.
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