| UN TESORO D'ARTE E DI STORIA DA RISCOPRIRE
La chiesa di San Francesco
a Borgo San Lorenzo
Borgo San Lorenzo e la sua cittadinanza stanno per riacquistare la
possibilità di godere di uno straordinario tesoro di arte e di storia, che per troppi
anni era rimasto nascosto e semisconosciuto: è infatti quasi ultimato il restauro della
chiesa di San Francesco, che sorge assieme all'antico complesso conventuale accanto
al Santuario del SS. Crocifisso, all'inizio di via Pietro Caiani. Il restauro, condotto
con estrema attenzione e con rigoroso scrupolo filologico dallarchitetto Mario Salmi
(in accordo con la Soprintendenza fiorentina ai Beni Architettonici), ha ricondotto alle
antiche linee il vasto ambiente della chiesa ed ha permesso anche di portare alla luce o
recuperare preziose testimonianze d'arte. Questo restauro, che giunge quanto mai
opportuno, si riallaccia a quello iniziato verso la fine dei secondo conflitto mondiale e
che aveva sistemato la copertura ed il paramento murario danneggiato, riaperto alcune
finestre ed altri interventi ancora. Se a questo si unisce il desiderio dei proprietari di
consentire il pubblico godimento della chiesa, preferibilmente destinandola al suo
originario utilizzo come luogo di culto, si capisce come l'iniziativa sia preziosa,
gradita, altamente significativa e meritevole di essere portata all'attenzione della
pubblica opinione. l'auspicio è che sia possibile, malgrado le difficoltà, condurre a
termine i lavori nelle parti che ancora li necessitano per poter ripristinare
completamente la chiesa ed i suoi annessi.
Il convento di San Francesco fu fondato, secondo la tradizione, dagli Ubaldini
da Ripa a testimonianza della loro devozione nei confronti dei Santo assisiate, quando
ancora egli era vivente (morì nel 1226). Dai primi seguaci del santo fu all'inizio
ampliata e riadattata una preesistente chiesa dedicata a sant'Andrea. Successivamente, nel
corso dei XIII secolo la comunità religiosa fu oggetto di numerosi lasciti e donazioni,
fra le quali una di Folco Portinari, padre della Beatrice dantesca, risalente al
1287, circostanza che certamente consentì alla sempre più numerosa comunità religiosa
di iniziare la costruzione di una più grande chiesa, quella attuale che dovrebbe risalire
alla seconda metà del XIII secolo. Nel corso dei secoli il convento, aderente all'Ordine
dei Frati Minori conventuali (gli stessi della basilica fiorentina di Santa Croce e di
quella di San Francesco ad Assisi), si ingrandì e nel Cinquecento fu restaurato da un
maestro Alessandro Ferrini. La vita religiosa ebbe fine nel 1808, quando il
convento fu soppresso dal governo napoleonico, i frati furono allontanati e l'intero
complesso, quasi completamente spogliato dei suoi beni, divenne di proprietà privata. La
vasta chiesa presenta una facciata a capanna edificata
in piccole bozze di pietra di cava, già accuratamente pulite nel corso dei restauro.
Sopra l'ingresso si trova una lunetta ogivale sormontata da una grande monofora
archiacuta. Di notevole interesse è l'antica porta trecentesca, in solido legno di
quercia, anch'essa molto ben restaurata e sottratta alla rovina dei secoli. Sulla sinistra
si vede la piccola ed elegante facciata della cappella seicentesca
dedicata a San
Sebastiano, forse in origine sede di una confraternita laicale ed al cui interno è
conservato l'originale altare in stucco policromo. All'interno (vedi foto sotto il titolo)
il colpo d'occhio della grande navata della chiesa è veramente spettacolare: siamo
in presenza di una autentica e preziosa aula predicatoria francescana, con copertura a
campate lignee, costruita interamente in laterizio, che conferisce all'intero ambiente
un caldo colore rosaceo. L'edificio, in tutta evidenza, ripete l'illustre modello della
basilica superiore di San Francesco ad Assisi, anche se nel nostro caso, in omaggio ad una
pressoché costante tradizione toscana, si rinuncia all'impiego delle grandi volte a
crociera in favore della copertura a campate lignee, di più facile e sicura
realizzazione. Il vasto e luminoso spazio unitario dell'aula predicatoria converge verso
la graziosa scarsella della parete di fondo, sulla cui parete terminale si apre una snella
bifora ogivale, in parte risalente ad un restauro precedente, ma molto
probabilmente sulla base di strutture antiche.
La volta a crociera con quattro vele costolonate è
stata ricostruita in occasione del presente restauro, utilizzando i componenti polilobati
originali recuperati ed evidenziando opportunamente le parti reintegrate con l'impiego
dell'intonaco. Sulle pareti laterali si aprono alte monofore ogivali restaurate
(quelle del lato sinistro sono state parzialmente tamponate per la successiva
realizzazione di strutture esterne). Sul lato destro si trova, molto ben conservato e
restaurato, il Casamento del pulpito, costituito da un grande peduccio in pietra
serena scolpita che, con la veramente bella decorazione a cesto, richiama esempi di
capitelli fiorentini della seconda metà del Quattrocento. Poco oltre si trova la grande
porta (attualmente tamponata) che collegava la chiesa col chiostro del convento e che
mostra uno splendido arco in laterizio. In prossimità dell'ingresso principale si
trovano i resti, altamente significativi, di quella che doveva essere l'originaria
decorazione pittorica delle pareti, secondo una consuetudine comune alle più
importanti chiese francescane: sulla parete sinistra si trova la raffigurazione ad affresco
di una "Madonna coi Bambino tra angeli ed i santi Antonio da Padova e Ludovico
di Tolosa" (la parte destra dei dipinto, ove dovevano trovarsi altri due santi è
andata perduta). Ai piedi del trono, inginocchiate, si vedono due figure elegantemente
vestite in abiti trecenteschi, identificabili nei donatori dell'affresco. L'opera è
tradizionalmente attribuita al pittore mugellano Pietro Nelli da Rabatta (attivo
dal 1375 al 1419, anno della morte), artista orbitante intorno all'ambiente di Niccolò di
Pietro Cerini, uno dei più importanti e prolifici pittori fiorentini della fine del
Trecento. Secondo il Niccolai (1914) il dipinto recava la firma del Nelli e la data 1382,
probabilmente riconoscibili nella scritta presente sul gradino del trono e che deve essere
tornata alla luce in occasione del restauro se il Boskovits (Boskovits M., Pittura
fiorentina alla vigilia dei Rinascimento, Firenze, 1975, p. 416) attribuisce l'opera a Pietro
di Miniato, un altro pittore fiorentino di quegli stessi anni, e dice che l'iscrizione
risultava non più presente. Sulla sinistra si vedono ancora i resti di un secondo
affresco, sempre dello stesso pittore, che doveva raffigurare una santa seduta sul
trono e dei quale rimangono in basso due piccole scene di martirio ad uso di predella.
Questi dipinti, ormai irrimediabilmente danneggiati dal tempo, e gli altri presenti nella
chiesa, sono stati accuratamente restaurati nel corso di questa campagna di lavori. Sul
lato sinistro della controfacciata è tornato alla luce un affresco, seriamente
danneggiato dalla sovrapposizione di un altare nel XVIII secolo, raffigurante la "Deposizione
di Cristo nel sepolcro" scena della quale si è salvata solo la parte inferiore.
Magnificamente restaurata, la pittura, evidentemente protetta nelle parti superstiti da
una scialbatura e dall'altare sovrapposto, ha conservato la sua splendida e smagliante
policromia. L'opera, che attende e che merita uno studio approfondito, si mostra di una
notevole qualità artistica, evidente nella padronanza spaziale della realizzazione del
sepolcro di scorcio e nella plastica definizione dei volumi, oltre che nella già
ricordata bellezza della gamma cromatica. Si tratta certamente del lavoro di un Maestro
fiorentino del XIV secolo di primaria importanza. La parete destra ospita,
invece, un grande affresco tardocinquecentesco raffigurante probabilmente il
"Martirio
degli undicimila martiri". Si tratta di una complessa ed articolata
scena, inquadrata architettonicamente da due grandi colonne dipinte, con un gran numero di
figure, fra le quali campeggiano, in basso a sinistra l'imperatore Diocleziano nell'atto
di giudicare uno dei martiri ancora rivestito della corazza, al centro una grande figura
maschile crocifissa, mentre in alto appare il Cristo benedicente. L'intera scena ha ormai
perduto il rigoroso rispetto delle proporzioni e della spazialità. Studi in corso da
tempo (Chiarelli) sembravano indirizzarsi verso l'attribuzione dell'opera ad un pittore
veronese, anche se forse, il riferimento ad un fiorentino, di quelli afferenti al gruppo
dei cosiddetti "eccentrici", per la tendenza allo stile esasperato ed
intellettualistico, non sarà ancora da scartarsi completamente. Interessante risulterà
anche la identificazione dello stemma, probabilmente gentilizio o appartenente ad una
Confraternita del paese, dipinto in basso a destra, e comunque riferibile ai committenti
dell'opera. Sul pavimento, ancora privo del rivestimento in cotto, di prossima
messa in opera, si trovano due sepolture, la, più significativa delle quali, posta
al centro della navata, di fronte ai gradini di accesso al grande presbiterio, è
costituita da una interessante lastra tombale gentilizia con iscrizione in caratteri
gotici e databile al XV secolo (anch'essa appena restaurata e risistemata nella sua antica
collocazione). Sulla parete sinistra si vede l'arco di accesso alla già ricordata
cappella di San Sebastiano, accanto al quale si trova l'ingresso ad una seconda
cappella, che rappresenta certamente un'altra delle piacevoli scoperte di questo
restauro e alla quale, data la sua importanza, si dedicherà un articolo apposito sul
prossimo numero. Di fianco alla scarsella terminale, attualmente non interessata ai lavori
di restauro, sorge anche un ambiente a pianta quadrata, anch'esso risalente
all'epoca gotica e dotato di una grande mostra d'altare rinascimentale in pietra.
Al termine della visita alla chiesa francescana si deve fare un
rapido accenno al patrimonio artistico che pos- sedeva e che è andato disperso nel corso
dei secoli. Oltre alle notizie secondo le quali nella chiesa, un tempo ricca di altari e
cappelle gentilizie, si trovavano opere di Andrea del Sarto e di Francesco Furini si deve
ricordare la recente identificazione (Acidini, 1990) della grande paia d'altare
raffigurante "San Francesco che riceve le Stimmate", un tempo sull'altare
maggiore della chiesa, col dipinto conservato al Fogg Museum di Cambridge (Massachussets,
U.S.A.), recentemente attribuito a Taddeo Gaddi, il più illustre allievo di Giotto. Un
ulteriore elemento è costituito dalla presenza di un numero consistente di stemmi, alcuni
dotati di notevole qualità artistica, il cui studio darà un contributo fondamentale alla
ricostruzione di un tessuto storico locale, altrimenti destinato al l'oblio. Usciti dalla
chiesa sarà opportuno segnalare, sul fianco destro, la presenza dell'antico portale
d'ingresso al convento, purtroppo unico resto della grande recinzione sulla quale si
appoggiava il lato occidentale del chiostro (ora completamente scomparso), dei quale
rimane solo il perimetro, al cui centro si trova una vera da pozzo poligonale
ottocentesca. Rimane, però, l'ingresso a quella che doveva essere la sala capitolare dei
convento, composto da due splendide bifore con rosone polilobato e da una grande
monofora centrale. I capitelli dei sostegni sono splendidamente scolpiti con motivi
vegetali del più puro ed elegante gusto gotico, altro autentico gioiello di. questo
complesso ricolmo di arte e di storia e che è stato sottratto alla rovina grazie
all'impegno dei proprietari, ai quali deve essere dato il sostegno necessario per condurre
a termine i lavori e per consentire la riapertura al pubblico di questo monumento
mugellano.
Marco Pinelli
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