Cambio del nome, crisi superata, e tante novità. Intervista al presidente del Forteto
MUGELLO – La cooperativa agricola “Il Forteto” cambierà nome e marchio. Il nome è già stato deciso e il consiglio d’amministrazione lo presenterà entro un mese all’assemblea dei soci.
Ne parliamo con il presidente Maurizio Izzo: “Il nuovo nome avrà un forte richiamo al Mugello – spiega -. In passato più volte ce l’hanno detto: “Ma perché non cambiate nome?” Non si tratta di una scelta commerciale. Vogliamo confermare la fine di un’epoca e di una storia, e il completamento, anche con un nome diverso, di un nuovo corso. Un cambiamento sostanziale, che è da tempo avviato”.
Voltare pagina è necessario: “La cooperativa che oggi si chiama Il Forteto e alla quale presto cambieremo nome, è veramente e solamente una cooperativa agricola di trasformazione di prodotti lattiero caseari, una cooperativa formata da soci lavoratori e conferito. Non abbiamo alcuna ambizione di insegnare niente a nessuno sul piano filosofico, politico o sociale, siamo una cooperativa di gente che lavora e cerca di fare, come sempre è stato fatto, dei prodotti che sono un’eccellenza del Made in Italy.”
Ma Izzo lo rivendica. La pagina, nome a parte, è già stata voltata, e la distanza dal Forteto di Fiesoli è netta: “La cooperativa nella sua idealità è un soggetto diverso al passato. E si prenda la compagine sociale: oggi in cooperativa non è presente più alcun socio fondatore del vecchio Forteto. Inoltre nel cda ci sono tre donne, Sandra Guidi, Martina Livi e Dorina Cruz, tutte e tre socie lavoratrici della cooperativa, e sono la maggioranza, tre su cinque, mentre nella lunga storia del Forteto mai una donna era stata fatta sedere in consiglio d’amministrazione. Questa cooperativa è tutt’altra cosa rispetto a quella nata altri anni fa.”
Anche nell’organizzazione sono stati introdotti profondi cambiamenti: sono state sostituite figure strategiche come il direttore generale e il direttore commerciale. L’ultimo anno peraltro non è stato facile. E la cooperativa ha rischiato molto sul piano economico, tanto da doversi avvalere di una “procedura di composizione negoziata della crisi”: “Oggi possiamo dire con ragionevole certezza – annuncia Izzo soddisfatto– che la procedura si chiuderà positivamente con tutti i soggetti coinvolti a partire dagli istituti bancari. Sì sono soddisfatto, perché tra coloro che usano questo strumento della composizione negoziata non molti ce la fanno, intorno al 30%. Noi ce l’abbiamo fatta”.
Quali le ragioni della crisi? “Come hanno avuto modo di verificare gli advisor finanziari – risponde il presidente – la crisi del Forteto era interamente da addebitarsi agli effetti delle vicende giudiziarie, non solo per l’esborso per il risarcimento delle vittime e le spese legali, ma anche per i danni d’immagine che ne sono conseguiti. Si tenga conto che all’inizio del caso-Fiesoli la cooperativa fatturava 17 milioni di euro, alla fine del commissariamento, quando siamo subentrati noi era sotto i 10 milioni. In cinque-sei anni Il Forteto ha perso quasi la metà del fatturato. Ora siamo tornati verso gli 11 milioni, la risalita è lenta, ma abbiamo ridotto l’indebitamente e messo in sicurezza l’azienda”.
C’è stata anche la vendita degli immobili, prima abitati da Fiesoli e dai suoi: “Abbiamo venduto gran parte del patrimonio – dice Izzo -. Al di là dell’aspetto economico, si faceva fatica a spiegare alla gente, ai nostri clienti, che erano ancora convinti che qui vi fosse ancora una comunità, la nuova dimensione del Forteto, ovvero che i dipendenti, come in ogni azienda venivano a lavorare e poi tornavano a casa propria. Le case sono state vendute tutte, ad esclusione di villa Gentili, ma anche le ville sono state liberate e sono in vendita. E’ l’unico grosso bene immobiliare ancora di proprietà, mentre già abbiamo venduto terreni e stalle, per la decisione di dismettere l’attività zootecnica”.
La crisi ha comportato una riduzione sensibile degli occupati. Un tempo Il Forteto occupava oltre 100 persone, ora sono 69. Ma, specifica Izzo, “non ci sono stati licenziamenti. Si è operato con le dimissioni volontarie, i pensionamenti e il blocco del turn-over”.
Sul piano produttivo si lavora soprattutto sul potenziamento e l’efficientamento del caseificio. E c’è anche un’altra importante novità: “A breve – annuncia il presidente – ci sarà una fusione per incorporazione con l’Associazione Pastorizia toscana. Glielo abbiamo proposto, loro hanno accettato, ed è molto importante per noi perché si viene a creare una situazione nella quale all’interno della stessa compagine si trovano allevatori e trasformatori, spesso invece su fronti contrapposti. Il presidente Giovanni Ricci siede già nostro consiglio d’amministrazione. Il rapporto con i produttori è strategico. Oggi infatti uno dei più grossi problemi che abbiamo di fronte è la mancanza di materia prima, latte ovino se ne trova poco. Possiamo contare sui nostri soci conferitori per quanto riguarda il latte toscano, e abbiamo aperto nuove linee di fornitura con importanti allevamenti del nord Italia. Per non parlare dell’aumento dei prezzi del latte ovino. Basti dire che tra il primo contratto che ho firmato e quello che ho sottoscritto ora il prezzo è quasi triplicato”.
Si punta molto sul caseificio, uno dei più grandi della Toscana. E anche qui c’è una novità: “Abbiamo un consulente per il caseificio, Carlo Piccoli, che è presidente dell’Accademia internazionale di Arte Casearia ed è un formatore delle professionalità all’interno dei caseifici, e insegna la gestione di queste strutture. Per noi è stato un impegno economico importante, ma abbiamo voluto puntare su una professionalità alta e conosciuta che facesse da guida ai nostri giovani casari e ai lavoratori che lavorano nel caseificio. Qui le figure di riferimento finora erano rimaste le stesse e non volevamo che si sentissero senza una guida. Piccoli conosce già la qualità che il nostro caseificio esprime. La sfida che ha accettato è renderlo più efficiente, mantenendo l’alta qualità dei prodotti. Veniamo da una situazione organizzativa difficile, su questo dobbiamo lavorare, e formare una nuova generazione di casari.”
Programmi futuri, per il caseificio? “Stiamo lavorando a linee produttive alternative, puntando molto sui misti, pecora e latte vaccino, e anche sulla lavorazione di latte vaccino puro, con cui si possono fare prodotti e freschi e freschissimi che già facciamo ma anche sviluppare una linea di caciotte a base di latte vaccino o misto, con cui si pensa di ampliare la gamma, ottenendo marginalità significative. Per fortuna l’estero ci supporta bene. All’estero anche i rincari si gestiscono meglio, i mercati li reggono di più, e anche in questi ultimi mesi l’export è stata la nostra salvezza. Il 50% della nostra produzione va all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, in Francia, Germania e Nord Europa. Arriviamo anche in Giappone, naturalmente con quote ridotte: ci tengono così tanto ai nostri formaggi che li fanno viaggiare in aereo”.
Ma non ci sono solo i formaggi… “E’ vero – conclude Izzo – Abbiamo riattivato la malteria, per malto da birra, l’abbiamo chiamata “Malteria Toscana”, e l’obiettivo è di farne un punto di riferimento per i piccoli e medi birrifici toscani, che potranno così chiudere la filiera del prodotto: orzo coltivato in Toscana, maltato in Toscana, birra prodotta in Toscana. Maltatori in Toscana ce ne sono pochi, e i birrifici sono costretti a farsi maltare l’orzo quasi sempre all’estero.”
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 11 Marzo 2024