UN RACCONTO DI TITO CASINI, DA UNA LEGGENDA FIRENZUOLINA Il "Sasso del Diavolo" L'uscita de "La vigilia dello sposo", uno dei libri più gradevoli di Tito Casini, veniva, sul "Frontespizio" del giugno 1930, così salutata: "E' un diario quaresimale, dove, con squisitezza d'animo l'autore canta, in pulitezza trecentesca di lingua e spontaneità di affetti, la vita liturgica dei periodo di penitenza che precede la Pasqua, armonizzandola in sapiente vigilia ed attesa della Resurrezione, massimo e sublime evento per il cristiano... Lo stile, ravvivato specialmente dal brio e dalla belle proprietà dei parlare toscano, fiorisce spontaneo sotto la penna dei giovane e brioso scrittore, al quale va dato atto di farsi leggere con gusto". Per chi scrive libri è davvero il massimo. Da "La vigilia dello sposo" viene tratta questa leggenda, ambientata nel territorio mugellano. (Piercarlo Tagliaferri) Venendo su da Bologna verso l'Appennino, sopra Castel Bolognese per la valle dei Sillaro, prima di arrivare alle alture del Canida e della Radicosa che la dividono dalla Toscana, il passeggero s'imbatte in masse ofialitiche di granito verde cupo, isolate e giganti, che proprio è necessario fermarsi a guardare e domandare a sé stesso: chi l'ha messe qua? La più bassa sta di faccia al guerresco castel di Piancaldoli, l'altra, la più imponente e originale, più in alto, dove, finito il Sillaro, le acque cominciano a piegare alla Diaterna per fluire nel Santerno, e il dialetto comincia a saper di toscano. Son due rocce battezzate con questi due strani nomi che ho detto, il più basso, proprio alle sorgenti dei fiume bolognese, in luogo detto la Maltesca, "il Sasso dei Diavolo", l'altro, alle origini dei fiume toscano, "il Sasso di San Zanobi". I due Sassi, da lontano, quando incombono specialmente le nebbie, che lassù accade spesso, o si avvicina colle sue ombre la sera, fanno una certa impressione; fanno pensare ai giganti dei tempi favolosi, o, al tempo dei neri castelli medioevali, ai poveri morti di quelle tristi battaglie... Ma il Sasso dei Diavolo, alla Maltesca, è spezzato, le sue braccia son rotte e i suoi poderosi fianchi aperti; il vecchio gigante ha perso parecchio della sua importanza, le sue misere membra giacciono stritolate e sparse per gran tratto della sottoposta valle... Chi gli ha mai reso un così brutto servizio? Se vi raccontassero che è stato il lavoro secolare degli scarpellini di quei paesi, i quali lo hanno traforato e tagliato a pezzi così per farci macine da mulini, non ci credete. Questi saranno venuti dopo, ma il male rimonta a più in sù, parecchio tempo più in sù. E' un fatto antico. La bella storia di questi due Sassi, se voi passando per quello spazioso e divertente Appennino vi fermate a Giugnola o a Piancaldoli, alle Filigare o a Pietramala, ve la conta il popolo e perfino i ragazzi. Io l'ho sentita per quei paesi raccontare con tanta serietà e con tanta persuasione, con tutti i caratteri della verità, che ne, sono certo e sicuro: l'ha stritolato il Diavolo. Il Diavolo?! - lo udì già dire a Bologna disse a Dante nell'inferno frate Catalano, padrone un dì di Piancaldoli, e ora, pover'uomo, laggiù con Loderingo! Questo Diavolo bugiardo, che aveva fatto credere ai nostri poveri vecchi creduloni che il mondo l'aveva fatto lui e che il sole lo teneva acceso lui e tante altre belle cose, e che però bisognava avergli rispetto e piegargli il ginocchio davanti, e guai e fulmini e tempeste a chi non lo avesse fatto per bene e di cuore, nel secolo quarto era ancora adorato sui nostri Appennini, con delubri e tabernacoli lungo le vie e con stregoni nei borghi a tenerne la divozione. Tali miserie aveva vedute certamente più volte, nel portarsi a Milano per affari della Chiesa dal grande arcivescovo Ambrogio, l'arcidiacono di Firenze, Zenobio, il quale perciò, fatto -da quel santo poeta e pontefice che fu Damaso- vescovo dei Fiorentini, si era dato infaticabilmente a percorrer tutte le nostre borgate togliendo via quei tristi avanzi di paganesimo e ribenedicendole e consacrandole a Gesù Cristo. Il gran bugiardo, come la cornacchia vestita da pavone, perdeva le penne. Le aveva perse nelle belle città e nei fertili piani: ora lo facevano ruzzolar giù dai suoi trabiccoli fin per i borghi, fra le stalle di pecore! Era troppo, non lo poteva sopportare! Per quella persecuzione il povero Diavolo andò in fine su tutte le furie, e trovandosi il santo per quella via Romana che vi passava, proprio intorno a fargli atterrare l'ultimo tempio, ecco che il terribile uomo gli comparve davanti. Egli voleva con un gran colpo riacquistar la stima perduta, e così ridurre al branco le sue sbandatissime pecore. Una bella mattina d'estate... D'estate lo dico io. Che volete facesse lassù fra le bufere d'inverno il Diavolo, o magari san Zanobi, quando anche la gente del posto cercavano di venir via? In una bella mattina d'estate, dunque, il Diavolo comparve lassù. Più rabbioso, più ignorante dei solito: "Chi sei tu?" si dette a gridare al santo che predicava "chi sei tu che vieni a disturbarci anche qua? Chi è questo Gesù Cristo? Cosa cerchi? Che vuoi? lo sono il re dell'inferno, io domino i venti e le tempeste... Se tu pretendi passarmi avanti e prendermi il posto, avanti se puoi, caricati come faccio io alla presenza di tutti sulle spalle una di queste rocce e cammina! facciamo vedere chi è più forte: cammina su al monte!". Della forza certo il Diavolo ne aveva; quindi, con quella furia che prende agli uomini, e magari anche ai diavoli, quando sono stizziti, si buttò davvero sulle spallacce un macigno, e si poteva dire anche un monte, e con grande stupore di tutti si diede a salire, gridando al santo che lo stesso facesse anche lui: "Avanti, uno per uno, su alla montagna, e senza riposi. Chi vi arriva il primo, la montagna è sua... Avanti, o io ti sfido. Mi cambierò in vento e tempesta, se resti perdente, e ti sperderò dalla terra!". Che avreste fatto voi a una sfida così terribile? Il santo accettò, e raccomandandosi a Dio che lo salvasse da quell'orribile imbroglione, col segno di croce se ne caricò un altro, molto più grande e più pesante, anche lui. Ma, ahimè! quel segno di croce non ci voleva. Parve una formidabile mazzata nelle gambe del gigante, che dette un gran barcollone e cominciò a nicchiare orribilmente. Il santo, calmo e sereno, come se portasse una mannella di stoppa (c'è perfin chi dice che quell'enorme macigno lo portasse sul dito mignolo), intanto gli passò avanti. "Signor mio Gesù Cristo", mormorava camminando fra il popolo che tutto gli veniva dietro, "confondi questo nemico!". Questa invocazione finì per far cascar l'asino a quel Diavolo in commenda. Quel reo sasso lo schiacciava addirittura. Per non morirci sotto, dovette buttarlo giù, e lo buttò giù con tanta rabbia per quella brutta figura che gli toccava a fare, che lo fracassò tutto, sparendo poi tra fiamme di fuoco. Le fiamme fecero diventar rosse tutte quelle pietre d'intorno e così sono ancora. Il santo, per far convinti tutti della verità, camminò con quel popolo fino in cima la salita e posò poi lungo la via il suo sasso, convertendo così a Cristo tutta la gente della grande montagna. Potete immaginarvi la rabbia di quel Diavolo dovuto scappare. E dicono anche che un'altra cosa originale successe. Arrivati su quella montagna, i piedi di quella povera gente venuta da ogni parte sanguinavano forte. Quelle parti sono coperte d'una certa pianta che chiamano bilumaca. Non so che nome sia questo, ma so che è piena di spine e di punte acute come aghi d'acciaio e a camminarci sopra è un tormento; per via di quelle spine, né pecore né capre né altra bestia le mangia. Quei piedi sanguinosi fecero compassione al santo. Egli benedisse quelle piante, e tolse loro quelle spine crudeli. Le spine sparirono e non ci sono più ritornate. Andate a vedere: le bilumache dei sasso di San Zanobi sono di speciale bontà e non bucano. Le pecore, le capre e tutte le altre bestie le mangiano; i contadini le segano e le buttano poi in capanna con l'altro strame. Che tali meravigliose cose dovessero accadere sulla via Romana non dovette certo venire in mente a Gneo Flaminio, quando l'aperse da Roma ad Aquileia. Ora, i popoli toscani e romagnoli si adunano una volta l'anno a far festa, sul ricordo di queste memorie, a quel Sasso di San Zanobi dove c'è anche, dedicata naturalmente al gran vescovo di Firenze, una piccola cappella, e si apre, e vi si canta l'inno del santo, vi si porta in processione da Caburaccia la statua, e un oratore sacro, ogni anno, salito sopra un qualche ciglio fra quelle benigne bilumache, rifà al popolo la storia di come san Zanobi convertì i nostri padri alla vera fede. Tito Casini |