Dieci anni fa la fusione tra Scarperia e San Piero. Il sindaco Ignesti traccia un bilancio molto positivo
SCARPERIA E SAN PIERO – Dieci anni fa i cittadini di Scarperia e quelli di San Piero a Sieve scelsero di unificare i loro comuni. Il 6 e 7 ottobre 2013 andarono alle urne e il 63% votò sì alla fusione. Non fu una scelta plebiscitaria, visto che solo il 34% degli aventi diritto andò a votare, e se a San Piero furono più convinti per il sì, a Scarperia ci furono più dubbi, col sì che comunque ottenne il 55%.
L’idea della fusione fu lanciata per la prima volta a San Piero, dalla lista civica di minoranza, e poi raccolta da tutti. Il comune di San Piero a Sieve non navigava in acque tranquille, sul piano economico, e il mettersi insieme a Scarperia divenne una scelta opportuna per evitare guai più seri.
Abbiamo chiesto a Federico Ignesti, primo sindaco del nuovo comune – e ultimo sindaco di Scarperia, essendo stato lui insieme al consiglio comunale di dare il via libera alla fusione, come a San Piero fece il sindaco Marco Semplici -, di stilare un bilancio di questa esperienza, in occasione del decennale.
Sindaco Ignesti, pentito della scelta della fusione? Assolutamente no. Del resto, in questi anni, non ho mai trovati comuni pentiti di averlo fatto. Ma ho trovato tanti comuni che sono pentiti per non essere riusciti a farla. Io ne sono convinto: se non avessimo fatto l’unificazione dei nostri due comuni, si sarebbe stati molto peggio sia a Scarperia che a San Piero.
Quali i principali vantaggi della fusione? Se guardo a questi dieci anni, la considero una scelta giusta e importante. Certo, di sicuro vi saranno anche coloro che non sono contenti, magari più legati ai campanili – e neppure contesto la cosa perché un po’ di senso di appartenenza e di identità è tipico di noi toscani. Ma è grazie alla fusione che siamo riusciti a migliorare i servizi, ad avere importanti risorse economiche aggiuntive, anche sbloccando fondi congelati dal patto di stabilità, fondi che ci hanno consentito di fare investimenti e opere pubbliche – a cominciare dalla messa in sicurezza antisismica tutti gli edifici scolastici, un impegno che ci eravamo presi durante il referendum -, ed anche di rendere ancor più attrattivo il nostro comune. Tutto questo a vantaggio dei cittadini e delle imprese. Abbiamo ridotto i costi della macchina comunale rendendola più efficiente, ristrutturato gli uffici, sviluppato i servizi, con più professionalità e competenza. Prima se si ammalava un dipendente si rischiava di chiudere non l’ufficio ma l’intero servizio, ora questo non accade più, e siamo ripartiti anche con le assunzioni. Tutto questo senza gravare sui cittadini, perché in dieci anni non si sono toccate tariffe e tasse, e anzi siamo stati tra i primi in Italia ad aver abolito la Tasi, tassa che poi il governo Renzi cancellò nel 2016.
Fusione promossa a pieni voti dunque? Ma certo. Era necessario farla. Eravamo due comuni con tante cose in comune, un istituto comprensivo unico, un’area industriale, a Pianvallico, divisa da un confine anacronistico, con aziende che a un metro di distanza avevano regole diverse.
E allora perché siete stati gli unici in Mugello a fondervi? Secondo me sarebbe necessario ripensare il dimensionamento dei comuni. Cambia il mondo deve cambiare l’approccio, e anche i comuni devono evolversi. Io credo che siano più opportune fusioni tra 2-3 comuni piuttosto che fare del Mugello un comune unico. Siamo un territorio estesissimo, e anche con gestioni diverse dei servizi: in Alto Mugello ad esempio rifiuti e acqua sono gestiti da società diverse da quelle che gestiscono gli stessi servizi in basso Mugello. Ma sono convinto che alcune fusioni avrebbero rafforzato anche l’’Unione dei Comuni, come ente comprensoriale. Io credo che questo tema debba essere ripreso in considerazione: non si può pensare di non fare la fusione per il timore di perdere un po’ della propria autonomia. La fusione ti avvantaggia, e non solo il tuo comune ma tutta l’area, perché arrivano più risorse. Va bene il campanilismo, ma poi non ci si lamenti se il comune non riesce più a dare nemmeno i servizi essenziali. Sarebbe miope difendere il proprio piccolo interesse. Un ragionamento serio va fatto, Altrimenti arriva un giorno che non si riesce più a fare il bilancio e viene il commissario. Da quest’anno è obbligatorio fare i bilanci entro il 31 dicembre, salvo deroghe che devono essere fortemente motivate. Bisogna cominciare a pensarci bene. Meglio una fusione decisa in casa propria, anche se sofferta, piuttosto che farsi imporre un futuro diverso dalla Prefettura.
Ma la spinta alle fusioni non si è un po’ arrestata a livello più alto? In altre parti d’Italia, penso al Trentino ma penso anche alla Calabria, la spinta verso le fusioni è forte, c’è un’accelerazione. Ci sono tanti comuni piccolissimi e con pochissimi abitanti, e in certi casi secondo me occorrerebbe perfino un atto d’imperio da parte dello Stato. Ma la spinta alle fusioni c’è anche in realtà più grandi. A me resta però un rammarico. La Regione Toscana era all’avanguardia nel processo di unificazione tra comuni, grazie alla legge voluta da Nencini nel 2011. Ora però sento che nella nostra regione questa spinta si sta spegnendo, forse per il timore di perdere consensi, perché il tema del no alle fusioni è spesso cavalcato a livello politico. Ma è un errore fermarsi secondo me. Eravamo all’avanguardia, dimostrando un vero spirito riformista. Ora la Regione dovrebbe accompagnare e favorire il processo di fusioni, convincere e non retrocedere. Per questo di recente ho chiesto all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, della quale faccio parte, di riparlare di questo tema.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 8 Ottobre 2023
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