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“Il valore degli altri”, di Stefano Piovanelli. Recensione
VICCHIO – Il libro di Stefano Piovanelli, Il valore degli altri. Saggio sulle relazioni umane come risultato dell’operare mentale (Roma, Odradek, 2015), è un’opera molto interessante; non facile, è bene chiarirlo, ma interessante. Tuttavia, al fine di rassicurare i possibili lettori non specialistici del settore, occorre aggiungere che si tratta di un libro molto sentito, in cui si avverte forte la partecipazione emotiva dell’autore, il quale arricchisce le sue tesi e i prodotti del suo pensiero, con riferimenti alla sua esperienza professionale, umana ed anche familiare. Ecco, è proprio questa componente personale che ne costituisce una chiave di lettura indispensabile ed un elemento di spiccata originalità.
Il nucleo attorno cui ruota l’argomentazione di Piovanelli sono le relazioni umane ed in particolare la mutabilità dei e la sofferenza nei rapporti tra persone, compreso quello che ciascuno di noi intrattiene con se stesso. La considerazione che abbiamo presso gli altri e che gli altri hanno presso di noi spesso cambia con il tempo e le circostanze. E quando tale cambiamento si caratterizza in un senso peggiorativo e si manifesta in uno stato di delusione nei nostri riguardi, noi avvertiamo che il nostro valore per gli altri è diminuito e ci rimaniamo male e soffriamo. Tutto ciò sta a testimoniare che la nostra immagine è frutto non solo di quello che noi riteniamo di essere, ma anche di quello che ritengono gli altri. Per questo Stefano parla del controllo degli altri sulla nostra identità.
Le circostanze influenzano e modificano dunque il valore che abbiamo presso gli altri ed anche presso noi stessi. Piovanelli propone quindi un’analisi accurata delle operazioni mentali, spesso inconsapevoli o non adeguatamente percepite, che portano a sminuire o ad annientare il valore altrui. Ne deriva che attraverso i nostri giudizi e le nostre azioni siamo tutti al tempo stesso oppressi ed oppressori. Infatti è proprio nel disconoscimento del valore degli altri che, per l’autore, sta l’origine e la causa prima della violenza dei singoli e delle istituzioni.
Lo stesso processo di apprendimento che, sebbene ci appaia come un risultato unitario, viene indicato come “sintesi ed esito di elementi molto diversi”. In questo contesto la conoscenza di noi stessi e del mondo circostante avviene fin dalla nascita attraverso un rapporto tra pensiero, percezioni e sensi che viene definito “operare senso motorio” e che condiziona la nostra percezione, dando vita alle cosiddette “dipendenze dell’operare”, ovvero ciò che rappresenta dei vincoli in dipendenza dei quali noi eseguiamo determinate operazioni. Operazioni che avvengono in modo automatico, incontrollato e seguendo processi di carattere inconscio. Il rapporto tra dipendenze dell’operare e consapevolezza è affrontato con riferimento alla teoria del “punto cieco” di Thomas Nagel – o, come ritiene Piovanelli, dei “punti ciechi”, al plurale – , secondo cui esiste nella mente di ciascuno di noi un qualcosa che sfugge alla nostra percezione e quindi anche alla coscienza del nostro agire. La pluralità dei punti ciechi e i rapporti tra di essi, che sono all’origine di un operare di cui non ci rendiamo conto, sono riconducibili, per Piovanelli, alla già ricordata logica del né uno né molti, attorno alla quale ruota buona parte del libro. Infatti il né uno né molti rende incontrollabile il nostro agire, il nostro reagire e pure il nostro sentire e quindi condiziona fortemente il nostro rapportarsi agli altri e in maniera pressoché inevitabile anche il modo in cui consideriamo gli altri.
Il libro procede poi con l’analizzare i riflessi sociali che comportano i condizionamenti culturali e ciò che noi facciamo nostro degli altri, grazie anche al bisogno che abbiamo degli altri, del confronto, del conforto, della considerazione, dell’affetto e dell’amore degli altri. Un ulteriore elemento emotivo che determina il nostro operare in ambito sociale è il kred, ovvero quella condizione di aspettativa di qualcosa in cambio che noi assumiamo in conseguenza del nostro agire. Piovanelli analizza poi come le dipendenze dell’operare e il nostro rapportarsi agli altri possono essere condizionati, anche grazie al kred, da come ci percepiamo e ci valutiamo, se ci sentiamo cioè sudditi o cittadini, dal contesto e dal fatto se l’attività prevede il pagamento di un compenso o la gratuità, dal tipo di categoria in cui collochiamo gli altri.
Tuttavia dobbiamo rilevare che ciascuno di noi non si mostra allo stesso modo ai colleghi sul posto di lavoro, in famiglia con i congiunti, in pizzeria o in piazza con gli amici e ciò non tanto per deliberata incoerenza e doppiezza, bensì perché ogni individuo è dotato di una personalità fatta di molteplici aspetti; è insomma né uno né molti.
Altro nodo centrale del libro è il concetto di blocco e della sua capacità di condizionare e modificare la nostra percezione del valore degli altri. Ne sono prova azioni terribili di cui l’uomo si è reso responsabile su altri uomini, complice certamente non secondario il contesto in cui esse sono state compiute. Infatti il blocco induce ad una percezione dell’altro come estraneo, producendo una perdita del suo valore umano e sociale. L’autore sottolinea come inserire una persona nella categoria della estraneità significhi sottoporla ad una violenza da cui è difficile difendersi. Isolandola infatti la priviamo di quella naturale presenza degli altri, della cui conferma e della cui gratificazione ha – e abbiamo tutti noi – bisogno.
Piovanelli procede poi ad un’analisi delle varie forme di blocco, fra le quali rilievo particolare assume quella verso se stessi. Si tratta di un tipo di blocco che deriva dalla non accettazione di qualche parte del nostro corpo e soprattutto di qualche aspetto del nostro carattere e della nostra personalità. Una simile tipologia di blocco impedisce di prendere decisioni ed operare scelte, provocando in noi un senso di frustrazione e di colpa. Del resto il contrasto tra quello che siamo e abbiamo fatto da un lato e quello che vorremmo essere e vorremmo fare dall’altro genera in noi un senso di vergogna che in quanto tale presuppone la presenza degli altri, perché è nei riguardi degli altri che noi ci vergogniamo. Pertanto, vergogna, rimorso e senso di colpa sono frutto di quel blocco verso noi stessi che tanta parte ha nel determinare il nostro operare.
Molto interessanti sono poi le pagine dedicate al razzismo, nelle quali si afferma che l’inserimento degli individui in categorie – tifoserie avversarie, tossicodipendenti, ma anche strabici, storpi, balbuzienti etc. – equivale a marchiarli con il timbro della diversità e quindi a togliere loro valore. Il meccanismo giustificativo e deresponsabilizzante si avvale spesso anche dell’attribuzione della responsabilità alla vittima, cui le si imputa la colpa di essere nata schiava, di appartenere ad una razza inferiore, di essere impura, sudicia, disgustosa. Piovanelli si sofferma poi sugli effetti che la violenza produce sull’individuo che la subisce e che vanno dalla sofferenza all’umiliazione. Connesso a tale discorso è pure il processo che determina il passaggio dal blocco all’espansione, che si realizza in atti di vessazione nei confronti di persone e animali e di vandalismo e distruzione nei riguardi di cose care alla persona su cui si intende esercitare la violenza.
Stefano propone un’analisi delle relazioni umane nel complesso pessimistica, in cui risulta particolarmente marcata la cifra della sofferenza che deriva da atteggiamenti di violenza, di sopraffazione e quindi di svalutazione e di annientamento del valore degli altri. Tuttavia il libro si chiude con una proposta aperta alla speranza. Una proposta che si esprime in quell’efficace metafora della mano tesa che invita alla condivisione del dolore e della gioia e quindi alla considerazione dell’importanza degli altri e al riconoscimento adeguato del loro valore. E’ questa – si deduce – la conditio sine qua non per una società migliore.
Il lavoro di Stefano Piovanelli offre quindi una preziosa opportunità per una riflessione, un’introspezione ed un’analisi sul nostro agire individuale con tutti i suoi riflessi sulle dinamiche interpersonali e sul contesto sociale in cui si sviluppa.
Bruno Becchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 11 giugno 2016
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