L’archivio di don Milani resterà a casa Gesualdi, rigettato anche il ricorso della Fondazione
VICCHIO – L’archivio di don Milani resterà alla famiglia Gesualdi. Il Tribunale di Monza ha rigettato il ricorso che la Fondazione Don Lorenzo Milani, tramite il suo presidente Agostino Burberi, aveva presentato contro l’ordinanza dello scorso 19 Gennaio, con la quale il Tribunale di Monza aveva deciso in merito alla causa che vedeva contrapposti la Fondazione, da una parte, e la moglie la figlia di Michele Gesualdi, Carla Carotti e Sandra Gesualdi, stabilendo che l’archivio dovesse rimanere alla famiglia Gesualdi.
Nella nuova ordinanza vengono ribadite dal Giudice le motivazioni della precedente, scrivendo: “Ritiene il Tribunale che il reclamo proposto sia infondato, condividendosi in pieno le motivazioni che hanno indotto il giudice della prima fase a rigettare il ricorso proposto dalla Fondazione Don Lorenzo Milani”. Anche in questo provvedimento si fa riferimento, come elemento importante e dirimente, alla donazione di parte dell’archivio effettuata da parte della famiglia Gesualdi, Carla Carotti, moglie di Michele Gesualdi, ed i suoi tre figli, Sandra, Daniele ed Emanuela Gesualdi, alla Fondazione nel Maggio del 2019. Quando questi donarono alla Fondazione “un compendio di beni quasi tutti materiali didattici utilizzati negli anni ’60 dalla Scuola di Barbiana che erano stati di proprietà di Michele e da loro ereditati”.
Scrive in merito il giudice: “Ciò in quanto la donazione di tali beni, con esclusione, quindi, della rimanente ma non meno importante quota parte del materiale archivistico rimasto presso l’abitazione per oltre cinquant’anni, manifestava chiaramente due cose che non avrebbero di certo potuto – né tanto meno dovuto – essere sottovalutate: da un lato, la convinzione (il c.d. animus) dei donanti di ritenersi proprietari esclusivi di tutto l’archivio, sia didattico che non, presente all’interno dell’immobile; dall’altro lato e conseguentemente, la permanenza di tale animus con riferimento a tutto l’archivio non “donato”, che poi è quello oggetto del presente giudizio, accompagnato dalla detenzione materiale dei medesimi beni, il che avrebbe necessariamente presupposto un’opposizione da parte di chi, non solo da allora ma, quantomeno, dalla data della costituzione della Fondazione avvenuta nell’anno 2004, si riteneva, poco importa se legittimamente oppure no, proprietario/possessore dei medesimi beni”.
Tra le altre motivazioni formali, l’ordinanza contesta alla Fondazione di non aver agito in maniera adeguata già dal 2021, quando la questione era emersa al momento in cui venne rigettata la domanda di associazione di Carla Carotti, lasciando così trascorrere i termini. Si legge infatti: “Se già alla data 25.9.2021 era più che evidente alla Fondazione il rifiuto di Carla Carotti (e inevitabilmente anche della figlia Silvia – così è scritto nella Sentenza, ma trattasi della figlia Sandra ndr –) di consegnarle il materiale archivistico detenuto presso il proprio immobile, che, per inciso, non poteva che essere quello oggetto della presente azione possessoria stante l’avvenuto trasferimento ben due anni prima di tutto il materiale didattico utilizzato negli anni ’60 dalla Scuola di Barbiana, al più entro un anno da tale ultima data avrebbe dovuto essere instaurato il presente procedimento possessorio, non essendo pertanto in alcun modo legittima la postergazione del dies a quo sino alla data dell’ultima pubblicazione”.
Infine l’ordinanza entra anche nel merito della questione:
“Quanto appena esposto esimerebbe il Tribunale dal procedere all’esame del merito, se non fosse che anche sotto tale aspetto il reclamo è indiscutibilmente infondato e, per amore di verità, occorre darne atto. Se è vero, infatti, che la Fondazione è stata costituita nell’anno 2004 e che giammai ha avuto la materiale detenzione di tale archivio, manca in atti ogni collegamento materiale pregresso con la res, neppure indicata quale facente parte del patrimonio costitutivo dell’ente, essendo il relativo collegamento desumibile unicamente, come peraltro ribadito in udienza anche dal legale della Fondazione, Avv. Pietro Ichino, che ha tenuto a leggere tutte le relative menzioni contenute nelle pubblicazioni precedenti e già prodotte nel corso della prima fase, da citazioni – anche riferibili allo stesso Michele Gesualdi e alla figlia Sandra – che, tuttavia e contrariamente a quanto sostenuto dal difensore, non assurgono affatto a confessioni stragiudiziali nella misura in cui fanno generico ed atecnico riferimento ad un archivio la cui riconducibilità all’ente avrebbe dovuto essere contestualizzata rispetto alla sede in cui tali locuzioni sono state concretamente utilizzate. Anzi, dai documenti prodotti in causa emerge l’esatto contrario se si considera, da un lato, che in data 8.2.1970 la madre di don Lorenzo Milani, Alice Milani Comparetti Weiss, anche a nome degli altri figli viventi, aveva ceduto a Michele Gesualdi il diritto di proprietà e di pubblicazione delle “Lettere” del figlio, all’epoca indicate nel numero di 123 (cfr. in tal senso il documento n. 6 prodotto dalle reclamanti), con conseguente trasferimento in capo allo stesso Gesualdi del diritto di pubblicarle”. Si citano poi due lettere manoscritta di Michele Gesualdi, del 27 Maggio del 2012 e del gennaio 2018, nelle quali definisce l’archivio come “privato e personale”.
Fino al dispositivo finale, secondo il quale l’insieme di tali elementi: “induce il Tribunale a confermare integralmente l’ordinanza impugnata con conseguente rigetto del reclamo proposto e condanna della Fondazione alla rifusione delle spese di lite sostenute da entrambe le controparti, costrette a costituirsi nella presente fase di giudizio”.
Commenta Sandra Gesualdi: “Abbiamo vinto la prima sentenza e anche il ricorso. Questo mette la parola fine a una storia di una tristezza e di una volgarità inaudita. A un fratricidio intrapreso nel centenario di don Milani contro la memoria di Michele Gesualdi e dello stesso don Milani; del quale non ho capito il senso. La sentenza – aggiunge – è chiarissima e trasparente, come la vita di mio babbo, e la verità e la giustizia hanno fatto il loro corso. Adesso – conclude – io chiedo le dimissioni del Cda della Fondazione, certe persone non possono continuare a portare avanti il nome e l’opera di don Milani. Invece di investire in progetti che fanno bene alla scuola, agli ultimi di cui tanto parlano, li hanno investiti per fare questa cosa così volgare e assurda”.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 19 Marzo 2024
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