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Mukki e Mugello, fuori dal coro
Allevatori e sindaci mugellani insieme al sindaco di Firenze Dario Nardella, in difesa delle stalle mugellane
Mukki Latte e il Mugello. Un tema che, da qualche settimana, troneggia nell’agenda politica e, di rimando, in quella giornalistica, del nostro territorio. Da una parte la vertenza che intende salvaguardare la filiera agro-alimentare mugellana, i posti di lavoro, la difesa del marchio legato agli allevamenti ed alla produzione casearia del luogo. Dall’altra l’assetto societario, una matassa intrecciata fra azionariato pubblico, la maggioranza, e quello privato, attualmente in minoranza. Ovviamente, niente c’è da recriminare, tantomeno nulla da disquisire, su tutto quanto sia riconducibile al primo aspetto. Anzi, ogni altra azione che possa, in qualche modo, corroborare la tutela della produzione e del lavoro sarebbe certamente da condividere ed incentivare. Senza se, senza ma.
Tuttavia è la dialettica e le argomentazioni che vagano attorno al secondo aspetto, quello dell’assetto societario, che lasciano perplessi. E, ancora una volta, specie su questo punto, la politica non lesina apparizioni e comparsate per ritagliarsi la propria visibilità. Fra strumentalizzazione e ipocrisia. L’eterno tema delle privatizzazioni, con l’aulica contrapposizione fra i no dei responsabili e si degli incoscienti.
Cercherò di spiegarmi. Ai sensi della normativa dello Stato, oggi in vigore, l’attività di allevamento del bestiame e quella casearia, certamente, non sono considerate né equiparate ad un servizio pubblico. Ed in assenza di questo requisito è sorprendente rilevare che gli enti pubblici, di diverso grado, siano presenti nel capitale sociale di una tale azienda che ha fini prettamente commerciali. Indubbiamente, nella fattispecie, l’alea imprenditoriale ha generate, comunque, delle plusvalenze, senza cioè gravare, almeno negli ultimi tempi, sui bilanci degli stessi enti pubblici. Però, è altrettanto lecito che un qualunque cittadino si chieda : perché gli enti pubblici sono azionisti in questo tipo di commercio e non nell’industria degli scaffali metallici, delle coltellerie, in quella dei pistoni per auto e moto, dei condimenti e delle spezie, degli agriturismo, delle agenzie di viaggio, degli outlet, dei pronto-moda e, insomma, in tutte le altre attività presenti sul territorio. E’ una discriminazione inaccettabile. Un’ingiustizia sociale che privilegia solo una parte dell’imprenditoria del luogo a scapito di altre.
Intendiamoci, io non ho i titoli per dire, e stabilire, se il pacchetto azionario degli enti pubblici debba essere ceduto ad un gruppo industriale piuttosto che ad un altro. Però ho la consapevolezza che, in ogni caso, le quote societarie pubbliche debbano essere cedute. Certo, con le dovute cautele e nel rispetto delle persone che lavorano attorno a questa filiera. Tutti sono concordi nell’attestare che Mukki Latte è un fiore all’occhiello del territorio, frutto dell’impegno dell’imprenditoria e delle maestranze locali. Gli esercizi finanziari, del resto, ne testimoniano i risultati. Sicché non c’è una sola ragione che possa giustificare la presenza degli enti pubblici nel capitale sociale.
Lo dico e lo chiedo, in nome e per conto, ma senza averne alcuna delega, di tanti altri, cittadini e aziende, verso i quali questi stessi enti pubblici non hanno avuti gli stessi riguardi. Piaccia o non piaccia, solo un pensiero.
Gianni Frilli
© Il filo, Idee e notizie dal Mugello, febbraio 2015
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