Nessuno tocchi il Tannino!
BORGO SAN LORENZO – Il professor Alessio Abbarchi ci ha scritto per commentare il progetto di AUSL, Comuni e Regione di realizzare nell’area del Tannino a Borgo San Lorenzo un centro di medicina sportiva (articolo qui). Un commento a difesa della tipica struttura esistente, con la sua grande ciminiera, patrimonio di archeologia industriale.
Il Tannino è una testimonianza di architettura industriale della prima metà del XX secolo. Un tipo di architettura che ha stimolato grandissimi artisti a forgiare la tipologia pittorica del paesaggio urbano del novecento, orgoglio del nostro Paese. Confrontate il Tannino per esempio con “Paesaggio urbano” di Mario Sironi, del 1940. L’edificio del dipinto ha esattamente tre corpi a capanna allineati e poi la ciminiera, come il Tannino, guarda caso! Non sono identici, sono simili, quanto basta a richiamare quei paesaggi urbani che negli anni trenta e quaranta caratterizzavano intere zone industriali magari di periferia conferendo un aspetto insieme moderno e magico alla zona interessata. Quegli artisti hanno sapientemente rielaborato quelle sensazioni estetiche trasmesse da architetture industriali e ne hanno fatto capolavori dell’arte italiana in bilico tra Futurismo e Metafisica, capolavori riconosciuti come tali nel mondo.
Abbiamo in pratica a Borgo San Lorenzo un pezzo della nostra identità culturale codificata nel XX secolo, un “Paesaggio urbano” metafisico in carne ed ossa, se mi si passa l’espressione, e non siamo in grado di riconoscere che esso deve essere tutelato come un bene storico-artistico-architettonico, come fonte di identità culturale, in conformità all’art. 9 della Costituzione? Che cosa si vorrebbe fare esattamente del Tannino, di questa stupenda architettura industriale?
Quello che si può dire, senza tema di smentita, è semplicemente che essa debba essere in ogni caso salvaguardata senza se e senza ma.
Non dico che non si debba avere un centro di medicina sportiva a Borgo San Lorenzo, dico semplicemente che la novità positiva di questo Centro debba poter sussistere senza divenire una scure distruttiva sul tessuto urbano nobile del passato, storicizzato e nobilitato anche dall’arte di eminenti artisti, cosa che il Tannino rappresenta esemplarmente, più che degnamente! Dico che possono esistere l’una struttura e l’altra insieme.
Ma dico anche che se l’una già esiste, nelle sue forme e nel suo codice estetico architettonico-urbanistico, frutto dell’elaborazione culturale del Novecento italiano, l’altra deve ancora sorgere. L’una dunque precede ed è per questo già nobilitata, l’altra segue (o potrebbe seguire) e deve all’altra del rispetto, come lo si deve ad un anziano.
Se la nuova struttura dovrà esistere quindi, è bene che ciò avvenga senza ledere l’altra. Se ciò non dovesse essere possibile, l’articolo 9 della Costituzione deve necessariamente prevalere, anche perché della seconda -diciamocelo chiaramente- nessun concittadino ha mai sentito seriamente e realmente l’esigenza.
In questa faccenda, in pratica, penso che sia bene non ripetere certi errori che troppo spesso nel passato del nostro Paese sono stati commessi”.
Alessio Abbarchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 gennaio 2018
Stupenda architettura industriale?……
“I buoi sono già scappati” ed adesso è inutile chiudere porte a stalle vuote!
Se le passate scelte ci vedono pentiti riparatori, non è certo questo plesso col quale poterci far riscattare dalle allora SI scelte scellerate!
Piuttosto ci sono edifici come l’Ospedale di Luco da salvare e verso il quale lei Prof. Abbarchi, non mi risulta abbia speso così tante parole altrettanto angosciate.
“Senza cambiamento non c’è cambiamento!
Cominciamo con un enunciato tautologico: il cambiamento è il cambiamento!
Questa ovvietà è quantomeno utile, si spera, a chiarire il fatto che senza
cambiamento non c’è e non può esserci cambiamento.”
Queste parole Sig. Abbarchi, non sono le mie ma provengono da un Suo recente intervento in rete!
Tornando al nocciolo della questione, l’area del Tannino di recente costruzione (1936) costituita da anonimi e inqualificabili capannoni squadrati e coperti con lamiere dipinte, e da una ciminiera non in mattoncini di cotto Fiorentino come dovrebbe essere per rispettare i canoni di una possibile archeologia industriale, ma da blocchi di indecifrabile materiale che poi per necessità (data la presenza della pista di atterraggio elicotteri) fu dipinta con colori sgargianti ed inibitori di una improbabile dignità.
Questa ciminiera rappresenta anche un pericolo sia per le manovre di emergenza dello stesso elicottero, sia per l’incombenza su qualsiasi attività aperta al pubblico debba poi essere destinata ai suoi piedi, specialmente in caso di evento sismico.
Allora, guardiamo avanti e non ci poniamo sempre contro i cambiamenti e tanto meno a questa iniziativa che finalmente ci vede destinatari di importanti risorse che, con la sterile polemica fine a se stessa, potrebbero poi essere destinate altrove!
Così stupenda da stimolare emozioni estetiche metafisiche! Che male c’è?!
Ma andiamo con ordine.
Per quanto riguarda il numero di parole spese per l’Ospedale di Luco, è difficile a dirsi, visto che non tutto si scrive o si pubblica. Ci sono cose che si fanno e non compaiono, cose che si fanno e di cui non si sente dire. E’ normale. In ogni caso proprio ieri ho scritto a una collega iscritta al FAI sull’argomento. Certo non ho speso molte parole, è vero, anche perché spendere parole per tutto non è possibile e anche perché l’acquisizione del plesso da parte della Regione mi è sembrato un atto di così buona volontà che, in altri termini, lo consideravo (a torto o a ragione) in buone mani.
Senza cambiamento non c’è cambiamento! Sì, è il titolo di un articolo dell’11 ottobre 2017 che si riferiva a questioni prettamente politiche, totalmente avulso dal contesto inerente la conservazione dei beni culturali.
La mia non era una frase assolutistica ma che si riferiva a qualcosa di preciso. Sarei dunque incoerente? Può darsi ma qui la questione è un’altra ed più importante della mia presunta, ancorché tutta da dimostrare, incoerenza.
Dico soltanto che tutto dipende da ciò che deve essere l’oggetto del cambiamento! Si cambia ciò che è negativo, si mantiene ciò che è positivo.
Il cambiamento in questo caso consiste nel cambiare mentalità per passare da una mentalità distruttiva ad una mentalità conservativa, per passare cioè esattamente ad un tipo di mentalità che, qualora fosse stata adottata in passato, avrebbe permesso a Borgo San Lorenzo di conservare almeno le ciminiere del Brunori e la Loggia dei marroni per fare degli esempi. Ragion per cui non ci sarebbe bisogno oggi di battersi il petto in segno di pentimento per quelle scelte scellerate. Perché pentiti magari lo si è davvero, quanto all’essere riparatori…nutrirei qualche dubbio. Infatti al di là delle più nobili intenzioni è difficile riparare ad un danno come l’annientamento di un intero edificio, qualsiasi esso sia, ma particolarmente se l’edificio rappresenta una testimonianza di un’epoca storica.
La difficoltà sta sempre nel riconoscere il “bene culturale” e nel motivo per cui deve essere riconosciuto come tale. Avvolte ci si arriva dopo!
E’ questa la difficoltà che si ripete sempre uguale a se stessa nel tempo e che dovrebbe cambiare.
Vorrei spiegarmi meglio (e per fare ciò devo necessariamente ricambiare il favore della citazione). Lei scrive: “Se le passate scelte ci vedono pentiti riparatori, non è certo questo plesso col quale poterci far riscattare […]”. Ma questa è una frase che avremmo potuto benissimo sentir pronunciare proprio da coloro che poi hanno distrutto Fornaci e Logge dei marroni. L’errore si ripete. Dunque il cambiamento consiste nel non ripeterlo, senza cambiamento non c’è cambiamento ma purtroppo l’errore si ripete sempre uguale a se stesso!
Ma anche la frase “Allora, guardiamo avanti e non ci poniamo sempre contro i cambiamenti e tanto meno a questa iniziativa che finalmente ci vede destinatari di importanti risorse che, con la sterile polemica fine a se stessa, potrebbero poi essere destinate altrove!”, anche questa frase dicevamo, avremmo potuto sentirla pronunciare da chi ha distrutto le citate strutture (tralascerò di citare quelle che furono, con argomenti simili, distrutte a Firenze nel corso della sua storia, errori che grazie a queste argomentazioni si ripetono sempre uguali e mai cambiano!).
E, vista la scarsa propensione generale a prodigarsi nelle riparazioni, meglio sarebbe stavolta prevenire poiché prevenire è certamente meglio che curare soprattutto se curare e riparare vengono, come in questo caso, sintomaticamente a coincidere nel senso e nella sostanza.
Certo, se non si riesce a dire di “Paesaggio urbano” di Sironi: <> Difficilmente si potrà dire del Tannino: <>, me ne rendo perfettamente conto. Personalmente siccome non ho difficoltà nella prima mi risulta facile anche la seconda. Mi rendo conto, è un questione di sensibilità personale, di formazione culturale (ognuno ha la sua e sono tutte legittime e nobili a proprio modo). Proprio per questo potrebbe risultare utile confrontare le varie sensibilità personali e formazioni culturali. Per esempio ritengo interessante l’attenzione che viene posta sulla qualità dei materiali da costruzione dell’edificio in questione. Rappresenta per me un qualcosa da approfondire anche alla luce delle norme antisismiche e anche perché potrebbe avere più che una qualche pertinenza nella questione in generale. Tuttavia se non conservi l’edificio è chiaro che non puoi appurare dove e come metterlo a norma antisismica, quindi, in ogni caso, primum existere!
Ma non bisogna travisare il mio articolo, nel senso che la bellezza del Tannino, secondo il mio articolo, prescinde dalla questione dei materiali (e non per questo non è degna di essere posta) per rivolgersi espressamente alla “presenza esteriore” se mi si passa l’espressine cioè a dire alle linee, alle superfici, ai volumi esterni. Queste linee, queste superfici, questi volumi, richiamano ad un mondo industriale che non c’è più (da cui la necessità della conservazione come testimonianza) ma che ha potuto imprimersi nella sensibilità di artisti che hanno fatto la Storia dell’Arte, ripeto e sottolineo la Storia dell’Arte! Ragion per cui si crea un gioco sottile, un sottile gioco metalinguistico di rimandi sulla cui dialettica Umberto Eco avrebbe potuto dire la sua: la pittura imita e spiega l’architettura ma anche l’architettura imita e spiega la pittura, l’architettura di Aldo Rossi ne è un esempio concreto. Così volenti o nolenti, per intenzione o per caso oggi abbiamo a Borgo San Lorenzo un edificio che imita la pittura da cui fu un tempo imitato, testimonianza concreta di un sottile gioco metalinguistico tra due delle arti che hanno reso grande la nostra Italia, abbiamo un dipinto di Sironi che si è materializzato di fronte ai nostri occhi e che fa bello il nostro Comune e…cosa dovremmo fare? Abbatterlo perché altrimenti certi fondi andrebbero destinati altrove? Dovremmo rinunciare ad un confronto culturale sull’art. 9 della Costituzione, sullo status di “bene culturale” e sul principio generale di riconoscimento e di conservazione dei beni demoetnoantropologici materiali e immateriali, DEA, definizione che contiene anche la nozione di antropologia culturale col suo portato di variabilità culturale nei diversi contesti sociali anche occidentali e urbani (sottolineo occidentali e urbani), dovremmo rinunciare ad una battaglia di civiltà dicevamo, per un mero calcolo sui fondi che altrimenti andrebbero altrove? Senza considerare che l’ipotesi di riedificare integralmente l’Ospedale, la migliore secondo il mio modesto giudizio, porterebbe molti più fondi e maggiore sicurezza antisismica. Comunque se i fondi per via dei quali il Tannino verrebbe distrutto vanno altrove, non vi è che da essere contenti! Quando un edificio è a “firma” Sironi o De Chirico, non è più anonimo, diviene un BENE CULTURALE E ARTISTICO!!!
Senza le testimonianze del passato non può esserci futuro. Distruggiamo senza saperlo la bellezza, la storia, il passato. Ce ne accorgiamo sempre dopo, quando è troppo tardi per riparare (ma non per pentirsi). Dovremmo innanzitutto imparare che la conservazione del passato non inficia in alcun modo la costruzione del futuro. E qui vengo ad una seconda questione. Siccome non ho ragione di dubitare della Sua onestà intellettuale, sono certo che saprà facilmente rintracciare nel mio articolo queste parole (e mi scuso per l’autocitazione): “Non dico che non si debba avere un centro di medicina sportiva a Borgo San Lorenzo, dico semplicemente che la novità positiva di questo centro (nota bene: novità positiva, ndr) debba poter sussistere senza divenire una scure distruttiva sul tessuto urbano nobile del passato, storicizzato e nobilitato anche dall’arte di eminenti artisti, cosa che il Tannino rappresenta esemplarmente, più che degnamente! Dico che possono esistere l’una struttura e l’altra insieme”.
Accusarmi di non guardare avanti solo perché amo conservare le cose belle del passato o perché vorrei che nel futuro ci fosse ciò che del passato giudico bello, è un’accusa che non ha fondamento.
Si cerchi un’altra soluzione (perché c’è) e la si troverà, anzi, probabilmente se ne troveranno molte di alternative, con un po’ di buon senso, di volontà e di spirito di iniziativa!
Non pretendo certo di aver convinto nessuno ma penso che si possano trovare in questa mia e nell’altra se non altro, elementi utili almeno per dimostrare che non si tratta di una sterile polemica ma di una convinta posizione dovuta a personale sensibilità e formazione e che non disdegnerò di riproporre nelle sedi più appropriate!
Prof Alessio Abbarchi
Errata corrige e omissis: Alessio Abbarchi e non bbarchi evidentemente.
Poi alla riga 22 se non erro: A volte e non Avvolte, chiaramente.
Non compare alla riga 37 circa l’espressione “che bel dipinto!” né successivamente “che bella architettura!”
Riscrivo quindi l’intero periodo: “Certo, se non si riesce a dire di “Paesaggio urbano” di Sironi: “che bel dipinto!” difficilmente si potrà dire del Tannino: “che bella architettura!”, me ne rendo perfettamente conto”.
Cordialmente
Prof Alessio Abbarchi
“Quando un edificio è a “firma” Sironi o De Chirico, non è più anonimo, diviene un BENE CULTURALE E ARTISTICO!!!”
Questa Sua affermazione mi fa pensare a certe tattiche politiche di dell’ultimo ventennio che con il dominio dell’informazione ed attraverso la ripetizione ossessiva di concetti inattendibili e astrusi, questi per magia divenivano poi la verità assoluta…….non me ne voglia,io ho molta stima di Lei.
Ho trovato un recente articolo di un lettore del quale ne cito un estratto:
“Il tannino o “acido tannico” prodotto in tale stabilimento di Ripa costruito nel 1936 e rimasto attivo solo 15 anni circa), serviva per l’uso conciario delle pelli, e veniva estratto dai tronchi (il famoso terriccio con tannino per concimare i vasi di fiori).
In quegli anni nel disinteresse generale, se non con l’unico interesse del proprietario della fabbrica, fu fatta una sistematica “strage di castagni”, anche quelli piantati nell’anno 1000 a Moscheta da San Giovanni Gualberto, quando edificò l’omonima abbazia per sfamare la gente di montagna.
Infatti a tutt’oggi dopo quasi 70 anni dalla chiusura dello stabilimento del tannino, recandosi nei boschi sopra Moscheta si trovano ancora ceppi enormi di diametro di 8/10 metri, ossia castagni di 1000 anni fa, abbattuti per il “tannino” e trasportati a Borgo perché tale acido venisse da loro estratto.
La produzione del famoso marrone IGP Mugellano è stata quest’anno 2016 di 6.000 tonnellate; 80 anni fa (prima degli abbattimenti indiscriminati di castagni) era di 100.000 tonnellate, quindi si vede e si sente la differenza (il 94% in meno).
La fabbrica del tannino come sopra detto, ebbe vita breve (meno male altrimenti non c’erano più castagni nel Mugello e Alto Mugello) e rimase come cattedrale nel deserto; negli anni poi, è stata via via attorniata dalle costruzioni del Borgo che si è dilatato verso tale direttrice.”
Questa struttura non affonda le sue radici nel laborioso periodo della seconda rivoluzione industriale, dove l’evoluzione economica anche della società Borghigiana si trasformò da sistema artigianale ad industriale;
bensì fu un COLPO DI MANO di un “predatore senza scrupoli” che in soli 15 anni depauperò il patrimonio boschivo dei territori limitrofi e dei castagneti millenari!
Ancora aleggia nell’aria e negli animi il rammarico di tale perdita come una ennesima guerra perduta!
Per fare questo scempio, si costruì frettolosamente un edificio senza orpelli e senza anima , come del resto appare oggi…..una baracca provvista di un bruciatore, per poi scappare via con la refurtiva!
In pratica “sedotti e abbandonati”.
Allora, prima di attribuirgli meriti che non ha, riflettiamo su cosa veramente rappresenta questa presenza ALIENA sul nostro territorio!…Il ricordo di uno stupro!!!
Non è arroccandoci sulle nostre due opinioni che renderemo un servizio alla COMUNITA’,
perché è quest’ultima che ci ha già preceduti disdegnando questa ennesima SI infamità commessa sul territorio e sul suo patrimonio;
e così, alla stregua di un odiato dittatore, essa desidera ugualmente destinarlo all’oblio.
Egregio Sig.r Rocchini,
non so che cosa ci sia di astruso o di inattendibile nella frase che ha citato. Se per inattendibile si intende che l’edificio non è firmato realmente da Sironi o da De Chirico ne convengo: l’architetto non è Sironi né De Chirico, non è questo che intendevo. Ma dubito che non si sia compresa l’evidente idealità dell’attribuzione, dubito cioè che si sia frainteso il senso generale di ciò che intendevo dire. Ancor meno comprensibile è la definizione di astruso. La frase in sé è comprensibilissima, quindi l’astruseria starebbe altrove, ritengo, ma dove? Forse al modo con cui vi pervengo? Sarebbe astrusa l’allusione al gioco metalinguistico per esempio? Il gioco metalinguistico tra linguaggio pittorico e linguaggio architettonico c’è stato in passato, c’è oggi e ci sarà in futuro. Da questo gioco si sono sviluppate in passato, la prospettiva, l’assonometria, le proiezioni ortogonali, le proiezioni centrali. Nel presente sembra avere interessato architetti come Aldo Rossi. Pare essere stato utile quindi. In questa struttura, il Tannino, così evidentemente simile a quelle usate da Sironi, questo gioco cui dà mano anche il tempo è esemplare ed è un fattore di interesse culturale, al di là della storia industriale vera e propria dell’edificio.
Quanto poi alle tattiche politiche io non so se c’è della tattica politica in quell’enunciato so soltanto che io la penso così, trovo l’enunciato vero e pertinente. Le tattiche politiche nondimeno vi sono in questa vicenda, è vero, ma non sono le mie che non ho potere mediatico tale da rendere gli enunciati ripetitivamente ossessivi e volti a plagiare il destinatario, ma sono altre. Una di queste la potremmo definire la tattica del mettere di fronte al fatto compiuto! Se dai in pasto ai cittadini che la cosa sia già realizzata, se li illudi che ci sono già i progetti esecutivi, chi si potrebbe prendere la briga di riportare la cittadinanza alla realtà con tutti i rischi che si corrono quando togli di mezzo una specie di sogno? Chi potrebbe assumersi questo rischio, la responsabilità di dire che si stanno facendo i conti senza l’oste se la popolazione non sa che l’oste esiste, semplicemente perché nella tattica politica adottata si è ritenuto di non dover menzionare mai l’oste? Un’altra tattica la potremmo definire quella delle trattative a porte chiuse! Anziché interrogare l’organo preposto e democraticamente eletto a discutere della destinazione dell’Ospedale, dei suoi sviluppi e delle sue integrazioni, cioè il Consiglio comunale, si arriva a tale Consiglio con progetti già discussi altrove, pare a porte chiuse! La cosa, secondo indiscrezioni, avrebbe già fatto infuriare non solo l’opposizione, ma parte della maggioranza!
E così vorrei dissipare un equivoco: la popolazione di Borgo San Lorenzo non ha deciso niente né ha minimamente toccato palla!
Si cita la storia del Tannino di cui ero abbastanza al corrente. Tuttavia mi permetto alcune precisazioni circa questa storia.
I castagni del diametro di 8/10 metri non si troverebbero né a Moscheta né altrove! E quale circonferenza dovrebbero mai avere? 8/10 X 3,14 = dai 25,12 ai 31,4 m di circonferenza? Forse neanche le sequoie, se è vero, come dicono, che una delle più grandi al mondo avrebbe un diametro di 7,9 m, quindi ne dubito! La raccolta delle castagne e dei marroni poi ha risentito anche di altri fattori, sia politici che organizzativi, sia di fenomeni sociali come lo spopolamento dei boschi e delle campagne sia di fenomeni dovuti a malattie o parassiti che realmente hanno messo in crisi la produzione anche di recente, non ultimo fattore la concorrenza. Penso che i numeri riportati potrebbero essere alquanto ridimensionati da una attenta ricerca e particolarmente potrebbe essere ridimensionata la responsabilità del Tannino.
L’eccesso di zelo nel taglio dei castagni c’è stato, è vero, ma ne è responsabile l’inerte stabilimento o gli zelanti tagliatori? E tutti zitti a guardare? La società poteva regolare in vario modo la cosa e non lo ha fatto. Ci sarà forse anche una responsabilità in questo senso? Probabilmente sì.
Quindi, pur non volendo assolvere del tutto il Tannino dalle sue responsabilità, probabilmente bisognerà pur ridimensionare il ruolo che ha avuto sulla diminuzione della produzione dei marroni. Inoltre l’industria della pelletteria costituita da piccole e piccolissime aziende ha avuto un se pur minimo ruolo nella crescita industriale ed economica della zona e l’acido tannico che serviva per conciare le pelli ha sostenuto questo circuito. Quindi non credo che si possano vedere solo lati negativi nella storia industriale del Tannino. Ma se anche si volessero vedere solo lati negativi nella sua storia, questi prescindono completamente dal discorso che facevo, e faccio io, che riguarda l’intrinseca nobiltà dell’estetica architettonica, del tutto indipendentemente dalla storia dell’acido tannico che per essere estratto avrebbe messo in crisi la produzione dei marroni.
Ero al corrente della storia del Tannino eppure trovo che questa sua storia non infici la dignità del suo aspetto che del tutto indipendentemente da questa, ripeto, rispetta pienamente la tipologia dell’architettura industriale italiana coeva. Quell’architettura che è stata alla scaturigine di tanta bella pittura. I meriti che elenco del Tannino quindi riguardano espressamente aspetti dell’estetica dell’architettura coeva e delle arti che vi si ispirarono che generarono insieme, sinergicamente, la tipologia del paesaggio urbano del novecento che tanta gloria ha portato all’arte della nostra Italia.
Picasso quando incontrava degli italiani o si recava in Italia per prima cosa chiedeva agli autoctoni interlocutori: Come sta Sironi?
Questo attesta la stima e l’alta considerazione che il genio artistico del secolo aveva per artisti come Sironi, artisti che si esprimevano con un linguaggio moderno, nonché modernizzato anche dalla citazione delle moderne architetture.
Posto che non tutti si ricordano della storia del Tannino, posto che tra coloro che se lo ricordano non tutti probabilmente gli attribuirebbero solamente quell’oscuro ruolo, il Tannino è per ora ancora nelle mani di un privato, non è stato quindi abbandonato del tutto e il popolo non ha ancora deciso niente in proposito anche perché non può. Ma sarebbe giusto informarlo correttamente. Pavento però che al popolo interesserebbe di gran lunga più un reparto senologia pienamente funzionate che un centro di medicina sportiva, perché il diritto alla salute è un diritto inalienabile della persona, la medicina sportiva, pur nobile, non è sentita con altrettanta necessità dai borghigiani, che mai si sono stracciati le vesti per averla, di quanto sia sentita la necessità di debellare un tumore al seno. E’ un argomento serio.
Quindi, in definitiva, quello che viene dato per scontato e per fatto, non solo non è fatto (evidentemente) ma non è neanche scontato. Certo però viene fatto passare come tale per una evidente tecnica politica.
Inoltre ci sono delle norme che tutelano certi edifici e meno male che ci sono perché altrimenti! Beni pubblici o privati non lucrativi con più di 50 anni e il cui costruttore o autore è deceduto sono già tutelate come beni di interesse culturale.
Non so se sia il testo più aggiornato ma cito da L’INDIVIDUAZIONE DEI BENI CULTURALI DI APPARTENENZA PUBBLICA E DI ENTI PRIVATI NON LUCRATIVI di Nicola Aicardi, Dipartimento di Scienze Giuridiche “A. Cicu” Alma Mater Studiorum, Università di Bologna:
L’art. 12 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42: di seguito il “Codice”) disciplina ora innovativamente il modo di individuazione dei beni culturali di proprietà degli enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro.
[…] si precisa che “il Ministero esercita le funzioni di tutela sui beni culturali di appartenenza statale anche in consegna o in uso ad amministrazioni o soggetti diversi dal Ministero”.
[…]Il nuovo sistema – ad avviso di chi scrive – poggia su una presunzione legale, ma soltanto relativa (iuris tantum), di sussistenza dell’interesse culturale in tutte le “cose immobili e mobili” appartenenti allo Stato, ad ogni altro ente o istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, “che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni”.
[…] La verifica è dunque configurata, dalle norme del Codice in analisi, come un onere cui l’interessato deve sottoporsi in vista dell’eventuale sottrazione dei beni di sua appartenenza al regime di tutela (per il caso di esito negativo della verifica). Fintantoché egli non vi provveda, il bene resta assoggettato al regime di tutela integralmente ed a tempo indeterminato.
In ultima analisi, il nuovo sistema di individuazione dei beni culturali di appartenenza pubblica e di enti privati non lucrativi ammette cioè – come ipotesi né eccezionale né anomala – l’assoggettamento al regime di tutela, in modo pieno e durevole, di beni il cui interesse culturale non sia positivamente verificato e per i quali un atto di verifica di tale interesse potrebbe anche non intervenire mai. Si ripete, tuttavia, che la presunzione di “culturalità” non è in ogni caso assoluta, potendo in qualunque momento essere richiesta o disposta d’ufficio la verifica positiva dell’effettiva sussistenza di quanto legalmente presunto iuris tantum”.
Il plesso in questione rientra in tali definizioni? Penso di sì ma vedremo.
Se così dovesse essere l’onere della prova che si tratti di un bene che non ha valore culturale spetta a chi lo vuole abbattere.
Come si intende procedere? Con l’acquisto? Con l’esproprio? Si proceda come si crede, ma prima questi passaggi devono avvenire, il plesso deve essere acquisito dal Comune, poi lo stesso Comune devrà prendersi la briga di appurare l’inesistenza dei requisiti di culturalità e poi si potrà parlare di progetti.
Ricordo che si citavano i buoi. A me pare che qui i buoi vedano le martinicche, nel senso che forse è stato posto il carro davanti ai buoi.
A mio giudizio è meglio optare fin da subito per una soluzione alternativa che può esserci e può accontentare tutti!
In ogni caso indipendentemente dalle nostre posizioni ci sono le leggi sulle quali non si potrà sorvolare con tanta leggerezza perché le leggi si rispettano.
Chissà, forse un giorno in questa vicenda, Dio non voglia, i buoi si slacceranno dai carri e scapperanno dalla stalla, cosa che io personalmente spero non avvenga mai, ma per ora son tutti lì!
Cordialmente
Prof. Alessio Abbarchi