IL MUGELLO SENZA LAVORO Rifle, la crisi più grande
Qual era la
posizione dell'azienda, solo un mese prima dell'annuncio dei licenziamenti? 300 famiglie senza lavoro; un'azienda che per decenni ha dato occupazione a centinaia di persone; centinaia di persone che per decenni hanno lavorato per l'azienda, divenuta anche grazie al loro contributo di dimensioni internazionali. La Rifle per il Mugello è sempre stata una delle principali colonne occupazionali per l'economia locale. E se c'erano state, in modo ciclico, difficoltà e cassa integrazione, ci si illudeva che l'importanza dell'azienda, il radicamento sul territorio, il fatto di essere Barberino "casa madre" del gruppo, potesse evitare il peggio. Invece non è stato così. Ed ora è scattato il solito, necessario rituale, delle manifestazioni di solidarietà, degli incontri, delle assemblee, e soprattutto della ricerca di concrete vie d'uscita. Sulla crisi della Rifle abbiamo chiesto un parere ad Alessandro Bianchi, coordinatore della FILTA-CISL provinciale. E il suo è un parere assai preoccupato. "Il caso della Rifle non ha caratteristiche diverse a quelle di molte altre crisi industriali. Ma è inquietante che questa azienda, in un territorio dove ha costruito la sua crescita, a un tratto decida di dismettere completamente il settore produttivo, gettandosi per intero nel settore commerciale: non si elimina cioè una parte della produzione, si elimina tutto, e questo per un'azienda di moda rappresenta un indebolimento fortissimo. Sia chiaro: ci sono aziende che tagliano, che portano parte della produzione all'estero, ma nello stesso tempo si modernizzano, investono in tecnologia, e poi riportano il cuore della loro attività nel paese d'origine". Per la Rifle pare non sia questa la strada: tagli decisi sia nella parte amministrativa e nei magazzini, dal 50 al 70% degli attuali occupati, e via, al 100%, gli oltre 180 addetti alla produzione. Così la Rifle, che conta attualmente 400 dipendenti, si ritroverebbe con soli 105 dipendenti, una miniatura del colosso che era. A meno che "A meno che -dice Bianchi- che dietro non vi sia solo il tentativo di ottonere la cassa integrazione e soprattutto le autorizzazioni per costruire il grande outlet, l'insediamento commerciale previsto all'uscita dell'autostrada. E se fosse così sono certo che le istituzioni daranno facilmente il via libera. Ben vengano nuove iniziative, ma sarà un'altra sconfitta, perché con questa logica diventiamo succubi degli imprenditori e dei loro ricatti, se la concertazione significa sempre cedere, allora anche come sindacato sarà opportuno fare una riflessione attenta". Perché l'outlet non potrebbe rappresentare una soluzione? "Il passaggio da un posto di lavoro a un altro, dalla Rifle all'outlet, non sarebbe così automatico, al di là dei tempi di realizzazione di questa ipotizzata struttura. In una show room, in un negozio di alta moda, si assumono persone giovani, che sappiano le lingue, di bella presenza. Non credo proprio che il passaggio sarà possibile. Tanto più che questi mega-centri commerciali si fondano molto sul lavoro precario, su assunzioni a termine, su part-time, senza prospettive di lavoro stabili.". E poi non c'è solo la Rifle a preoccupare. "Il dramma vero è questo -conferma il sindacalista-; in Mugello il tessuto produttivo è sempre più in difficoltà, specie per la manodopera femminile, visto che tra gli iscritti alle liste di collocamento, su 4103 persone, il 69% sono donne. E c'è un'impotenza dell'area a favorire nuovi insediamenti. Dove andranno le lavoratrici della Rifle? Intorno al lago di Bilancino, assorbite nel settore del turismo? Perché una cosa va detta, quando si parla di sempre maggior spazio dato al commercio: senza aziende industriali che producano ricchezza, che creino valore aggiunto, chi avrà i soldi per acquistare e consumare? Prospettive? "Difficile fare previsioni. Una azienda come la Rifle può uscire dalla crisi, può ristrutturarsi e modernizzare il proprio processo produttivo, creando nuovi prodotti. Perché fare i jeans e basta? Perché non fare un jeans più ricco, con marchi ancor più qualificati, di cui il gruppo Fratini ha la disponibilità? L'impressione netta però è che vi sia un grosso scontro all'interno del Gruppo, tra due filosofie: quella industriale, che accetta la scommessa dell'innovazione produttiva, e quella di chi invece vuol scegliere la strada più comoda, quella commerciale". Qual era la posizione dell'azienda, solo un mese
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© il filo, aprile 1999 |