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RIFLESSIONI SUL VANGELO DELLA DOMENICA – La pagliuzza e la trave
BORGO SAN LORENZO – Come ogni domenica, un sacerdote del Vicariato del Mugello propone ai lettori del Filo una riflessione sul Vangelo domenicale. Stavolta è il turno di don Luciano Marchetti, pievano di Borgo San Lorenzo. Che ci porta a riflettere sull’importanza di correggere prima di tutto noi stessi prima guardare i difetti degli altri:
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. Nel Vangelo di oggi, attraverso brevi parabole, Gesù ci fa fare una visita oculistica, una visita cardiologica e ci porta in un frutteto, indicandoci così la strada da percorrere per essere discepoli credibili e guide sapienti. Gesù ama i paradossi: una volta paragona il cammello con la cruna dell’ago e oggi mette a confronto la pagliuzza e la trave. Il paradosso gli serve per smascherare una tendenza sbagliata: l’auto-assoluzione e la condanna degli altri.
Noi spesso vediamo bene i peccati altrui, ma fatichiamo a scorgere i nostri. Un mito greco diceva che Zeus ha dotato l’uomo di due bisacce, una davanti e una dietro. La prima è carica dei difetti degli altri, mentre la seconda contiene i nostri. Così succede che noi vediamo solo quelli degli altri. Ma il ragionamento di Gesù va più in profondità: non paragona tra loro due travi o due pagliuzze, ma la nostra trave e la pagliuzza altrui. Sta dicendo, cioè, che chiunque si ponga in atteggiamento di condanna dell’altro, già solo per questo sta ospitando una trave nel suo occhio. Fosse anche una persona a posto con la legge, un osservante scrupoloso, chi punta il dito sull’altro e si permette di giudicare il suo cuore, è ostruito da una trave.
Quelli che papa Francesco chiama “i giudici implacabili dei fratelli” cadono nel peccato più grande, il peccato della trave, che Gesù illustrerà anche attraverso la parabola del fariseo e del pubblicano. Insomma: tutti siamo peccatori, ma il peccato più grande secondo il Vangelo è quello di sbandierare i peccati degli altri. Basterebbe pensare, prima di puntare il dito, che anche noi siamo peccatori.
Se prima di scagliare la pietra mi rendo conto di non essere senza peccato, se prima di sradicare la zizzania nel mondo cerco di toglierla dal mio cuore, allora assumo lo stile del Vangelo, e capisco che nessuno è così buono da non avere qualche pianta di zizzania o così cattivo non da avere qualche spiga di grano buono. Così mi dedico con più profondità al miglioramento del mondo, perché comincio dal mio mondo interiore e non mi limito a strillare per i difetti degli altri.
Aiutare il fratello a togliere la pagliuzza dal suo occhio, secondo il metodo della correzione fraterna, comporta il lavoro previo e più faticoso, spesso anche doloroso, di togliere prima la trave dal mio. Solo allora potrò dare davvero una mano, senza falsità, alla crescita del fratello. Una donna era preoccupata per suo figlio che si abbuffava di dolci mettendo a rischio la sua salute. Per questa ragione lo portò da Gandhi, affinché fosse lui a dirgli di smettere di esagerare con i dolci. Gandhi disse alla donna di ritornare dopo tre settimane. Tornò tre settimane dopo con il figlio goloso. Stavolta Gandhi prese in disparte il ragazzo e, con parole persuasive, gli prospettò gli effetti dannosi che possono causare i troppi dolci. Quindi gli raccomandò una maggiore sobrietà. La madre, allora, dopo averlo ringraziato, gli domandò: “Toglimi una curiosità, perché non hai detto queste cose a mio figlio tre settimane fa”. “Tre settimane fa”, rispose tranquillamente Gandhi, “il vizio di mangiare troppi dolci l’avevo anch’io. Ho dovuto smettere io stesso di mangiarne, prima di poter dire a tuo figlio di non mangiarne più”. Dunque, l’impegno più grande, nella mia vita, è di favorire la correzione e la conversione di una sola persona: me stesso.
Ecco, allora, che l’oculista ci spedisce dal cardiologo. Romano Guardini, un grande teologo, ha detto: “Le radici degli occhi sono nel cuore”. Faccio degli esempi. Davanti a un bel mazzo di fiori uno può dire: “Che regalo meraviglioso!”, mentre un altro può dire: “Chissà quanto è costato!”. Oppure, andando per musei, c’è gente che sta lì davanti a un quadro estasiata mentre altri dicono: “Mah! Questi quadri sono tutti uguali!”. Oppure essere innamorati: trovarsi tra mille persone e essere inchiodati a una sola persona. Gli occhi sono uguali ma lo sguardo è diverso perché lo sguardo dipende dal tuo cuore, dalla tua libertà, dalla tua sensibilità. E siccome le radici degli occhi sono nel cuore – quello che comanda è il cuore che ci dà lo sguardo invidioso, geloso, impuro, superbo, secondo com’è il nostro cuore – dobbiamo guarire il nostro cuore. Perché andiamo in chiesa di Domenica? Perché il nostro cuore diventa tante volte di pietra. Soffriamo di “sclerocardia”, termine greco con cui il Vangelo indica la durezza di cuore, che suona come una malattia grave. E occorre la Messa domenicale perché il nostro cuore indurito diventi il cuore di Gesù, per avere, poi, gli occhi di Gesù. Non è facile amare, non è facile camminare cogli altri. Non basta gettare ponti, bisogna prima costruire scale, cioè occorre pregare, salire in alto per ascoltare la Parola di Dio, per mangiare quel Pane Santo dell’Eucaristia, per avere lo sguardo di Gesù, uno sguardo che parte dal cuore. Gesù dice a ciascuno: “Dammi il tuo cuore, ti darò i miei occhi”.
Infine, un frutteto. “Ogni albero si riconosce dal suo frutto”. La nostra vita deve cantare. C’è un detto dell’estremo Oriente che amo moltissimo. Uno dice a un mandorlo: “Parlami di Dio”. Risposta: “Il mandorlo si coprì di fiori”. Dobbiamo, con la vita, far capire che è bello essere cristiani, che essere cristiani vuol dire avere uno sguardo nuovo sulla realtà, un cuore che palpita per gli altri, gente che va in chiesa la Domenica per incontrare e ricevere Gesù, per essere capace di primavera dentro di sé e attorno a sé.
Don Luciano Marchetti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 Marzo 2025
A proposito dell'autore
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