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Un ricordo di Giuliano Tanturli. E del suo importante impegno sul Mugello
MUGELLO – Giuliano Tanturli è stato uno studioso e un filologo impareggiabile, esperto come pochi si possono incontrare della cultura toscana e fiorentina dal basso Medioevo fino all’intero Rinascimento.
Si era formato alla scuola di Domenico De Robertis e l’aspetto più avvincente della sua ricerca e della sua docenza, che ha esercitato a partire dal 1983 presso la Facoltà di Lettere di Firenze, stava nella dedizione appassionata con cui sapeva ricostruire la genesi e la trasmissione nel tempo delle opere letterarie, con un gusto sempre vivo per la scoperta e l’accertamento della verità dei fatti.
Adesso che è scomparso (lo scorso 4 giugno, funerale articolo qui), dopo un lungo periodo di malattia in cui la passione per la ricerca e la consuetudine alle discussioni seminariali lo hanno sostenuto con vigore, lascia allievi in gamba, già molto progrediti negli studi, e vari saggi e volumi che da tempo costituiscono punti sicuri di riferimento per la critica.
Faremmo però un torto alla sua memoria se non ricordassimo anche un’altra parte non meno importante del suo lascito. Non mi riferisco agli affetti familiari o ai sentimenti di amicizia che Giuliano ha coltivato negli anni e che chiunque lo abbia conosciuto e frequentato potrà d’ora in avanti custodire nel proprio cuore. Penso invece al suo convincimento profondo che il progresso delle conoscenze circa la nostra storia culturale sia e debba diventare patrimonio comune.
Questo aspetto lo si coglie bene se prendiamo a riferimento il suo e nostro Mugello. Per lui, discendente di “contadini di Pomino che non avevano letto il Petrarca”, il Mugello era sì terra di studi, in quanto contado di quella Firenze delle lettere che stava al centro dei suoi interessi e che è stata abitata da attori di prim’ordine della cultura umanistica e rinascimentale toscana: dagli illustri Giannozzo Manetti e Matteo Palmieri, che furono Vicari a Scarperia, ai Pulci proprietari del Palagio alla Cavallina che del Mugello fecero terra di Muse nel Driadeo d’amore, al prolifico copista Bonaccorso Adimari di Vicchio, fino al ‘fiorentino’ Giovanni Della Casa, nativo del popolo di Sant’Agata a Mucciano, di cui Tanturli ha curato parte delle opere (un’edizione commentata delle rime nel 2001 e una ristampa anastatica del Galateo nel 2003); ultimamente mi parlava anche del suo interesse per la pieve di Fagna e per il Cardinale Ottaviano degli Ubaldini.
Ma il Mugello, che Giuliano conosceva molto bene anche per averne percorso i sentieri appenninici in formidabili e bellissime camminate, era per lui terra in cui spendersi proprio perché quella straordinaria eredità culturale che l’ha lambita o addirittura attraversata fosse patrimonio di tutti. Basta leggere la presentazione al volume Succiole al fuoco (2002) di Maria Luisa Vallomy Bettarini per rendersene conto. In due pagine di prefazione a quello che è il risultato di un ottimo lavoro scolastico sulla parlata mugellana c’è il senso vivo del suo interesse per una lingua e una cultura dalle radici lontane che siamo chiamati a riscoprire e a far nostra fin dagli anni della scuola. Non c’era in questo alcuna smania di vana erudizione bensì la consapevolezza limpida che la conoscenza, la cultura nel suo senso più alto, è uno dei fondamenti della nostra personale dignità di cittadini e uno straordinario strumento di emancipazione personale e sociale reso possibile dall’istruzione pubblica di massa.
Non a caso già in quella stessa prefazione al libro della Vallomy è avvertito acutamente l’inizio di quella decadenza che oggi abita il sistema educativo nazionale: un sistema che ha ormai quasi disgregato il senso di una tradizione letteraria fondamentale per l’identità culturale europea, che ha ridotto i testi a format per il solleticamento delle emozioni in nome di fumose ‘competenze per la vita’ e, quel che è più grave, è tornato a farsi tendenzialmente elitario ai suoi livelli più alti. Tanto più oggi ricordiamo caramente le lezioni di Tanturli su Dante nelle scuole di Borgo San Lorenzo, le letture pubbliche della Commedia (XXVI e XXXIV dell’Inferno) tenute in Palazzo dei Vicari a Scarperia nelle estati del 2011 e del 2012; e parimenti ricordiamo volentieri, come parte del medesimo e non frantumabile impegno civile, la sua partecipazione sentita alle manifestazioni per la salvaguardia del territorio minato dall’alta velocità, alle iniziative per il miglioramento dei servizi pubblici o a quelle in difesa dei principi più alti della Costituzione come il ripudio della guerra sancito dall’articolo 11, il cui testo è rimasto appeso per anni alla porta del suo studio fiorentino.
La sua apparenza era severa, e severo e rigoroso era in effetti il suo approccio a tutto ciò a cui si dedicava. Ma credo che chi meglio lo conosceva abbia imparato col tempo a scoprirne anche lo humor un po’ celato che lo contraddistingueva e anche i suoi spontanei gesti di affetto. Settimane fa mi diede appuntamento per l’estate sotto il suo ciliegio per farlo ‘scaricare’ un po’ dal mio bambino. Non si è potuto fare. Resta però l’esempio della sua attenzione sempre generosamente posta al tempo delle cose buone a venire, quale che sia la durezza del presente; l’attesa del tempo dei frutti del proprio impegno, il tempo delle ciliegie dolci e rosse.
Giuseppe Marrani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 12 giugno 2016
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