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Se il Cardinale è rivoluzionario…
Era presente l’Arcivescovo di Firenze, Card. Giuseppe Betori, e conviene evidenziare quello che ha detto. Perché il suo intervento è stato davvero franco e deciso, senza peli sulla lingua. Sicuramente esigente e stimolante, non senza qualche pur paterno rimprovero, come quando, riferendosi alle presenze enumerate come punti di riferimento per la Diocesi ha rilevato: “Son tutte esperienze belle, ma “dentro”, non “verso”: è un’impostazione autoreferenziale, non un’impostazione missionaria, e lo dico con tutto il bene che vi voglio”.
Il Card. Betori mentre parla ai rappresentanti delle parrocchie del Mugello
Ha perfino, per un attimo, affrontato qualche tema politico. Da una parte rammaricandosi per le polemiche contro la capogruppo Pd di Verona per aver votato un documento “che non negava la 194 ma dava un aiuto alle associazioni che si offrivano per prevenire la possibilità di abortire”, ma prima ancora criticando uno dei principali pensieri leghisti. “Non ci sono ‘prima gli Italiani’. Prima gli Italiani -ha detto il Cardinale- ha dentro di sé una negazione della fede fondamentale, perché si sostiene che non siamo tutti creature di Dio, ma ci sono alcuni che vengono prima degli altri. E’ inammissibile. Purtroppo il non riconoscimento della dignità della persona umana c’è dappertutto, e molto preoccupante è la situazione della società, dove è difficile che i principi cristiani trovino cittadinanza”. Dovunque, in ogni parte politica.
Ma Betori le affermazioni più forti le ha rivolte verso gli stessi credenti. Parole e prospettive “rivoluzionarie”, sulla scia dell’insegnamento di Papa Francesco. Annotiamone alcune.
Perché nel mondo tutto è cambiato: “La cultura di oggi è andata in una direzione che si è allontanata progressivamente dalla visione cristiana della vita. Oggi non abbiamo le parole per dire la nostra visione al mondo. Ci appiattiamo sulla cultura prevalente e questo diventa gravemente pericoloso per noi. La nostra visione è culturalmente datata. Il Papa non usa il modo di pensare del mondo, e il suo linguaggio nasce da un’esperienza viva di fede. Noi invece siamo troppo dentro i nostri schemi di pensiero. Il linguaggio deve quindi nascere da un’esperienza nuova, perché la realtà precede l’idea. Partiamo da una vita cristiana nuova, e allora avremo anche le parole per comunicarla. Ma se viviamo il vangelo con forme legate al passato non avremo mai parole adatte. Un giovane chiese al Papa: ‘Cosa posso dire ai miei amici che non credono in Dio?’ La risposta di Papa Francesco è stata: ‘Non dir loro niente. Mostra come la fede ha cambiato e reso gioiosa la tua esistenza. Saranno loro a chiederti perché e dove trovi questa gioia. Non serve il convincimento intellettuale delle persone. Ma partire da una vicinanza alle persone, però in una maniera che sia provocante. Se ci appiattiamo per star vicini agli altri, chiudiamo il vangelo. Star vicini dunque con una testimonianza significativa. Si comincia dalla santità non dalla dottrina”.
E ha indicato la strada della misericordia, della gioia interiore: “Il Papa ce lo ha fatto notare: ci si mostra troppo con il muso lungo. Troppe volte diamo un’immagine del cristianesimo come un peso ulteriore. Non è così: l’incontro con Dio è liberante. Viviamo in una cultura materialista e immanentista che vede la trascendenza come un’oppressione che rischierebbe di limitare le possiblita dell’uomo. Dio è visto come un concorrente dell’uomo, un concorrente da eliminare affinché l’uomo possa essere libero. Ma la vera libertà non è fare a meno di Dio: io sono veramente libero perché Dio mi libera dai miei limiti. L’immanentismo che l’odierna cultura ci propone non è la nostra liberazione. E’ piuttosto la nostra schiavitù, una schiavitù che nel secolo scorso ha prodotto quelle ideologie che tanti dolori hanno portato, le ideologie immanentiste e totalitarie dei regimi che non volevano Dio come riferimento, e che hanno portato le più grandi tragedie del mondo, il dominio degli uomini sugli uomini”.
E il Card. ha concluso con una nota di speranza: “Non mancano nelle nostre comunità gesti di amore e di dedizione grande, scelte che dobbiamo far emergere di più, come il segno di un cristianesimo capace di fiorire nel mondo”.
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