Eolico, se e dove?
MUGELLO – Piero Mazzinghi, ex dirigente di ricerca del CNR, ex professore di Ottica Radiometrica e Fotometrica all’Università di Firenze, da tempo offre contributi, approfonditi e documentati sul tema, sicuramente di grande interesse e importanza, delle energie rinnovabili. Volentieri ospitiamo qui un suo contributo, per arricchire il dibattito e le conoscenze in materia.
Seguendo in questi giorni le discussioni, in Toscana e in Mugello, riguardo alla bozza di legge regionale sulle aree idonee al fotovoltaico e all’eolico (bozza che potete trovare qui https://www301.regione.toscana.it/bancadati/atti/DettaglioAttiG.xml?codprat=2024DG00000001814) e in generale sulla transizione energetica, rimango sempre stupito per il fatto che la discussione avviene sempre come confronto ideologico fra due tifoserie, come per una partita di calcio, senza valutare oggettivamente i dati e le evidenze scientifiche.
In realtà se si analizzano le cose con calma e metodo le conclusioni sono abbastanza semplici e ovvie. Innanzitutto spero che tutti siano convinti della necessità e dell’urgenza di cessare di bruciare ogni tipo di combustibili fossili, pena l’ulteriore intensificazione dei danni per i cambiamenti climatici che vediamo nel mondo e nel Mugello, anche recentemente. Chi non ne fosse ancora completamente convinto può leggere il libro “Ha sempre fatto caldo! E altre comode bugie sul cambiamento climatico” del collega Giulio Betti, del CNR-IBE di Firenze, che smonta le falsità e le bugie propagandate da pseudo-esperti o da prezzolati dai petrolieri. Come, per esempio, che effettivamente Annibale ha attraversato le alpi con gli elefanti, ma poi questi sono morti di freddo nell’inverno in pianura Padana. Alla faccia che anche allora faceva caldo!
Allora vediamo quali sono le emissioni di CO2, equivalenti, cioè considerando anche gli altri gas climalteranti, delle varie fonti di energia elettrica in tutto il ciclo di vita, contando quindi anche la costruzione e lo smaltimento finale degli impianti. La figura seguente riporta la stima fatta Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite. (United Nations Economic Commission for Europe).
Come si vede chiaramente non c’è competizione, se vogliamo ridurre le emissioni bisogna passare alle rinnovabili! In particolare, a parte idroelettrico, ormai già sfruttato al massimo, e nucleare, che merita un discorso a parte, ad eolico e solare.
Alla stessa conclusione arriverebbero anche i più incalliti negazionisti climatici, o gli egoisti che dicono “tanto io ho l’aria condizionata in casa e in macchina!”, perché c’è un argomento convincente anche per loro: anche loro pagano le bollette e la benzina (o il gasolio) e si saranno accorti dell’aumento continuo dei prezzi! E quali sono le fonti energetiche più economiche? Chiaramente le rinnovabili sono in vantaggio, perché i “combustibili”, sole e vento, sono gratis e disponibili dappertutto senza doverli importare, magari da paesi poco raccomandabili, ma i costi totali? Il parametro che comprende tutti i costi di progetto, di costruzione, di funzionamento, di manutenzione e smaltimento a fine vita di un impianto di produzione di energia si chiama LCOE (Levelized Cost Of Energy). La figura seguente riporta la più recente valutazione dell’LCOE fatta dal Fraunhofer Institute, un ente tedesco paragonabile al nostro CNR.
Anche in questo caso si vede chiaramente che l’energia provienente da eolico e fotovoltaico è la più conveniente. Per giunta, mentre i costi dei combustibili fossili, e anche dell’uranio, sono in continua crescita, quelli delle rinnovabili stanno diminuendo, quindi la scelta è ovvia.
Ma come fare la scelta fra le varie possibilità? Qualcuno sostiene che si possa fare la transizione solo con il fotovoltaico sulle coperture dei capannoni industriali. Sicuramente questo dovrà essere fatto, ma non basta. Analizzando i dati del Piano Strutturale Intercomunale del Mugello (https://www.ilfilo.net/proposte-energetiche-per-un-mugello-rinnovabile-ed-autonomo ), si vede che questo può produrre solo una parte minoritaria dell’energia che ci serve, la parte preponderante deve essere prodotta dall’eolico. Questa conclusione è del tutto generale, vale per l’Italia e per il resto del mondo. Nella figura che segue si vedono i risultati per l’Italia del modello di transizione elaborato dall’università di Stanford (https://thesolutionsproject.org/what-we-do/inspiring-action/why-clean-energy/#/map/countries/), dove si vede che il contributo dell’eolico (onshore e offshore) per fornire energia con continuità a passi di un minuto, è del 51,3%.
Analoghi risultati si ottengono dallo studio fatto da ASPO Italia (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio), pubblicato dal CNR (http://eprints.bice.rm.cnr.it/22707/1/Scetur-PNIEC_def.pdf ) e da molti altri articoli scientifici (https://www.nature.com/articles/s41467-021-26355-z). Il motivo di questa prevalenza dell’eolico risulta evidente quando non si commette l’errore comune di considerare la potenza nominale degli impianti invece che l’energia prodotta. Poiché le fonti di energia rinnovabile sono intermittenti non producono sempre l’energia nominale, ma bisogna considerare quello che si chiama “capacity factor”, cioè la produzione media annuale effettiva rispetto a quella nominale. Per un impianto fotovoltaico istallato in condizioni ottimali alle nostre latitudini il CF è circa 0.14, cioè l’impianto produce in media il 14% della potenza nominale. In condizione meno ottimali, magari imposti da vincoli, anche molto meno (https://www.ilfilo.net/fotovoltaico-nei-centri-storici-molto-rumore-per-nulla/). Questo è evidente perché il sole non c’è di notte e in inverno ce n’è di meno. Per l’eolico invece questo fattore, in un posto ventoso, può anche superare il valore di 0.5, cioè per produrre l’energia media di un kW di eolico ci vogliono 4 kW di fotovoltaico.
Ma in Mugello, e in generale in Toscana, ci sono posti sufficientemente ventosi? Sedicenti “esperti” sostengono che “in Appennino non c’è vento”. Basta però andare a vedere le stesse fonti che questi citano per rendersi conto che questa è un’affermazione falsa, determinata da incompetenza o malafede. La figura seguente mostra la mappa del Capacity Factor di una turbina eolica nelle nostre zone. Si può vedere che ci sono zone specifiche con CF molto alto, addirittura 0.57, di poco inferiore a quello nel Mare del Nord, che va da 0.6 a 0.65. La differenza è che nel Mare del Nord questi alti valori sono possibili in aree molto ampie, mentre da noi solo in aree specifiche molto delimitate, generalmente sui crinali. Il motivo è che la catena appenninica funziona come una gigantesca vela che “concentra” il vento sfogandolo sui crinali. È lo stesso effetto per cui le barche di Coppa America riescono viaggiare a 30 nodi anche con un vento a 10 nodi. Alla stessa conclusione si arriva consultando la l’atlante eolico di RSE (https://atlanteeolico.rse-web.it/) oppure lo studio commissionato dalla Regione al LAMMA (http://159.213.57.103/lamma-webgis/windgis.phtml).
Ma c’è di più. Guardando nella stessa figura in basso a destra, si vede che il massimo di produzione degli impianti eolici (zone rosse) è di notte e nei mesi invernali, quindi perfettamente complementare alla produzione del fotovoltaico. Un approvvigionamento energetico solo da fotovoltaico richiederebbe enormi sistemi di accumulo. Quelli giornalieri sarebbero anche possibili, con batterie e pompaggio idroelettrico, ma quelli stagionali sarebbero praticamente impossibili senza l’apporto dell’eolico, o delle fonti fossili.
Per tutto ciò la determinazione delle aree idonee per l’eolico in Toscana è semplice: sono i crinali! E fra questi quali scegliere? Come abbiamo potuto vedere per l’impianto di Villore, l’impatto maggiore è quello delle infrastrutture per la costruzione, strade di accesso e collegamenti elettrici. Perciò la scelta migliore è di selezionare aree dove ci siano già strade e linee elettriche nelle vicinanze. Questo porta al paradosso che una eccessiva attenzione al cosiddetto impatto visivo, o paesaggistico, porta ad aumentare l’impatto ambientale perché costringe a realizzare gli impianti in zone remote, prive di infrastrutture che sono quindi da realizzare ex novo.
Non si capisce quindi perché nella bozza di legge regionale non siano state individuate aree idonee per l’eolico, che sarebbe semplice con i criteri di cui sopra, ma solo aree “normali”, con la conseguenza che la procedura autorizzativa, o meno, durerà 9-10 anni, contro una media europea di un anno e mezzo. In questi 10 anni l’energia dovrà continuare ad essere da combustibili fossili, con gli effetti che sappiamo. Inoltre questo porterà a favorire le grandi industrie, le uniche che possono permettersi di seguire procedure così lunghe e complesse, penalizzando magari piccole realtà locali, come cooperative o amministrazioni locali. La motivazione è che “le procedure sono complesse e richiedono tempo”. Mah! Io ricordo il programma Apollo: dal discorso di Kennedy nel ’61 in cui lo annunciava allo sbarco di Armstrong sulla luna del ’69 sono passati 8 anni. Possibile che progettare e realizzare una missione lunare sia meno complesso che decidere dove si può mettere una turbina eolica?
Quanto poi agli altri supposti impatti circolano delle notizie al limite delle “fake news”, come quello sull’avifauna. Secondo Servizio forestale del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (U.S. Department of Agriculture Forest Service), non certo al servizio dei produttori di turbine, valuta in questa tabella la mortalità aviaria per cause umane:
(https://www.fs.usda.gov/psw/publications/documents/psw_gtr191/psw_gtr191_1029-1042_erickson.pdf )
Come si vede le turbine eoliche sono una causa di morte assolutamente trascurabile. Si potrebbe obiettare che attualmente le turbine sono poche, ma quando saranno molte di più? Bene, basta confrontare la mortalità con le altre fonti a parità di energia prodotta.
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0301421509001074
Come si vede le turbine eoliche provocano 5 volte meno decessi delle centrali elettriche a combustibili fossili. Questo non solo per l’impatto diretto delle centrali, come le ciminiere e le emissioni di gas nocivi, ma anche per tutto il processo di estrazione, raffinazione e trasporto del carburante, che provocano distruzione di habitat e ulteriore inquinamento.
Una ulteriore disinformazione è quella relativa alla supposta “speculazione” che motiverebbe la costruzione degli impianti, trascurando il fatto che almeno a guadagnarci sono aziende italiane invece che sceicchi e oligarchi che poi spesso usano i guadagni per fare guerre e ricattarci minacciando di chiuderci i rubinetti. È chiaro che se qualcuno investe in qualcosa spera di guadagnarci, almeno nel lungo periodo, ma bisogna anche chiarire che non ci sono incentivi o sovvenzioni pubbliche per la realizzazione di impianti eolici, se non forse per pochissimi piccoli impianti per autoconsumo. L’unico guadagno, a fronte di milioni di euro spesi per la costruzione, è dovuto alla vendita dell’energia agli stessi prezzi degli impianti termici pur con prezzi di produzione più bassi. Questo è dovuto al meccanismo di costruzione del prezzo dell’elettricità, il PUN (Prezzo Unico Nazionale), che allinea il prezzo di tutte le fonti a quello più alto. Questo meccanismo però è finito, e dal 1 gennaio 2025 è entrato in vigore il Prezzo Zonale. L’Italia è stata suddivisa in 7 zone e Toscana fa parte della zona Centronord, insieme a Marche ed Umbria. Se per ipotesi queste 3 regioni riuscissero a produrre tutta la propria energia elettrica con rinnovabili, il prezzo della componente energia delle bollette si ridurrebbe in proporzione all’LCOE visto sopra. Per questo è assurda una politica come quella della Sardegna (che fa zona a se) di frenare le rinnovabili con la scusa che già producono più energia di quella che consumano. Ma allora chiudete le centrali a carbone, che vi forniscono la parte prevalente dell’energia a costi più alti! Finché ce ne sarà anche una sola il prezzo sarà determinato da quella! Purtroppo sembra che anche la Toscana sia avviata verso questa stessa politica.
Non ho speranze che tutto questo riesca a convincere quanti hanno già una posizione ideologica, ma spero che sia utile a chi ancora non ha preso una decisione per ragionare su dati oggettivi, di cui ho citato le fonti, e pensando al futuro dei giovani. So che per questo verrò attaccato e accusato, come è avvenuto per altri miei articoli, di fare “propaganda”. Lascio ai lettori decidere chi fa propaganda, se un pensionato, ex ricercatore, senza alcun interesse economico o politico, oppure qualche giornalista che sfrutta la sua posizione per candidarsi alle elezioni.
Piero Mazzinghi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 febbraio 2025
“una eccessiva attenzione al cosiddetto impatto visivo, o paesaggistico, porta ad aumentare l’impatto ambientale perché costringe a realizzare gli impianti in zone remote, prive di infrastrutture che sono quindi da realizzare ex novo”.
Ah. Quindi la colpa è degli ambientalisti. Mi pare di averla già sentita questa.
Fantastico che chi è imbevuto di fanatismo ideologico accusi piccato chi vi si oppone di “fanatismo ideologico”. Non basta sciorinare dati pseudoscientifici di comodo tendenti più al dogma messianico terrorizzante confessionale per zittire l’avversario implicitamente considerato con la consueta insopportabile spocchia arrogante un cafoncello con terzamedia presa per corrispondenza.
I bravi, munifici, filantropi prossimi alla santità (im)prenditori della speculazione energetica, come cavallette impazzite e ingolosite dall’odore di facili e giganteschi incentivi pubblici (pagati con le ns bollette) e con una sfacciata, ipocritissima aurea di salvifici benefattori dell’umanità, in nome di una infinitesimale e perciò del tutto inutile riduzione di CO2 climalterante locale (Italia contribuisce solo per lo 0.71%, mentre il problema e’ GLOBALE con USA, CINA e “BRICS” che emettono ca il 90%) ma a scopo di privatissimo lucro, stanno devastando impunemente l’Italia piu’ bella, integra, sana: quella sopravvissuta a 70 anni di speculazione edilizia.
Gravissimo e’ l’incosciente consumo di suolo e i suoi ineludibili servizi ecosistemici, in primis soprattutto l’immensa capacità di stoccaggio proprio di CO2 e delle acque alluvionali. Ma l’assalto camuffato di verde colpisce il già deficitario comparto agroalimentare (produciamo ormai meno della metà del fabbisogno nazionale di grano, mais, soia, olio, ortofrutta…) sottraendogli i già scarsi terreni pianeggianti più fertili e ben esposti (quelli che fanno veramente gola ai “filantropi” di cui sopra ) i pascoli, i prati che poi sono la quinta struggente del più bel paesaggio identitario italiano, quella grande bellezza che attira un turismo lento anche internazionale capace di sostenere l’economia e quindi la sopravvivenza delle aree interne.
Dalla furia di un lucroso rinnovabilismo parossistico confessionale non vengono risparmiati i sacri boschi, i crinali appenninici, le coste, i siti archeologici, i beni culturali… nemmeno Attila si spinse a tanto.
La sensibilità laica e illuminista, la razionalità figlia del metodo scientifico dovrebbero prevalere sul dogma confessionale dell’inquisizione rinnovabilista e la sua propaganda a base di slogan orecchiabili e fermare i terribili scempi che stanno umiliando, degradando, deturpando per sempre le già splendide terre meridionali della Capitanata già vocate a grano duro (con un record di oltre 1700 grattacieli eolici e relative migliaia di tonnellate di cemento nelle gigantesche fondazioni), dell’Irpinia, della Lucania, del Molise, già angoli struggenti di cultura contadina in un paesaggio idilliaco ormai banalizzato e inorridito per km anche da distese di lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra, nero silicio a sostituire quel mare ondeggiante di splendide spighe di grano di cui siamo sempre più pericolosamente carenti.
E a un Sud già ferocemente rapinato anche con intervento documentato dalla magistratura della criminalità mafiosa, esausto, ma ancora oggetto di violenti appetiti predatori, ormai l’assalto delle “verdi” orde barbariche si va orientando alle migliori terre ancora “colpevolmente” incontaminate del centro-nord da depredare, tombandole con 6000 (seimila!) impattanti enormi progetti di impianti industriali per produzione energetica (con una falsa semantica abbindolante chiamati “parchi”)per una produzione elettrica ben 5 volte superiore ai fabbisogni già gonfiati del Green Deal preteso dall’Europa.
Un vero FAR WEST arraffatorio senza programmazione pubblica e vera tutela ambientale, con le accorate osservazioni VIA spesso calpestate o bypassate con grave colpevole leggerezza o ignavia.
Europa che dopo tanti evidenti crescenti disastri economici , uno per tutti la Germania incredibilmente in recessione per colpa proprio delle rinnovabili, sta finalmente ripensando alla follia di affidarsi compulsivamente solo a fonti rinnovabili intermittenti e globalmente COSTOSE (altro che leggende): pochi giorni fa, il 14 febbraio, in una sola ora di pomeriggio la Germania è stata costretta ad importare 11.940.000 MWh di energia con un esborso di oltre 3.5 miliardi di euro in una sola ora che si aggiungono ai 500 miliardi di euro già pagati in più per l’energia.
Ma chi frena gli arrembanti speculatori energetici de noantri?
Non li frena la meraviglia etrusco-medievale delle campagne tusco-maremmane ricche di eccellenze agroalimentari con spettacolari oliveti e vigneti di pregio su cui si basa una collaudata filiera agrituristica e già nei dintorni dell’iconica Vulci, gioiello internazionale, si coltiva più silicio che grano.
Non li frena la fragile incantata bellezza naturale dei crinali appenninici del Mugello, delle Marche, dell’Umbria, della Romagna dove incombe la prospettiva di avere un gigantesco grattacielo eolico alto piu’ di 200 metri ogni km e mezzo.
Non li frena l’opposizione di interi territori che vivono di eccellenze agroalimentari e relative collaudate filiere agronaturalistiche, paesaggistiche, storico culturali, che offendono con spocchia supponente additandoli come “nimby”.
NON LI FRENA LA COSTITUZIONE ITALIANA (art. 9 e 41).
Prospettano con spavalderia un radioso futuro di milioni di grattacieli eolici e distese di lugubri paramenti funebri di fotovoltaico a terra neanche degno del peggior b-movie di fantahorror.
Quando poi basterebbe dirottare quei golosi incentivi esclusivamente sul fotovoltaico sui tetti industriali, commerciali e civili che, insieme alle vastissime aree già consumate (spesso degradate, impermeabilizzate che già avviliscono il Bel Paese) potrebbero già ospitare quasi 10 000 kmq di pannelli (1 milione di ettari!) a soddisfare ampiamente il fabbisogno rinnovabile futuro senza nessun conflitto ambientale, sociale ed economico.
Ce lo ricorda invano ISPRA, ente scientifico terzo fra i più seri del Paese, ma si sa, la Scienza viene menzionata e fa da scudo solo per la parte che fa comodo alle brame degli Unni verdi.
Grazie,
Fabrizio Quaranta
Ricercatore Agrario
Socio Italia Nostra e GRIG.
𝐏𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐌𝐚𝐳𝐳𝐢𝐧𝐠𝐡𝐢, autore dell’articolo, invia in redazione questa risposta al lettore Fabrizio Quaranta:
Egregio signor Quaranta, questa è proprio una reazione che mi aspettavo: una retorica in prosa aulica senza capo né coda e senza citarne le fonti. Che vuol dire“furia di un lucroso rinnovabilismo parossistico confessionale”? I miei dati sono pseudoscientifici? La pseudoscienza è quella delle scie chimiche, dei vaccini col 5G e della terra piatta. Quelli che ho citato, con le fonti che tutti possono verificare, sono dati pubblicati su riviste scientifiche da ricercatori di fama internazionale o da enti pubblici statali e sottoposti a revisione da esperti. Un ricercatore, come dice di essere, se fosse convinto che questi dati siano sbagliati dovrebbe scrivere un articolo confutandoli e spiegando come e perché sbagliano e qual è la verità, e pubblicarlo nelle stesse sedi dopo la stessa revisione.
Analizziamo invece le sue affermazioni.
Quando dice che i tetti dei capannoni industriali sono 10 000 kmq da dove viene questo numero? Secondo CERVED in Italia ci sono oggi 110.000 edifici industriali con tetti idonei ad ospitare impianti fotovoltaici per una superficie disponibile di circa 300 kmq (https://www.cerved.com/ricerca-e-analisi/a/ricerca-analisi-sostenibilita/impianti-fotovoltaici-110-mila-tetti-di-imprese-idonei-a-installazione-pannelli), mentre secondo l’ENEA i tetti degli edifici ad uso abitativo sono 450 kmq, che potrebbero dare circa il 10% dell’energia elettrica che ci serve (https://www.mdpi.com/1996-1073/16/7/3042 ), in accordo con i dati che avevo citato.
Il calo di produzione agricola è dovuto agli impianti eolici e fotovoltaici? Gli agricoltori invece si lamentano della siccità e delle alluvioni, dovute proprio ai cambiamenti climatici. Visto che è un ricercatore in agraria dovrebbe conoscere il fenomeno della fotoinibizione, cioè che tutte le piante, tranne le poche con fotosintesi di tipo C4 (in pratica solo il mais il sorgo e la canna da zucchero), in presenza di alte temperature ed alto irraggiamento solare cessano di fotosintetizzare e quindi di produrre, andando in fotorespirazione e diventando emettitori di CO2, invece che assorbitori. Per questo gli agricoltori sanno che con i cambiamenti climatici sarà sempre più necessario l’ombreggiamento delle culture. Usando pannelli fotovoltaici invece dei teli ombreggianti si ottiene lo stesso risultato e in più si produce energia che aiuta l’agricoltore a ridurre i suoi costi energetici e gli produce un reddito integrativo.
Un altro discorso superficiale è che le emissioni dell’Italia sono trascurabili, quindi noi non dobbiamo fare nulla. Se guardiamo le nostre emissioni pro-capite (https://ourworldindata.org/co2-and-greenhouse-gas-emissions ) sono le stesse dei cinesi, e la metà di quelle degli americani. Ma fino agli anni 2000 le emissioni dei cinesi erano 1/10 delle nostre. Poi perché sono aumentate? Semplicemente perché tutto l’occidente ha spostato la produzione di beni in Cina, e con questo anche le emissioni dovute ai beni che usiamo noi. Senza contare che la CO2 resta in atmosfera per 100 anni, e quella attualmente presente è stata prodotta al 95% da Europa e Stati Uniti. E anche che i cinesi nel 2024 hanno istallato piu eolico e fotovoltaico di tutto il resto del mondo.
Questa è la stessa ipocrisia dell’evasore fiscale, che dice “le mie tasse sono solo lo 0.00X delle entrate statali, quindi anche se non le pago non cambia nulla!”. Ma se tutti facessero così la società fallirebbe.
Perciò, ripeto in sintesi, la transizione energetica è necessaria, per farla è fondamentale l’energia eolica e questa in Italia si deve fare prevalentemente sui crinali. L’alternativa è il nucleare. Se lei è favorevole al nucleare lo dica chiaramente e magari discutiamo anche di questo.
𝐏𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐌𝐚𝐳𝐳𝐢𝐧𝐠𝐡𝐢
DEL RIGORE SCIENTIFICO OMISSIVO E/O DI PARTE: speculazione energetica predatoria, la finzione dell’agrivoltaico, consumo di suolo, cause deficit materie prime alimentari, 10 000 km2 dell’unico fotovoltaico virtuoso su tetti e aree già consumate, inaffidabilità discontinuità e costi delle rinnovabili, emissioni globali con effetti locali ma non viceversa, 6000 arrembanti progetti per oltre 5 volte le necessità ma nessuno secondo le linee guida europee recepite ma ignorate dall’Italia; a rischio le superbe e rare aquile non i passerotti mangiati dai gatti
La preconcetta furia ideologica rinnovabilista seleziona comode ipotesi scientifiche di parte che la confermino, ma la ben nota arte di ignorare quelle che non fanno comodo non ripulisce una realtà che è purtroppo diversa, amaramente e tragicamente diversa…
In una risposta-commento su un giornale locale, necessariamente sintetica, mi sembrava atteggiamento ridicolo e un po’ snob pretendere citazioni come su una rivista scientifica di nicchia. In ogni caso le posso garantire che esperienza 40ennale di ricercatore agrario con 500 pubblicazioni tecniche e scientifiche alle spalle per garantirle che l’agrivoltaico è una ben congegnata presa in giro, elaborata dai soliti noti ESCLUSIVAMENTE a fini di lucrosa produzione energetica per aggirare le benvenute (seppur tardive) regole che le vietano direttamente sulle già drammaticamente insufficienti pianure fertili ben esposte. Ribadisco, nessuna pianta mediterranea si giova dell’inutile ombreggiamento (redditizio per altri) se non per brevissimi periodi estivi e solo nelle ore centrali della giornata mentre lo scempio di ferro e silicio (addirittura sopraelevato) offende e degrada il territorio per km e km TUTTO L’ANNO e per tutte le 24h. Le colture primaverili-estive sono in campo da aprile a ottobre e i suoi famosi “benefici” per le specie a ciclo C3 forse si avrebbero per meno di soli 30-40 gg e, appunto, nelle sole ore centrali della giornata. Ma per i restanti 300-320 gg a chi giovano? La risposta è facile, purtroppo e non serve citazione ma onestà culturale, con la u e anche con la o. Le colture vernine come i frumenti e gli orzi, avene, segale poi, principali seminativi nazionali coltivati per quasi 2 milioni di ettari, vera quinta paesaggistica dell’Italia più struggente, sono in campo generalmente da novembre a luglio e questi DI CERTO NON SI GIOVANO DI OMBREGGIAMENTI FARLOCCHI in quanto da novembre fino a marzo finirebbero per contrarre la produttività, ad aprile-maggio, nella strategica fase di levata-spigatura, li esporrebbe a malattie crittogamiche tra cui le subdole fusariosi, veicolo di pericolose micotossine notoriamente cancerogene. E poi a fine ciclo in giugno-luglio queste colture hanno bisogno di tutto il calore mediterraneo senza tralicci e silici a oscurare le spighe perché la granella si asciughi e possa essere facilmente mietitrebbiata e soprattutto conservata a lungo senza pericolosi inneschi di muffe e funghi. Potrei citarle anni di ricerche, ma non mi piacciono le autocitazioni e chieda eventualmente conferma all’esperienza e al buon senso di chi lavora nel settore (sempre che non si sia stato comprato dagli Elettricisti filantropi S.p.A. o, addirittura, espropriato, visto che a questi privati in stile milizie mercenarie bassomedievali è stata data anche questa incredibile licenza, da sempre prerogativa esclusiva dello Stato)
Non a caso questa fuffa dell’agrivoltaico non è di certo gestita da agronomi ma dalle “filantropiche” società energetiche di cui sopra che forse alla fine riescono a convincere agricoltori bisognosi di liquidità per la cronica scarsa reddittività delle attività agricole, ma c’è da scommettere che in pochi anni rimarranno solo pali e silicio senza traccia di colture sotto, appassito alibi di breve durata per ben altre intenzioni.
Uno studio dell’Università della Tuscia, pubblicato su rivista con referaggio internazionale, Science Direct, nel giugno del 2022, ha paragonato le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un terreno coperto per 7 anni da pannelli fotovoltaici con uno limitrofo non coperto e i risultati attestano una variazione della fertilità del suolo con significativa riduzione della capacità di ritenzione idrica e della temperatura del suolo, oltre all’aumento della conducibilità elettrica (EC) e del pH. Sotto i pannelli, la materia organica del suolo è stata drasticamente ridotta, inducendo una parallela diminuzione dell’attività microbica (valutata come respirazione o attività enzimatica) e della capacità di sequestro della CO2. Ne consegue dunque una drastica riduzione della fertilità e dei servizi ecosistemici che le porzioni di suolo occupate per più anni dai pannelli fotovoltaici sono in grado di erogare. Una futura riconversione ad uso agricolo potrebbe richiedere molto tempo e risorse.
https://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/11/rinnovabili-lagrivoltaico-e-fotovoltaico-in-altra-forma/
La causa principale del grave deficit di approvvigionamento di materie prime alimentari (manca oltre il 60% di grano duro e tenero, il 50 di mais e di quasi tutte le altre colture base dell’agroalimentare ) e’ il folle consumo di suolo agrario NON CERTO IL FURBO E FINALIZZATO RITORNELLO dei cambiamenti climatici, e, svenderne i già scarsi appezzamenti di pianura meglio esposti che tanto fanno gola alla speculazione energetica non e’ certo la soluzione taumaturgica come denunciano disperatamente gli agricoltori e dettagliatamente le loro associazioni (Coldiretti, CIA).
Solo per il grano duro la superficie investita negli ultimi 20-30 anni è diminuita di oltre 500 000 ettari (ISTAT) soprattutto per la diminuita redditività e molti di quei bellissimi terreni sono stati selvaggiamente consumati. Ma la produzione totale media nazionale, seppure fortemente deficitaria rispetto al fabbisogno, non è certo diminuita e si mantiene all’incirca sui 4 milioni di tonnellate perché proprio la RESA UNITARIA MEDIA PER ETTARO è invece progressivamente aumentata grazie al miglioramento genetico varietale e alle tecniche agronomiche, passando da circa 2.7-2.9 t/ha a quasi 3.5 ovviamente con i consueti sbalzi dovuti all’andamento stagionale termopluviometrico che ci sono da centinaia di anni, in negativo e in positivo, senza esaltare pro domo sua le responsabilità dei cambiamenti climatici. Ma ora su quelle migliaia di ettari di terreni agricoli ha messo l’avido occhio la speculazione energetica, OGGI PRINCIPALE CONSUMATRICE DI SUOLO un vero LAND GRABBING di casa nostra (https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2023/04/20/land-grabbing-di-casa-nostra/ come ci ricorda la stessa ISPRA: “ Il Comune con il maggior consumo di suolo nel 2023 è risultato Uta (CA), con ben 105,84 ettari, grazie alla proliferazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili (eolico, solare).” E a Montalto di Castro (Tuscia viterbese vicino al gioiello di VULCI) si coltiva ormai più silicio che grano (visitare per credere), analoghi scempi nelle splendide Tarquinia, Tuscania e un po’ in tutta la Tuscia messa nel mirino dalle “filantropiche” ditte di impianti industriali.
La Terra, mettetevelo bene in mente, non è Res Nullius, inutili obsolete zolle di cafoni, da riempire con moderno e redditizio ferro, cemento e silicio. Gravissimo è l’incosciente consumo di suolo e i suoi ineludibili servizi ecosistemici, in primis soprattutto l’immensa capacità di stoccaggio proprio di CO2 e delle acque alluvionali e relativi disastri ricorrenti dopo piogge solo un po’ più consistenti che trovano troppe superfici impermeabilizzate dove non c’è assorbimento e la velocità cinetica aumenta di 5 volte.
Inarrestabile e incosciente consumo di suolo fertile permeabile e assorbente ecco la vera prima tragedia ambientale italiana: UNO DEI TANTI benefici servizi ecosistemici del suolo NON CONSUMATO:
– regolazione dei cicli idrologico e bio-geochimico, e con la relativa capacità depurativa;
– mantenimento dell’equilibrio idrogeologico;
– regimazione e controllo sistematico delle acque superficiali, attraverso anche le ben studiate sistemazioni idraulico-agrarie dei pendii volte a ridurre le perdite di suolo causate dall’erosione e attenuare la velocità cinetica dell’acqua nel ruscellamento superficiale che può generare disastrose alluvioni nei centri abitati. Un terreno impermeabilizzato anche solo per il 50% ha un tasso di deflusso cinque volte superiore rispetto ad un terreno naturale (Zullo et al., 2022). Un suolo agricolo perfettamente funzionante può immagazzinare fino a 3750 tonnellate di acqua per ettaro (Commissione europea 2012). Le modifiche apportate al suolo naturale (con cemento, asfalto o silicio NdR) riducono notevolmente la capacità di infiltrazione totale della superficie di un bacino avendo inevitabili effetti negativi sulla ricarica degli acquiferi proporzionalmente al grado di impermeabilizzazione (Zullo et al., 2022). E solo dopo la saturazione comincia un iniziale lento deflusso che invece è immediato e catastrofico sulle troppe e crescenti superfici artificiali impermeabilizzate.
La perdita dei servizi ecosistemici legata al consumo di suolo non è solo un problema ambientale, ma anche economico: nel 2023 la riduzione dell’”effetto spugna”, ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, secondo le stime, costa al Paese oltre 400 milioni di euro all’anno. Un “caro suolo” che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima.
Il conformismo schiavo della ripetizione di luoghi comuni è dogma di politicamente corretto, non certo aulica ed algida dimostrazione di tesi scientifica sedicente superpartes. E i terrapiattisti e cultori di scie chimiche e oroscopi non fanno parte delle mie conoscenze e ripugnano il mio credo illuminista di cui il corretto ambientalismo è migliore e più rispettosa evoluzione sociale, mentre spesso sono pabulum del ripetersi di propaganda pacchianamente di parte, la stessa che ha tormentato l’opinione pubblica in questi anni per favorire il nuovo colossale business devastatorio della speculazione energetica al cui confronto quella 70ennale edilizia e’ ragazzata da rubagalline. Basta fare un giro senza paraocchi e raccapricciare a vedere il triste e sconcio scempio delle province meridionali già cerealicole (cereali di cui abbiamo crescenti spaventosi deficit) a Foggia (1700 grattacieli eolici), Irpinia, Lucania, Molise, Sardegna ecc ecc. E ora le truppe verdifilantropo muovono all’assalto delle ancor splendide ma “colpevolmente” integre TUSCIA, MAREMMA e Toscana, Umbria, Marche….malgrado centinaia, migliaia di opposizioni VIA di Sindaci, amministratori, consorzi irrigui e di bonifica, agricoltori, consorzi di tutela di eccellenze enologiche e agroalimentari, aziende turistiche, Soprintendenze, escursionisti, camminatori, ciclisti, residenti che non vorrebbero essere costretti ad andare via per un definitivo spopolamento delle aree interne avvilite, degradate, desertificate da oscene enormi invasive strutture industriali spacciate senza pudore per ecologiche. E nessuno osi spocchiosamente di offendere come NIMBY migliaia di laboriosi cittadini che cercano di tutelare i loro territori, le loro filiere produttive costruite con decennali sacrifici, le loro imprese agroturistiche, la loro vita e salute da questo vergognoso assalto epocale senza precedenti.
Le emissioni di CO2 italiane sono lo 0.71%, se ne faccia una ragione e i quindi i disastri del cambiamento climatico OGGI (non 100 anni fa) debbono essere affrontati in CINA, USA, BRICS che invece vomitano quasi il 90% di CO2 e continuano a usare migliaia di centrali a carbone ed altre a progettarne, malgrado gli “specchi” (lato sensu) per le allodole mostrati al resto del mondo. E seppure in un attacco di fulgido virtuosissimo esempio per il Mondo cinico e sordo, distruggessimo interi areali agronaturalistici tappezzandoli di grattacieli eolici e lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra, potremmo ridurre le nostre emissioni a un misero 0.5-0.3% col brillante risultato di un Italia desertificata sulla quale però continuerebbero imperterriti i nefasti effetti del cambiamento climatico, perchè il fenomeno, e non c’è bisogno di citazioni, e’ GLOBALE, anche se, purtroppo gli effetti locali.
E la metafora del piccolo evasore fiscale (Italia) che per non pagare si crea alibi dei grandi evasori (Mondo) non mi sembra abbia nulla di dotte citazioni scientifiche, ma rimane qualcosa che nemmeno al bar sotto casa. Viceversa è lapalissiano che o si fermano le grandi emissioni del mondo in via di sviluppo o il nostro grande sacrificio distruttivo di territori e filiere (ma cmq di irrisorie emissioni) non servirà a nulla.
Questo è il livello oggi di chi appoggia la distruzione di sopravvissuti areali agronaturalistici come crinali e campagne con eccellenze agroalimentari in nome di oltre 6000 arrembanti progetti depositati a fine 2024 (per una capacità di 5 volte le “scadenze” UE al 2030) di cui NESSUNO su aree già consumate come invece DA SEMPRE prescritto dalle normative Europee e recepite dalla stessa Italia. Infatti in tutto il territorio nazionale le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 dicembre 2024 risultano complessivamente ben 6.071, pari a 348,62 GW di potenza.
Secondo quanto cita lo stesso PTE (Europa) per far fronte alle esigenze della domanda di produzione elettrica al 2050, “il compito principale sarà affidato alla tecnologia del solare fotovoltaico”. In questo contesto si sottolinea positivamente l’intenzione dello stesso legislatore di “individuare le aree e le superfici idonee […] coerentemente con le esigenze di tutela del suolo, delle aree agricole sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio”. Lo stesso Piano individua come soluzione migliore lo “sfruttamento prioritario delle superfici di strutture edificate (tetti e in particolare quelli degli edifici pubblici, capannoni industriali e parcheggi), aree e siti oggetto di bonifica, cave e miniere cessate”.
Anche l’ultimo aggiornamento del PNIEC nazionale conferma che “si seguirà un simile approccio, ispirato alla riduzione del consumo di territorio, per indirizzare la diffusione della significativa capacità incrementale di fotovoltaico prevista per il 2030, promuovendone l’installazione innanzitutto su edificato, tettoie, parcheggi, aree di servizio, etc.”.
Per quanto riguarda i grandi impianti fotovoltaici il cui posizionamento è previsto a terra,il PNIEC indica come prioritario l’utilizzo di “zone improduttive , non destinate ad altri usi, quali le superfici non utilizzabili a uso agricolo.” L’utilizzo, da parte del legislatore, del termine “utilizzabili” dovrebbe presupporre l’esclusione dalle superfici idonee all’installazione di impianti fotovoltaici a terra di tutte le aree agricole non coltivate ma che conservano le potenzialità per una futura coltivazione.
Anche a livello internazionale si cerca di coniugare la transizione energetica e la necessità di produrre energia da fonti rinnovabili con la tutela del suolo e dei servizi ecosistemici. Il Senato francese, ad esempio, pone, all’interno del piano di accelerazione della produzione di energia rinnovabile, fra gli obiettivi, la limitazione dei danni alla biodiversità e al suolo; propone di rafforzare gli obblighi di sfruttamento dell’energia solare sugli edifici non residenziali, nuovi ed esistenti; propone, inoltre, l’installazione di moduli fotovoltaici innovativi sulle linee ferroviarie e di mettere a disposizione le superfici demaniali già artificializzate. In Germania, il ministero dell’economia e della protezione del clima, nel documento per la strategia sul fotovoltaico, propone: l’utilizzo del 100% della superficie dei tetti, l’utilizzo (fino a 500 metri) delle banchine lungo le autostrade e le linee ferroviarie su cui è possibile installare impianti fotovoltaici.
Per le concrete ma ignorate alternative dell’unico fotovoltaico VIRTUOSO, quello su tetti e aree già consumate, citare solo CERVED (che si occupa limitatamente solo di investimenti per su tetti di imprese industriali) ed ENEA (che stima almeno 450kmq di tetti civili, capaci cmq di fornire più della metà del fabbisogno al 2030) non è mossa di algida scientificità superpartes… I dati sbeffeggiati di circa 10 000 kmq già disponibili si riferiscono a tutte le superfici già consumate presenti in Italia che potrebbero ospitare l’unico fotovoltaico virtuoso: quello che non consuma altro suolo, annichilisce l’agricoltura e deturpa l’ambiente. Quindi è un dato che non comprende SOLO I TETTI (meno furbizia retorica pseudoscientifica con citazioni parziali e di comodo, please) e sono stati calcolati da ISPRA in uno dei suoi lunghi report di grande validità scientifica, questa sì, volutamente ignorata dai prodi predatori della speculazione energetica all’arrembaggio goloso delle indifese aree agronaturali italiane. Ne derivava pronta capacità elettrica per centinaia di GW a saturare obiettivi già fantascientifici del Green Deal fin oltre il 2050. Ma non c’è peggior sordo….
Afferma e certifica infatti l’I.S.P.R.A. ente scientifico tra i più seri ed attendibili (e ancora a schiena dritta) (vds. Report Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023, Report n. 37/202),” è molto ampia la superficie già potenzialmente disponibile per installare impianti fotovoltaici sui tetti (civili, commerciali ed industriali) considerando una serie di fattori che possono incidere sulla effettiva disponibilità di spazio (presenza di comignoli e impianti di condizionamento, ombreggiamento da elementi costruttivi o edifici vicini, distanza necessaria tra i pannelli, esclusione dei centri storici). Dai risultati emerge che la superficie netta disponibile può variare da 757 a 989 km quadrati, ossia tra 75 000 e 100 000 ettari. In sostanza, si spiega, “ipotizzando tetti piani e la necessità di disporre di 10,3 m2 per ogni kW installato, si stima una potenza installabile sui fabbricati esistenti variabile dai 73 ai 96 GW”. A questa potenza, evidenziano i ricercatori dell’Ispra, si potrebbe aggiungere quella installabile in aree di parcheggio, in corrispondenza di alcune infrastrutture, in aree dismesse o in altre aree impermeabilizzate; “ipotizzando che sul 4% dei tetti sia già installato un impianto, si può concludere che, sfruttando gli edifici disponibili, ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 70 e 92 GW”. Quindi già più di quanto richiesto per il 2030. Energia producibile senza particolari impatti ambientali e conflitti sociali. S O L O PER I TETTI , MA NON CI SONO SOLO I TETTI (repetita iuvant).
Insiste ISPRA …”Due obiettivi, la tutela del suolo e la spinta alle rinnovabili, non sono necessariamente in conflitto ed è preferibile privilegiare le installazioni su edifici esistenti, infrastrutture, parcheggi e altre aree già consumate. Per limitare al massimo l’impatto paesistico e la perdita di aree agricole, molti dei circa 35.000 ettari ulteriori previsti per il fotovoltaico a terra (stima ISPRA e GSE al 2030) potrebbero essere realizzati su quel 7,14% del territorio nazionale dove il suolo è già occupato (2,15 milioni di ettari= 21 500 km2). Buona parte dei tetti degli edifici esistenti, gli ampi piazzali associati a parcheggi o ad aree produttive e commerciali, le aree dismesse o i siti contaminati sono esempi evidenti di come si potrebbe conciliare la produzione di energia da fonti rinnovabili con la tutela del suolo, dei servizi eco-sistemici e del paesaggio.”
Si stima che gli edifici innalzati in Italia siano 26 milioni, di cui più della metà (14 milioni) tra il 1960 e oggi. In larga parte edilizia selvaggia se non abusiva, senza volto e senza forma, che, lontana dai centri storici potrebbe solo che giovarsi dall’installazione di fotovoltaico sui tetti. E finalmente chi consuma più energia (le città) ne sarebbe anche il principale produttore senza creare un nuovo e mortale attacco alle superstiti aree rurali che invece ne consumano pochissima.
Considerando solo i tetti degli edifici al di fuori delle aree urbane centrali e di tutti i centri abitati minori (circa 385.000 ettari in Italia), si stima che quelli dove è potenzialmente possibile installare pannelli siano compresi tra i 750 -1000 km2 (75.000 e i 100.000 ettari), escludendo le aree non utilizzabili e assicurando le distanze per la manutenzione (applicando la metodologia del Centro comune di ricerca della Commissione Europea). A questa superficie si potrebbe AGGIUNGERE una parte di
– aree di parcheggio, piazzali e altre superfici pavimentate per almeno 650 km2 (65.000 ha),
– infrastrutture per almeno 6000 km2 (600.000 ha)
– siti contaminati, aree dismesse o altre aree impermeabilizzate per almeno 1500 km2 (150.000 ettari) considerando solo quelli di interesse nazionale…”
PER UN TOTALE APPUNTO CHE È MOLTO PROSSIMO A 10 000 km quadrati (1 milione di ettari)
Già pronti senza aumentare il consumo di suolo.
Ma se anche auspicabile e RISOLUTIVO, non si può certo “obbligare” a installare il fotovoltaico su milioni di tetti e km e km di aree già consumate private (ma almeno su quelle pubbliche, per coerenza)…Ma con rispetto delle regole e ferma volontà politica si potrebbero facilmente spostare in quella direzione il mare di incentivi che ora gonfiano le tasche della speculazione energetica e che sono la causa dell’impudico assalto predatorio ai territori, ipocritamente mal mascherato da verdastri voli pindarici filantropici. Ma al grande business della speculazione energetica non interessa certo conciliare energia rinnovabile e rispetto del territorio perchè aggredire terreni agricoli, paesaggio, turismo, filiere produttive “costa meno” (a loro). Ma se i costi sono maggiori lo decidono i cittadini che li pagano con le bollette e la fiscalità generale, non certo le sedicenti imprese salvifiche dell’umanità con gli incentivi a pioggia pagati dai contribuenti.
Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche, che – oltre ai certificati verdi e alla relativa commerciabilità, nonché agli altri incentivi – beneficiano degli effetti economici diretti e indiretti del dispacciamento, il processo strategico fondamentale svolto da Terna s.p.a. per mantenere in equilibrio costante la quantità di energia prodotta e quella consumata in Italia: In particolare, riguardo gli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, “se necessario, Terna invia specifici ordini per ridurre o aumentare l’energia immessa in rete alle unità di produzione”, ma l’energia viene pagata pur non utilizzata. I costi del dispacciamento sono scaricati sulle bollette degli Italiani.
Inoltre, la Commissione europea – su richiesta del Governo Italiano – ha recentemente approvato (4 giugno 2024) un regime di aiuti di Stato in favore delle imprese energetiche che sarà pari a 35,3 miliardi di euro e, tanto per cambiare, sarà finanziato “mediante un prelievo dalle bollette elettriche dei consumatori finali”..
Insomma, siamo all’overdose di energia producibile da impianti che servono soltanto agli speculatori energetici.
Le rinnovabili forniscono energia in maniera intermittente, con drammatica assenza di fornitura in certe ore o interi giorni. Nel migliore dei casi possono garantire energia per 2000 ore/anno… ma nell’anno ci sono 8760 ore. Le FER producono molto meno elettricità di quanto sbandierato e la producono tutta insieme, quando spesso si accavallano e non serve. Infatti non sostituiscono le centrali tradizionali ma le affiancano perché quando il sole e il vento non ci sono, bisogna ricorrere a gas e carbone.
Dal 2019 al 2023 la potenza verde installata in Italia è salita di 11 GW, del 20%, da 55 a 66 GW. La relativa produzione netta è cresciuta solo del 3%, da 97 a 100 TWh. Ovvio: vento, sole ed acqua sono intermittenti e inefficienti e fanno e danno quel che vogliono, quando vogliono. Possono e debbono aiutare la transizione energetica se ben regolamentate dallo Stato senza ulteriore consumo di suolo, ma certo non sono la soluzione taumaturgica, dogmatica, indiscutibile e confessionale.
E allora quanto territorio è stato invano sacrificato per un risultato modesto, di scarsa efficacia seppur di falsa propaganda. Inevitabilmente rimarranno le centrali a combustibile fossile per garantire una fornitura continua, altro che illusoria completa “imminente” sostituzione.
Il ricorso ideologico e parossistico alle rinnovabili inevitabilmente parziali e intermittenti ha determinato la recessione della già ricca Germania, compensato solo da un frettoloso ritorno in grande del carbone (alla faccia delle emissioni climalteranti) e il conseguente recente pericoloso ritorno della destra estremista.
La Germania ha interrotto i nuovi progetti eolici e si trova ad affrontare costi miliardari per smaltire le turbine, non riciclabili e inquinanti.
E DA NOI CHI SI ACCOLLERA’ I NOTEVOLI COSTI DI SMALTIMENTO a fine ciclo? Migliaia di tonnellate di cemento per fondazioni di oltre 20 m dei grattacieli eolici saranno tragicamente eterne e non a caso nessuno vuol sentir parlare di fideiussioni a garanzia dell’impossibile ripristino dei luoghi.
La stessa situazione si ripete nelle altre nazioni dell’Ue in cui sono interrotti gli incentivi europei/statali”, addirittura nella ventosissima Danimarca. In altre parole, una volta terminati i sussidi, l’interesse delle aziende per l’eolico crolla, evidenziando una sproporzione tra i costi elevati e i benefici limitati di questa tecnologia.
E per finire l’avifauna a rischio sui nostri (ex) bei crinali appenninici non sono i passerotti “mangiati più dai gatti “come ci ammonisce una loffia e pretenziosa ricerca peer review, ma le rarissime e protettissime Aquile : solo perderne una sarebbe un grave ed inaccettabile scempio ecologico e non a caso uno dei pochi (purtroppo) progetti eolici bocciati in Piemonte si riferiva a questo rischio.
Ma tanto si sa poi il Consiglio dei Ministri in mezz’ora approva le peggiori nefandezze anche se con monumentale parere contrario VIA, Evviva!
Ottimo articolo ben documentato.
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