Luci ed ombre dell’Alternanza scuola-lavoro, i ragazzi raccontano la loro esperienza
MUGELLO – La legge 107/2015, chiamata “la buona scuola”, disciplina l’alternanza scuola-lavoro, un’attività obbligatoria per tutti gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori. Viene definita dallo stesso Ministero dell’Istruzione: “modalità didattica innovativa, che attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini di studentesse e studenti, ad arricchirne la formazione e a orientarne il percorso di studio e, in futuro di lavoro, grazie a progetti in linea con il loro piano di studi”, ma l’esperienza dei ragazzi racconta tutt’altro.
Molti studenti si sono trovati a partecipare a progetti non inerenti al proprio indirizzo di studi ed ai loro interessi, per svolgere le 200 ore minime obbligatorie per l’ammissione all’esame di Stato, a cui possono accedere effettuando almeno i tre quarti del tempo previsto. Le ore, inoltre, dovrebbero essere concentrate nei primi due anni del triennio lasciando per la quinta un minimo residuo di ore, per far sì che i ragazzi si concentrino sull’esame.
Anche il professor Falli ha evidenziato vari aspetti negativi del progetto: “Siamo ancora in una fase sperimentale, non ci sono regole precise, il Ministero non ci ha mandato elenchi di aziende. Così le singole scuole devono organizzarsi e cercare le attività che possono essere svolte.”.
In questi anni, le difficoltà maggiori sono state riscontrate con i licei. Alunni di indirizzo scientifico si sono ritrovati a svolgere il lavoro all’Outlet, per collezionare una quantità di 70 ore settimanali, progetto non inerente al percorso di studio scelto dagli alunni. È importante ricordare che, comunque, è lo studente che sceglie determinati progetti, quindi la domanda che sorge spontanea è la seguente: perché sceglie di partecipare ad attività che non hanno collegamenti con l’indirizzo scelto? La maggior parte delle volte, in verità, non c’è tanta altra scelta.
Le esperienze raccontate dagli alunni sono molte, e non tutte sono negative, anzi, molti alunni hanno svolto addirittura più ore del previsto. Ad esempio Matteo Sulli, del liceo scientifico, ritiene il progetto Outlet “produttivo e formativo come esperienza lavorativa. Adesso, dopo 36 ore a settimana, posso dire di aver lavorato veramente”. E molti altri ragazzi sono d’accordo, ritenendo che dopo la maturità molti di loro si ritroveranno a lavorare in luoghi simili.
Un’ altra esperienza arriva da Ettore, sempre dello scientifico, collocato nei musei mugellani come guida turistica. Il suo commento risulta particolarmente negativo, infatti racconta che “oltre ai pochi visitatori ed al poco lavoro svolto, mi è sembrata un’esperienza del tutto incoerente con il mio indirizzo di studi, non vedo come possa essermi stata d’aiuto nell’indirizzarmi verso un futuro lavorativo di mio interesse”.
Molti studenti, come Marta, dopo la loro esperienza, esprimono la loro opinione su come il progetto del Ministero dell’Istruzione potrebbe migliorare: “I ragazzi -spiega Marta-riconoscono l’importanza di un’esperienza lavorativa durante il percorso di studi, perché dopo la maturità molti di loro dovranno lavorare. Ma i progetti organizzati dalla scuola dovrebbero essere inerenti al proprio indirizzo di studi. Solitamente gli istituti tecnici organizzano stage in luoghi in cui gli alunni possono provare personalmente ciò che studiano. Mentre i licei no, soprattutto scientifici. Molti ragazzi si sono trovati a lavorare in musei come guide turistiche, la quale può essere un’ottima esperienza, ma principalmente per chi frequenta un liceo linguistico. Oppure, molti hanno svolto numerose ore all’Outlet, e nonostante i ragazzi riconoscano che tanti di loro dovranno svolgere lavori simili, ritengono sbagliata la proposta della scuola, dalla quale si aspettano progetti formativi, ma l’Outlet in cosa forma? Dà solo un messaggio sbagliato ai ragazzi, i quali nonostante sappiano che il loro futuro nel mondo del lavoro inizialmente sarà così, sperano in qualcosa di migliore. Crediamo che la scuola dovrebbe ascoltarci di più e, prima di proporre numerosi progetti lontani dal nostro interesse, sentire le nostre proposte, così che ogni ragazzo possa svolgere un’attività legata al futuro che ha in mente”.
Marco Penni, Matilde Ticci, Niccolò Zanieri
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 settembre 2018