Non una fusione, semmai una ibernazione
DICOMANO E SAN GODENZO – Niente da fare. Il voto popolare, sovrano, ha deciso: Dicomano e San Godenzo rimarranno capoluogo ognuno del proprio territorio comunale. Così come chiara è stata la vittoria di quelli che si opponevano alla fusione amministrativa fra i due comuni, altrettanto appare macroscopica, adesso, la disfatta politica di coloro che pensavano di sopraffare con la matematica il sentimento di una comunità. Sicché non una fusione, semmai una ibernazione, tutto resta com’è.
Da qualsiasi angolazione si voglia prendere in esame il risultato di questo referendum, certo usando un linguaggio il più possibile rispettoso verso i vincitori e gli sconfitti, adeguato ed adattato al sentimento, all’attaccamento per il proprio territorio e alle tradizioni locali, ebbene non si può che sintetizzarne l’esito con una quaterna di parole: ha vinto il campanilismo. Certamente nobile. Forse fomentato da una diffidenza latina e tradizionale, così come altrettanto disinteressato per la pioggia di finanziamenti che sarebbero giunti a coronamento dell’operazione di fusione amministrativa. Insomma, la purezza d’intenti ha stravinto a San Godenzo e ne ha determinato l’esito anche per Dicomano. Questo è il dato di fatto. Dicomano e San Godenzo continueranno a scrivere la storia delle rispettive amministrazioni pubbliche, ognuno nel proprio consiglio comunale, con le relative strutture istituzionali, tecniche e gestionali più in generale.
Sulle ragioni dei vincitori c’è poco da dire e da scrivere. I processi invece, seppur ovviamente verbali e dialettici, sicché sciorinati con fiumi di parole, sempre si istruiscono per gli sconfitti. E, appunto, su questa batosta referendaria ci preme fare un paio di considerazioni. La prima. Una fusione amministrativa fra comuni, o meglio fra genti e comunità, non la si può ricondurre ad un algoritmo basato sulla sommatoria di maggioranze politiche detraendo il peso delle opposte minoranze. La seconda trae spunto da una recentissima storia locale, di eguale contenuto, ma che ha avuto un esito diverso. Già, l’unione fra Scarperia e San Piero a Sieve, comuni contigui, con i capoluoghi molto vicini, e 4950 metri di distanza fra i due ex municipi.
Realtà, queste, storicamente divise da una forte rivalità, schiettamente popolare, su tutto: dal calcio alle feste folkloristiche nonché dalla partenza e arrivo dell’originario percorso automobilistico del Mugello (prima a San Piero a Sieve, poi a Scarperia). Eppure lì, in quel caso, la fusione è riuscita. E sfido chiunque a smentirne o sminuirne il successo che oggettivamente è sotto gli occhi di tutti. Grandi investimenti, che altrimenti sarebbero stati impossibili da realizzare, per l’edilizia scolastica, la sistemazione della viabilità urbana, il sostegno ad associazioni territoriali, la riduzione e l’eliminazione di mutui datati, che gravavano nei capitoli dei bilanci comunali. Ancora dati di fatto.
Ma su questa operazione aleggia un però che forse non è stato tenuto in considerazione dalla politica di Dicomano e San Godenzo. A promuovere la fusione amministrativa di Scarperia e San Piero a Sieve, oggi Scarperia e San Piero, fu un gruppo consiliare di minoranza sanpierino che, con grande senso civico e lungimiranza, fece mettere a verbale la richiesta di “unione con altro comune”, con l’invio dell’istanza all’allora sindaco di Scarperia. Non fu cosa facile. La proposta sopportò l’ironia di certi consiglieri di maggioranza e, almeno inizialmente, certo non scaldò gli animi dei consiglieri dell’altro consiglio comunale. Quindi l’iniziativa partì dal basso, con una richiesta volitiva, non dettata o imposta, un percorso completamente diverso da quello attuato a Dicomano e San Godenzo. Un dettaglio affatto trascurabile.
Gianni Frilli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 novembre 2018
e nno e’ finita qui’ cario frilli..se facessero il referendum su dicomano via dal mugello subito e si riderebbe!!..basta arroganza piddina
intendo dire che i mugellani voterebberro subito pe rimandare dicomano in cval di sieve
Si potrebbe fare una proposta: portare il comune a San Godenzo! Ci sarebbe da ridere, ed io riderei con i “Godenzini” (si dice così?)