NOTE PER LA RINASCITA – 26/ Massimo Biagioni, direttore Confesercenti Toscana
MUGELLO – Siamo dunque a parlare di “fase 2 “ e di ripartire. Giusto. Potremmo però trarre anche qualche lezione da questa sosta forzata. Il contagio sta facendo esplodere le contraddizioni che anche il modello toscano covava in se da tempo.
La prima domanda accorerebbe farsela sull’idea guida che ha contraddistinto le scelte degli ultimi anni, e che cioè lo sviluppo fosse inarrestabile e ineludibile, in particolare sul turismo dove abbiamo consentito alla “rendita” di proliferare e di sfruttare le iniziative (di promozione per esempio) degli altri soggetti economici che pagavano per questo. Come non pensare al fenomeno degli affitti turistici, per esempio, tutto derivato dall’afflusso per le città d’arte, e che, non regolato, ha aiutato a cambiare l’impianto e la vita sociale di centri artistici di primaria importanza. Fino al punto di determinare, di fatto, il trasferimento del proprietario altrove, per mettere a reddito gli immobili che erano diventati “appetibili sul mercato”. Un fenomeno questo, già registrato in anni passati dalle città universitarie, allorquando gli appartamenti erano frazionati e destinati agli studenti fuori sede.
Ma i “nuovi” residenti temporanei, in particolare i turisti, trasformano la qualità e il genere delle attività commerciali: niente più mercerie o negozi di giocattoli o mesticherie – per dire – per far posto a griffe o luoghi dove si mangia. E centri commerciali e outlet dove ammassare gente che deve circolare al posto delle merci che rimangono ferme. Non a caso si è parlato di città “mangificio” e abbiamo assistito inermi allo spopolamento di residenti e della desertificazione della rete di negozi di vicinato. Come associazione abbiamo lanciato inascoltati allarmi e promosso campagne “se muore il commercio muoiono le città”. Centri commerciali sempre più grandi e costruiti in base a flussi di consumi intercomunali (quando addirittura interregionali) sono sorti ovunque, con il beneplacito benedicente delle istituzioni, creando grandi attrattori di traffico. Il divieto “punitivo” di “fare la spesa” fuori comune di queste settimane ha messo in luce una rete commerciale di vicinato al palo e ridotta all’osso fare i salti mortali per assicurare un servizio che certo solo in parte ha potuto mantenere economia e assortimento. C’è una periferia e una periferia della periferia.
Una seconda questione è l’accentramento di tutti i servizi sulle città, servizi culturali, i grandi ospedali di qualità, i trasporti. Facendone una questione di numeri economici, e non necessariamente per motivi elettorali. La campagna (quella che non finisce su Instagram o quella delle cartoline e dei paesaggi celebri nel mondo) e la montagna penalizzate, verso cui si rivolgono attenzioni solo in caso di disastri ambientali, esondazioni, burrasche. Un territorio non curato, spopolato, senza servizi. Ci sono centri anche in Toscana dove mancano distributori, ortolani, macellerie, alimentari, spesso posta e banche. Come Confesercenti avevamo proposto di realizzare “empori polifunzionali” dove vendere tutto, riscuotere la pensione, tenere valori bollati e tabacchi, ma la burocrazia e l’aggio hanno avuto la meglio. Un territorio spopolato non cura i fiumi, non pulisce i boschi, non manutiene le strade e quant’altro; i nostri progenitori lo hanno fatto per una vita. Una periferia che emigra in città è un boomerang per la città.
Lo sviluppo, l’eccellenza e l’accentramento hanno forgiato anche la trasformazione della sanità toscana. Che è uno dei punti più qualificati del paese e certo della nostra regione. Come abbiamo visto anche in questi giorni. Ma anche lì, forse, lo dico da profano, l’aver scelto pochi e importanti centri top, ha comportato la regressione degli ospedali di provincia. Anche in questo caso l’ossessione per la resa del posto letto, le rapide dismissioni da chirurgia, l’ottimizzazione dei costi, i criteri standard per le eccellenze, sono state tradotte in periferia con il disagio per i pazienti. Con code pazzesche ai pronto soccorso, divenuti nel frattempo il rifugium peccatorum con un presidio sul territorio forse da rivalutare. E abbiamo visto conseguenze politiche inenarrabili a partire dalla razionalizzazione, chiamano così le chiusure, dei punti nascita.
Stessa sorte per i trasporti. Grande attenzione alle linee veloci e trascuratezza di quelle pendolari. Senza voler valutare che ogni pessimo servizio pubblico aumenta l’utilizzo delle auto private che dalla provincia andranno a intasare i centri delle città. Aumentando il traffico, il caos, il disagio, l’inquinamento. Il caso delle linee ferroviarie con un servizio negli orari di punta grottesco e treni indecorosi, è riscontrabile in moltissime aree della regione. E quei pendolari che si lamentano certe volte scoprono che c’è chi sta peggio. C’è sempre la periferia della periferia.
Servirebbe equilibrio. Tra funzioni e istituzioni, tra grande e piccolo, tra città e provincia, tra comuni ricchi e quelli poveri, tra località favorite e quelle disagiate, tra impresa e lavoro, tra centri storici (curati) e periferie (spesso senza servizi) e periferie delle periferie abbandonate.
Ci vorrebbe la politica. Ahimè.
Abbiamo tempo. Riflettiamo.
Massimo Biagioni, direttore regionale di Confesercenti.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 Maggio 2020