Il rapporto fra le istituzioni ed i cittadini, ed i gruppi imprenditoriali, qui, nei nostri dintorni, è vissuto nella logica dell’iniquità. E’ indubbio che la faccenda per la realizzazione dell’impianto a biomasse di Petrona ne sia un esempio lampante. Da una parte la mancanza di trasparenza amministrativa e l’assenza d’informazione, verso la popolazione. Dall’altra un’inusuale apertura di credito e tanta disinvoltura procedurale, verso un soggetto commerciale privo, appunto, di ogni referenza operativa in materia, le biomasse, nell’ambito nazionale. E, dato che si tratta di “attività insalubre di prima classe”, cioè alquanto particolare, è incomprensibile, se non ingiustificabile, assistere a questa diversità di trattamento. I cittadini alla porta, sulla soglia d’ingresso del palazzo, invece gli imprenditori scienziati, all’interno, che sfilano sul tappeto rosso. Privilegi della categoria, favoriti dalla politica.
Il progetto per l’insediamento di questa attività, per il trattamento delle biomasse, è un castello di carta, molta, che affonda le mura di fondazione nelle sabbie mobili. Tante sono le stranezze, per non dire irregolarità, rilevate e segnalate a più riprese.
Oggi ne aggiungiamo di nuove. Il tutto prende vita con un “preliminare di compravendita” stipulato e registrato, ma senza cioè il rogito notarile, per avere la disponibilità dei terreni di Petrona. Trattasi di un documento siglato fra i contraenti l’8.10.2013, poi integrato il 20.01.2014 e modificato, forse in maniera definitiva (ma non è detto, n.d.a.), il 31.10.2014. Così, Pianvallico s.p.a., società a capitale pubblico con i cittadini azionisti, tratta la faccenda con i proprietari originari dei terreni. Domiciliati, loro, proprio dirimpetto all’area stessa, ove sorgerà l’impianto. Poi, a sua volta, sempre la Pianvallico s.p.a., con un equipollente “preliminare di compravendita”, sposta, nominalmente, l’intestazione di quei terreni a favore di Renovo s.p.a.. Da ciò si deduce che, carta canta, tale disponibilità sia stata concessa a quest’ultima. E per esserne citata nell’atto stesso e per averlo sottoscritto.
Invece, le pratiche istruttorie per le autorizzazioni, e della centrale a biomasse, e della linea di produzione del pellet, sono state presentate, rispettivamente, da Renovo Bioenergy Scarperia s.r.l. e da Mugello Biocombustibili s.r.l.. Nessuno ne ha notata la discrasia. Sicché, ecco che i due soggetti proponenti quelle istanze, dato di fatto, in quel momento, potevano non disporre, formalmente, di alcun terreno. Magari solo di una promessa, o di una lettera d’intenti. Sostanzialmente diversi da un rogito notarile.
Proseguo. Fra le pieghe di quell’atto registrato, in un capoverso, dopo un’estenuante premessa, ci si legge : “il gruppo RENOVO (s.p.a., n.d.a.) chiedeva comunque a Pianvallico (s.p.a., n.d.a.) l’impegno unilaterale della [omissis] (proprietà, n.d.a.) a cedere in affitto ultranovennale – su richiesta – nel prossimo triennio una fascia di terreno agricolo lungo tutto il lato più a valle del PIP (UMI1) da un minimo di 5000 a 15000 mq. ad un canone annuo preconcordato”. La fascia di terreno agricolo in questione, o meglio le tre porzioni areali, ognuna di circa 5000 mq., sono individuate nella scrittura privata con colorazioni ciano, giallo e verde (immagine “1”).

Però non è chiaro se siano i terreni riservati alla realizzazione della cassa di espansione, necessaria per mettere in sicurezza idraulica tutta la zona, così come prescritto nella relazione geologica a corredo del regolamento urbanistico comunale. Clausola peraltro ribadita nel piano attuativo del PIP. In effetti, nel successivo articolo 10 del “preliminare di compravendita”, si attesta : “la [omissis] (proprietà, n.d.a.) da atto di aver autorizzato la Pianvallico (s.p.a., n.d.a.) e per essa i suoi appaltatori a spostare uno strato superficiale di circa 30 cm. di terra (per complessivi 6000 mc. circa) dall’area contigua di sua proprietà interclusa fra il PIP ed il fiume Sieve a favore dell’innalzamento dell’area PIP in funzione della sua messa in sicurezza idraulica”.
Sicché, ancora confusione sui dati, nei centimetri e nei metri cubi. Mi spiego. La normativa per quella zona imponeva di recuperare, a fronte del rialzamento del piano del terreno, a seguito della costruzione dell’area industriale, i volumi sottratti alla laminazione per circa 6600 mc. (non 6000), abbassando di circa 37 cm. (non 30) i terreni compresi, appunto, fra il PIP e l’alveo del fiume Sieve (riferimenti tratti dalla “relazione idrologica, idraulica” – Physis Ingegneria, del 14-03-2012, pagg. 27 e 28).

Il confronto dei documenti è ineluttabile, sono gli stessi terreni, descritti con dati diversi. Quindi, nella perizia ingegneristica sono rappresentati come aree su cui far gravare la cassa di espansione (immagine “2”,), sibbene da vincolare in maniera perenne a tutela del rischio idraulico. Nella scrittura privata di compravendita dei terreni però, presumibilmente, gli stessi, diventano materia di scambio commerciale, senza specificare alcuna limitazione di destinazione e di uso. Invero, il progetto della cassa di espansione non si trova. Non è chiaro se sia stato o meno predisposto.
Insomma, in ogni caso, nell’insieme, una cialtroneria documentale. E, purtroppo, come spesso succede, c’è chi è stipendiato per compierla e chi invece deve pagare per subirla.
Gianni Frilli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 22 settembre 2015