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RIFLESSIONI SUL VANGELO DELLA DOMENICA – Incredulità, pentimento e perdono
Caravaggio, L’incredulità di San Tommaso
VAGLIA – I sacerdoti del Vicariato del Mugello, a turno, propongono una riflessione tratta dalle letture della Messa domenicale. Oggi è la volta di padre Maurizio Gabellini, del Convento di Monte Senario.
Con la Domenica di Pasqua, Risurrezione del Signore, si apre un periodo festivo che dura 50 giorni: il tempo di Pasqua. Il tempo pasquale è considerato un tempo forte dell’anno liturgico, importante come la quaresima, che supera non solo nella durata, ma anche nel simbolismo.
Il numero 40 indica il tempo della prova, dell’attesa, mentre il numero 50 (7 x 7 = 49 + 1; dove il 7 indica la completezza, la pienezza) è l’eternità, la perfezione della meta. Il tempo di Pasqua è il tempo liturgico dedicato allo Spirito Santo.
Da questo momento, lo Spirito agisce personalmente nella vita di tutta la Chiesa e di ciascuno dei credenti e agisce in mille modi. Il tempo pasquale si presenta come il periodo simbolico per eccellenza della tappa attuale della storia della salvezza, quella che appartiene alla Chiesa e allo Spirito Santo.
La II domenica di Pasqua è l’antica domenica detta “In albis” per il fatto che coloro i quali erano stati battezzati nella veglia pasquale, deponevano i loro vestiti bianchi quando si concludeva la settimana della loro iniziazione sacramentale. Diventavano così fedeli a tutti gli effetti. Oggi questa dicitura, che si conserva, è stata integrata da una nuova formula proposta da San Giovanni Paolo II, e si chiama Domenica della Divina Misericordia, per sottolineare che la morte e risurrezione di Gesù è opera della Misericordia di Dio; quel grande Amore che ha amato gli uomini al punto da donare il Figlio, ed è opera trinitaria in cui sono coinvolti anche il Padre e lo Spirito Santo.
I discepoli che, a parte il discepolo amato, erano scomparsi al momento della crocifissione, ora sono rinchiusi in un luogo a porte chiuse in preda alla paura. Ma ecco che Gesù li raggiunge e sta in mezzo a loro. Gesù non abbandona chi l’ha abbandonato, ma corrisponde con amore al non amore di altri.
Che il Risorto si manifesti con le parole “Pace a voi”, dice che essi si scoprono perdonati. Il primo saluto “Pace a voi” si accompagna all’ostensione delle proprie ferite da parte di Gesù. “Mostrò loro le mani e il fianco”. Gesù mostra le ferite dell’amore, le ferite che gli ha procurato il suo amare fino alla fine, mostra il suo corpo ferito, quel corpo con cui aveva amato i discepoli fino a inginocchiarsi davanti a loro per lavare i loro piedi, deponendo le vesti, segno della deposizione della vita. Infatti, l’atto estremo dell’amore è la morte, la morte per amore. Anche la morte può esprimere amore quando è stata preceduta da una vita che ha sempre parlato la lingua dell’amore. Gesù mostra le ferite, fa vedere ai discepoli cosa può provocare il non amore, il non riconoscere e il non credere all’amore. Ma a questo fa seguire nuovo amore. Chi ama non incolpa gli altri delle ferite che gli sono state inflitte, anzi Gesù abilita e incoraggia i discepoli ad amare in modo analogo, cioè a perdonare. Gesù, mostrando mani e fianco, fa anche delle ferite ricevute un dono: ecco il perdono. Un amore che non si lascia frenare o inibire dal non amore.
Con il secondo saluto “Pace a voi” Gesù dona anche il suo soffio, il suo spirito, ovvero invita i discepoli a entrare nel suo modo di vita, a perdonare. Ad accogliere anche le ferite che altri potranno loro infliggere come occasione di ulteriore dono, come occasione di amore. Anzi, come responsabilità di amore. Accordando il potere di rimettere i peccati, il Risorto accorda una responsabilità ai discepoli.
Le parole di Gesù suonano come avvertimento: “a chi non rimetterete i peccati resteranno non rimessi”. E potremmo aggiungere: sarà vostra responsabilità avere tenuto il peccatore nella prigionia del male commesso, averlo reso ostaggio del proprio passato. Io non ho fatto così: Gesù questo non lo dice, ma lo ha appena narrato con il gesto dell’ostensione delle mani e del fianco.
Uno dei Dodici, Tommaso, non era insieme con gli altri quando il Signore si presentò in mezzo a loro. I discepoli gli danno l’annuncio: “Abbiamo visto il Signore”, ma Tommaso non crede alle loro parole e anzi pone condizioni al suo credere al Risorto: il vedere e constatare di persona.
Otto giorni dopo Gesù si presenta con il saluto benedicente “Pace a voi” e poi si rivolge a Tommaso accondiscendendo alle richieste, anzi alle pretese che egli aveva avanzato. E stavolta la reazione di Tommaso è radicalmente diversa da quella precedente. Perché si scopre accolto anche nella sua pretesa, nella sua sfiducia, nel suo non credere alla parola dei fratelli. Tommaso si scopre amato anche nella sua incredulità e perdonato.
Questo è ciò che vince le sue resistenze. Gesù non mette in atto strategie di convinzione, ma accondiscende a ciò che Tommaso aveva preteso mostrando di conoscere in profondità il cuore di questo discepolo. Tanto che Tommaso non sente nemmeno più il bisogno di mettere il dito nelle ferite, ma subito perviene alla confessione di fede in Gesù quale Signore e Dio. Tommaso ora crede all’amore e se ne lascia vincere. Tommaso diviene figura di chi si pente, mostrando che, a volte, credere è anche ricredersi. Tommaso si accetta accettando e riconoscendo di essere amato. Allora Gesù pronuncia la beatitudine per coloro che crederanno senza avere visto.
Seguono le parole dell’evangelista sul vangelo scritto: vangelo che contiene la narrazione dell’amore di Dio e della prassi di amore di Gesù. Beato dunque chi crederà all’amore attraverso la mediazione del vangelo, così come attraverso la mediazione di una comunità cristiana. La comunità riunita “otto giorni dopo” è rinvio alla comunità cristiana che nel tempo della chiesa si raduna settimanalmente per l’eucaristia domenicale: ormai i luoghi che narrano sacramentalmente l’amore di Dio sono la comunità cristiana, l’eucaristia, il vangelo. Senza vedere, senza prove tangibili, ma nella certezza della fede, questi tre luoghi sono tre testimonianze dell’amore che ci dicono che siamo amati, che possiamo imparare ad amare e possiamo diventare persone capaci di amare.
La festa della Divina Misericordia legata alle esperienze mistiche di Santa Faustina Kowalska parla ancora all’uomo di oggi dell’amore Misericordioso di Dio. Ancora una volta Gesù ci ripete mostrandoci il suo costato ferito “guardate quanto vi ho amato, abbiate fiducia in me che sono la personificazione della Misericordia del Padre. Con il dono dello Spirito Santo anche voi siete in grado di essere misericordiosi. Siate espressione della mia misericordia nel mondo!”
Buona Domenica.
P. Maurizio M Gabellini osm
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 Aprile 2022
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