Sindrome X Fragile. L’impegno di un mugellano per le famiglie e per l’inclusione
BORGO SAN LORENZO – È mugellano il presidente della sezione toscana dell’Associazione Italiana Sindrome X Fragile, una malattia genetica ereditaria che è causa di disabilità cognitiva, problemi di apprendimento e relazionali. Si chiama Simone Parrini ed è nato e cresciuto a Panicaglia, frazione Borgo San Lorenzo, anche se adesso abita a Impruneta. Con lui parliamo di questa malattia, delle prospettive della ricerca, dell’attività della sua associazione e della qualità della vita delle famiglie che ne sono colpite:
Cos’è la sindrome X fragile e come è entrata nella sua vita?
“È entrata nella mia vita a causa della condizione di mio figlio, una malattia genetica rara derivante dalla mutazione del gene FRM1. Questa patologia influisce sull’apprendimento e sullo sviluppo psicomotorio, senza purtroppo avere una cura definitiva. La malattia si manifesta con disturbi dello spettro autistico, determinando disabilità intellettive, difficoltà nel linguaggio e nella comunicazione, nonché problemi motori. Inoltre, comporta una vasta gamma di disturbi comportamentali, che possono spaziare dall’ansia e dalla timidezza all’iperattività e all’aggressività. Le manifestazioni variano notevolmente da individuo a individuo e da bambino a bambino”.
Quando ha scelto l’impegno nell’associazione? Come ha iniziato?
“Grazie alla genetista che ha seguito l’esame genetico di nostro figlio Pietro abbiamo conosciuto l’Associazione Italiana Sindrome X Fragile. Ci ha incoraggiato a contattarli per ottenere supporto e comprensione. Abbiamo iniziato a partecipare agli incontri, ma purtroppo le attività sono state interrotte a causa della pandemia di Covid-19. L’Associazione è gestita completamente da volontari, nessuno riceve alcun tipo di stipendio. Inizialmente, essendo informatico, mi hanno chiesto di occuparmi del sito web, di Facebook e di Instagram. Poi, lo scorso anno, il vecchio Consiglio Direttivo si è dimesso per scadenza dei mandati. Era necessario rinnovare il Consiglio, altrimenti rischiavamo di dover chiudere la sezione, lasciando le famiglie senza supporto. Così, insieme ad altre due mamme, abbiamo preso la decisione di entrare a far parte del nuovo Consiglio Direttivo: io come Presidente, una come Segretario e l’altra come Tesoriere”.
Qual è l’attività della vostra associazione? Sia di raccolta fondi per la ricerca sia di sostegno agli altri genitori?
“Come sezione Toscana dell’associazione italiana ci occupiamo principalmente di riunire e aiutare le famiglie, e contribuire alla conoscenza e alle informazioni sulla malattia promuovendo l’inserimento scolastico, lavorativo e sociale delle persone. Naturalmente noi siamo la gamba toscana di un’associazione nazionale, alla quale contribuiamo con delle quote; poi è questa che si occupa di organizzare tirocini, studi sulla malattia, anche appoggiandosi a Telethon. Quando si tengono iniziative nazionali siamo presenti anche noi, ma per associazioni come la nostra le risorse sono sempre poche, l’anno scorso eravamo 54 soci in tutta la Toscana. Siamo rari in tutto, sia come tipo di malattia sia come affluenza”.
Qual è per voi la cosa più importante?
“Il nostro obiettivo è intervenire il prima possibile sui genitori, perché quando si viene a sapere della sindrome la prima sensazione è lo smarrimento, la solitudine. Ad esempio ho ricevuto una telefonata un mesetto prima di Natale: era una mamma di Treviso che ci aveva trovato sui social e che cercava informazioni. La cosa importante è sapere che non siamo soli, ci sono genitori di tutte le età, abbiamo un bagaglio d’esperienza. Facciamo incontri con gli psicologi, con i professionisti, nei quali le famiglie si raccontano, aiutano le altre famiglie a capire cosa fare o non fare; il confronto è fondamentalmente. Per noi, uno degli aspetti più importanti, è quello di alleviare il peso psicologico per i genitori, e quindi favorire l’integrazione dei figli. È una cosa con la quale si dovrà convivere tutta la vita, ed è fondamentale e avere più informazioni possibile su quello che rappresenta per il bambino o la bambina”.
Qual è l’incidenza di questa malattia e come si scopre? Quali sono le prime cose da fare?
“L’incidenza è mediamente uno su cinquemila per i maschi e uno su settemila per le femmine, anche se i numeri sono un po’ discordanti tra gli scienziati. È fondamentale scoprirla il prima possibile; per questo come presidente toscano sto cercando di promuovere la pratica di effettuare un esame genetico neonatologico. Una volta scoperta la malattia, l’Azienda sanitaria può intervenire con un percorso comportamentale, ci sono dei professionisti che, partendo dalla neuropsichiatra infantile, ti possono aiutare nel colmare le lacune che porta questa malattia”.
Le istituzioni sono presenti? I genitori sono affiancati o sono soli?
“Ci sono dei percorsi, si parte ad esempio dalla logopedia, si cerca di insegnare al bambino a stare insieme agli altri bambini, a stare fermo, ad avere un comportamento più tranquillo anche in situazioni che a lui possono generare ansia. Questo viene fatto, anche se generalmente ci si ferma qui. Poi dipende molto da caso a caso; ogni ragazzo ha le sue caratteristiche e le sue difficoltà. Sicuramente la parte dove troviamo più carenza è quella scolastica, dove mancano le ore di sostegno. Sia per i bambini piccoli sia per quelli più grandi: dai due-tre anni fino ai sedici, alle scuole superiori. Dipende certo da scuola a scuola, ma in generale non c’è un grande supporto. Mi sento di dire che se la scuola facesse qualcosa in più non sarebbe male. C’è poi un altro aspetto, dal punto di vista lavorativo. La legge 104, che disciplina diritti e permessi, anche nel caso della nostra malattia presenta due livelli: con e senza gravità, a discrezione della commissione medica. A chi non viene riconosciuta la gravità toccano molte agevolazioni in meno. Per una malattia genetica rara è una cosa abbastanza inusuale che questa ‘gravità’ non sia riconosciuta d’ufficio, perché comporta ritardi cognitivi, più o meno gravi, ed è una cosa che non può guarire. E non avere il riconoscimento della gravità implica meno sostegno a scuola per il bambino e meno possibilità di prendere permessi per il genitore”.
Fate anche delle iniziative di sensibilizzazione?
“Ogni anno, il 10 ottobre celebriamo la Giornata della Sindrome X Fragile, una data simbolica scelta in quanto ‘X’ è il numero romano per dieci, in corrispondenza alla nostra condizione genetica. In occasione di questa giornata, chiediamo ai comuni di illuminare i loro monumenti di colore blu, il simbolo della nostra associazione, per aumentare la consapevolezza e la visibilità della sindrome.
Inoltre, il 29 febbraio si tiene la Giornata delle Malattie Rare, organizzata dall’associazione ‘Uniamo’, che ci rappresenta. I colori associati a questa giornata sono il verde, il rosa e il blu, quindi cercheremo di organizzare eventi anche in quella data. È fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica: maggiore è la conoscenza sulla sindrome, maggiori sono le possibilità di fornire sostegno alle persone affette e alle loro famiglie.
Ma quanto è pronta la nostra società in termini di inclusione? Come la vivono gli altri bambini?
“L’inclusione è sempre e comunque la nostra prerogativa come associazione, come genitori, ma lo dovrebbe essere a prescindere, anche per i genitori di bambino normodotato. Poi ogni bambino ha il proprio carattere e il proprio modo di reagire. I nostri ragazzi hanno molte volte degli atteggiamenti non propriamente regolari: ad esempio c’è il bambino che non parla, il bambino che parla tanto, il bambino che sta bene con tutti, c’è il bambino che invece dà le botte, quindi non c’è una risposta a questa domanda. Sicuramente noi cerchiamo di far sì che l’inclusione sia presente in ogni scuola, in ogni situazione e ci battiamo per questo, purtroppo troviamo, come in tutte le disabilità, dei muri e degli ostacoli di tutti i giorni, purtroppo è così, è innegabile”.
Avete soci anche in Mugello?
“Credo di essere l’unico mugellano, anche perché, purtroppo, magari qualcuno c’è ma non ci conosce”.
Esiste questa dimensione? Famiglie che non riescono a chiedere aiuto in maniera adeguata?
“Se l’incidenza è uno su 5 mila in Toscana sono nati l’anno scorso 20 mila bambini, quattro matematicamente dovevano presentare la sindrome X Fragile, però all’associazione non è arrivata nessuna nuova famiglia. Quindi sicuramente ci sarà qualcuno che, purtroppo, per vergogna o per paura, perché non si fida delle associazioni, o perché non accetta il fatto che il proprio bambino abbia una disabilità intellettiva, non emerge. Ci sono tanti fattori per i quali noi non riusciamo a fare breccia su tutte le famiglie con la sindrome X Fragile della Toscana. Basta pensare che in Italia siamo 500 famiglie iscritte e che l’associazione italiana esiste da 30 anni. Sono anche 12 anni che esiste la sezione toscana e siamo soltanto in 60 soci, tenuto conto che in alcune famiglie si associano due persone, significa che saremo più o meno 35 famiglie. Se guardiamo la proporzione manca qualcosa, conosco anche personalmente famiglie che hanno un bambino con la sindrome X Fragile ma che non vogliono iscriversi all’associazione, spesso non vogliono parlare di questa cosa. C’è una sorta di rifiuto da parte della famiglia, che purtroppo crea un problema a sé e al proprio bambino, che potrebbe avere invece delle opportunità in più. Devo dire comunque che non è semplice prendere coscienza di una cosa del genere, ci sono tante dinamiche familiari, però le persone che fanno parte dell’associazione si sostengono vicendevolmente. E poi arrivano anche delle belle soddisfazioni”.
Ci faccia qualche esempio
“C’è un signore, affetto dalla sindrome, che lavora ormai da venti anni in una ditta, e quest’anno in azienda è stata organizzata per lui una festa, oppure c’è un altro ragazzo che si è diplomato ed ha fatto un Erasmus da solo insieme all’accompagnatore a Malta, grazie anche all’organizzazione dell’associazione nazionale. C’è chi si è laureato all’università di Pisa. Divulgare queste situazioni positive serve anche a dare speranza a chi non è ancora arrivato a questi traguardi”.
Ci dica una soddisfazione particolare, una storia che l’ha colpita
“Io sono in associazione ormai da tre anni, dei quali uno da Presidente. Molti grandi Comuni ci hanno seguito e hanno dato disponibilità alle nostre iniziative. Adesso stiamo facendo una raccolta fondi per una famiglia di Rovereto e troviamo molto riscontro. Mi stanno chiamando i giornali, abbiamo tanta visibilità, e in cinque giorni abbiamo raccolto quasi 25 mila euro. Tutto questo ci fa capire che ci sono persone che ci possono aiutare. Anche se si deve lavorare tanto. L’impegno in associazione è tanto, ci sono complessità burocratiche e legislative. Però poi le soddisfazioni arrivano”.
Come concludiamo?
“Con la frase che abbiamo scelto per le nostre campagne: ‘Insieme facciamo la differenza e le differenze spariscono insieme’. E con una riflessione. Nonostante che noi facciamo tutto il possibile per i nostri figli, riflettiamo sul fatto che se fossero nati in altre parti del mondo, non avrebbero avuto accesso alla stessa assistenza di cui godono. Purtroppo, in questi contesti, la geografia gioca un ruolo fondamentale e molte famiglie non hanno accesso alle risorse e ai servizi di cui hanno bisogno”.
Nicola Di Renzone
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – Febbraio 2024