Addio a Vittorio Vignini, l’ultimo contadino di San Piero a Sieve
SCARPERIA E SAN PIERO – Lunedì 3 ottobre scorso se n’è andato serenamente a San Piero a Sieve Vittorio Vignini. A pochi giorni dal compimento delle 88 primavere, e nonostante qualche problema di salute, era ancora abbastanza attivo nel suo podere “Pian Barucci”, situato su un colle poco distante dal centro del paese. Un terreno che coltivava dal ’56, e la cui gestione è passata al figlio Antonio nel ’94, riservandosi però la cura delle viti, alle quali teneva moltissimo.
“È morto praticamente nella sua vigna” dice infatti il figlio, riferendosi al fatto che il babbo aveva potuto seguire direttamente l’ultima vendemmia, e che proprio la domenica 2 ottobre era sceso in cantina per assaggiare il mosto. Come tutte le persone anziane, continuare ad occuparsi di qualcosa che riguardava il suo lavoro gli dava una spinta in più.
Era, come afferma Antonio con orgoglio e senza ombra di dubbio, l’ultimo vecchio contadino di San Piero. E, stante la situazione economica attuale, fra un po’ si rischia che non resti più nessuno a coltivare la terra ed allevare mucche. Lui stesso, che è vicino alla pensione, medita di chiudere l’attività, alla quale non ha avvicinato più di tanto neanche i figli. Con grande dispiacere, certo, ma il sacrificio necessario non ripaga. Nel suo caso infatti, la sveglia è alle cinque del mattino per la prima mungitura delle vacche, per coricarsi alle nove di sera, con ovvie ripercussioni sulla vita sociale. In questi anni di conduzione dell’azienda, la passione ereditata dal padre lo ha aiutato a dover rinunciare a tante cose, ed è un peccato che tutto sia andato sempre a peggiorare, e che – per dirla con le sue stesse parole – se prima un litro di latte valeva tre litri di gasolio, ora è il contrario, e molto di più… . I motivi si leggono quasi quotidianamente sui giornali, e stanno portando a un impoverimento del territorio perché, quando il Mugello era popolato di contadini, la zona era certo più curata, e la manutenzione dei boschi, delle fossette di scolo, e tanto altro contribuivano alla tenuta del sistema.
Vittorio era un esempio in questo, e lo era anche nella di cura di sé e dell’ambiente. Quando doveva uscire, per commissioni o per la Messa, lo si vedeva sempre in ordine, ben curato, ma senza ostentazione. Racconta ancora Antonio che si lavava i denti con l’ausilio di un bicchiere, e la pulizia quotidiana avveniva con una catinella, per non sprecare l’acqua. Usava gli abiti finché erano buoni, e pure la biancheria, pur con piccoli, necessari rammendi. Faceva in tempi non sospetti la raccolta differenziata, ammucchiando vetro e carta in cambio di sapone prodotto da chi lo ritirava periodicamente. Sono gesti e pratiche ormai perduti con l’avanzare del “progresso”, ma quanto sarebbe bello e utile potercene riappropriare almeno in parte, rieducandoci pian piano al rispetto di sé, della natura e dei valori. Perché Vittorio, era anche un uomo con dei valori solidi: la famiglia, il lavoro, la fede, una fede sobria e robusta, come l’ha definita Don Daniele.
Una storia, la sua, che si intreccia con la vita di Piera Benci, che ha sposato nel ’58 e che gli ha dato quattro figli: Andrea, purtroppo scomparso prematuramente da qualche anno, Antonio, Alessandro e Annamaria. Un connubio interrotto bruscamente da circa venticinque anni, con la morte di Piera. Il loro incontro si deve indirettamente anche a un fatto avvenuto nel ’44, in piena Resistenza. Perché la famiglia di Piera, quando lei era una bimba, risiedeva in un podere chiamato “Monte Giovi”, situato sopra la fattoria di Valdastra, dove in quel periodo gravitavano i partigiani locali.
Venutolo a sapere, i soldati tedeschi stavano per fucilare tutti i residenti, accusati di proteggerli. “Erano spalle al muro”, rammenta Antonio riferendosi alla mamma ed ai familiari, quando la nonna Argentina, chiese di ritardare la sparatoria per mettere un fazzoletto intorno agli occhi della figlia, facendola girare di spalle. Una richiesta che le fu negata, ma sufficiente per puro caso a consentire l’arrivo di un ufficiale tedesco, che li graziò dall’essere uccisi, commutando la pena nel rogo della casa. Così la Piera, mentre i suoi parenti – chissà con che cuore – costipavano fascine dentro a quella che ormai era stata la loro abitazione, corse a liberare tutti gli animali, sperando che non finissero divorati dalle fiamme. Fu così che la famiglia Benci, rimasta senza casa e senza lavoro, si trasferì a Meleto, un podere sopra Santo Stefano a Campomigliaio, dirimpetto al Pian Barucci. Ne seguì l’incontro fortunato con Vittorio, ma anche dopo il matrimonio la Benci non si è mai sentita sradicata dalla sua casa e dalla sua mamma dato che, a poca distanza in linea d’aria, poteva seguire le quotidiane attività della famiglia d’origine. Una delle tradizioni introdotte dalla mamma Piera, e mantenuta anche oggi, sono le galline ‘del Valdarno’, che era abitudine allevare a casa dei Benci.
Si tratta di grossi polli dalle piume bianche, una brillante cresta rossa e l’andatura austera. Una famiglia che conserva dunque anche un patrimonio di memoria del quale, adesso che purtroppo il capostipite è venuto a mancare, Antonio, i suoi fratelli e le rispettive famiglie, fanno tesoro. Ed anche se il loro babbo non c’è più fisicamente, l’impronta sua e della mamma resterà per sempre nei loro cuori, come anche in ogni angolo di questo che era un po’ il loro piccolo regno, il centro del loro mondo.
Riposa in pace caro Vittorio, insieme alla Piera e al vostro Andrea. Ciò che hai seminato è ben custodito dai tuoi cari, a Pian Barucci.
Elisabetta Boni
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 Ottobre 2022
Ho conosciuto la famiglia Vignini fin da piccola,sono nata vicino alla loro fattoria, famiglia con grandi valori e grandi lavoratori. la descrizione che ha fatto Elisabetta rispecchia tutti i miei ricordi di bambina. Antonio non ti arrendere!!