Dietro la grata, a Marradi
MARRADI – Per ricordare suor Maria Paola Borgo, madre del Convento di clausura della Santissima Annunziata di Marradi, recentemente scomparsa (articolo qui) pubblichiamo un’intervista che la suora concesse al “Filo” quattro anni fa, agli inizi del 2012. Non è facile “intervistare il silenzio”, ovvero entrare nel mondo della clausura. Questo articolo è una testimonianza di quella particolare realtà, ed anche un ricordo di una suora vivace e intelligente, vissuta a Marradi per oltre 50 anni.
“Non ho dubbi, tornassi indietro, farei la stessa scelta di vita”: ti guarda sorridente, con i suoi occhi vispi, suor Paola. Ti guarda da dietro la grata del convento di clausura della SS. Annunziata di Marradi, e accetta volentieri di raccontare la vita della sua comunità domenicana, composta da sette suore, dai 43 agli 87 anni.
Lei, la madre, è dentro le mura chiuse del convento marradese -l’unico di clausura presente in tutta la zona- da quarantotto anni. “Lavoravo in un ospedale, ero caposala all’ospedale civile di Brescia. Ma l’ambiente non mi piaceva, non era serio, e sentivo che non era la mia vita. Percepivo la chiamata alla clausura, ed ero già in una comunità monastica di vita attiva. Parlai con il mio direttore spirituale che mi disse “Se il Signore ti vuole in clausura, la strada te l’aprirà Lui”. Me l’ha aperta rapidamente. Entrai in convento a Bergamo, nel 1961 feci la professione perpetua, e nel 1963 arrivai a Marradi”.
Una vita scandita dalla preghiera e dalla vita comunitaria. “Ci alziamo alle 5.30, e alle 6 inizia la preghiera corale, l’ufficio delle letture, poi le lodi, il rosario, e alle 7.30 la Santa Messa. Anche alle 8 -ride-, perchè don Nilo non è mai puntuale… Alle 8.30 c’è la colazione, poi abbiamo mezz’ora libera seguita da due ore di lavoro. Alle 12 ci ritroviamo nel coro, per l’esame di coscienza e la seconda ora media. Alle 12.30 il pranzo, si lavano i piatti e poi un po’ di ricreazione. Alle 14 inizia il silenzio profondo, fino alle 15, e chi vuole può andare a riposarsi. Alle 15 suona la campana, per ricordarci che dobbiamo tornare nel coro a pregare. Recitiamo due rosari”. Suor Paola si interrompe e sorride: “Crediamo nella preghiera, e quindi ce la mettiamo tutta… Poi andiamo nella sala di lavoro, e alle 17,30 ancora mezz’ora libera per la preghiera personale ed anche per passeggiare. Alle 18 suona nuovamente la campana che ci chiama per i Vespri e la meditazione. Infine la cena alle 19.30, seguita da un po’ di ricreazione, si chiacchiera insieme -durante il giorno dovrebbe esserci il silenzio (gli occhi sorridono ancora)- e alle 21 ci si ritira in cella”.
Mentre racconta queste cose, le suore intorno a lei ridono e assentono: “Sa -dice suor Paola- siamo come una famiglia. E ci becchiamo anche, litighiamo, ma poi chi sente di avere torto, chiede scusa.”
Il convento non è un’isola senza contatti con l’esterno: “Le nostre suore -dice la madre- hanno insegnato l’arte del ricamo a tante marradesi. Suor Giacinta, che è morta a 105 anni, era una bravissima ricamatrice e a Marradi la conoscevano tutti. E col paese abbiamo buoni rapporti, le persone vengono a parlare con noi, quante mamme son venute a confidarsi, a chiedere di pregare… Poi c’erano le suore che insegnavano a scuola”.
Nel convento non c’è televisione, ma si sente subito che le suore sono bene informate:” La Tv no, e niente Intenet, ma il giornale lo leggiamo tutti i giorni, “Avvenire” e “Il Piccolo”. Però stiamo pensando di utilizzare Internet, per promuovere le vocazioni”.Vocazioni, tasto dolente. Suor Paola scuote la testa: “Ci sono poche vocazioni perchè ci sono pochi figli. E non ci sono più guide ma molto sbandamento. Abbiamo un grande Papa, ma qualcosa manca anche nella Chiesa: chi parla più di vocazioni? E i sacerdoti ne parlano?”
La Madre torna sulla sua esperienza: “Io sono felice della scelta fatta. E non è una scelta eroica. Perchè la vita coniugale è forse facile? Penso non sia meno dura della clausura. Siamo qui perchè crediamo nel grande valore della preghiera. Ho scelto la vita claustrale perchè ho sentito di essere più utile in clausura che fuori. Non lo facciamo per essere riparate fisicamente. Siamo separate dal mondo per essere unite al Signore, ininterrottamente. Come dovrebbe fare il marito con la moglie”.
Intervista di Paolo Guidotti – “Il Filo”, febbraio 2012
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