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“Edificare una chiesa per edificare la comunità”: l’omelia del Card. Betori a Sagginale
BORGO SAN LORENZO – Pubblichiamo qui la prima parte dell’omelia dell’Arcivescovo di Firenze Card. Giuseppe Betori, pronunciata durante la celebrazione per la Dedicazione della nuova chiesa di Sagginale.
Siamo raccolti per la dedicazione di una nuova chiesa, un traguardo per il quale ringrazio il parroco don Maurizio e la gente tutta di Sagginale, che hanno voluto che la comunità non restasse senza il luogo della preghiera e della vita sacramentale; ringrazio l’architetto Giuseppe Ulivi e le aziende e le maestranze che hanno lavorato a questo progetto, bello, con una precisa identità di luogo sacro e in linea con quanto dispone il Concilio Vaticano II per la sacra liturgia; un spazio liturgico arricchito da opere d’arte antiche, con il recupero delle radici storiche della vita liturgica in questo territorio, mediante l’istallazione del ciborio di Giovanni Della Robbia che fu della chiesa di S. Quirico ad Uliveta, e opere contemporanee, particola rmente ispirate in prospettiva spirituale, per le quali mi rallegro con l’artista Enrico Savelli; ringrazio le istituzioni dello stato che hanno accompagnato il cammino di realizzazione di questo edificio di culto secondo le proprie competenze; ringrazio quanto hanno contribuito finanziariamente alla sua realizzazione, contribuenti locali e contribuenti del fisco italiano che hanno voluto destinare il proprio otto per mille alla Chiesa cattolica, da cui provengono in maggior parte le risorse economiche di cui si è avuto bisogno; ringrazio i miei collaboratori della Curia arcivescovile fiorentina, in particolare Massimiliano Bernardini che coordina la nostra edilizia di culto, per aver seguito in questi anni progettazione, lavori, problematiche economiche.
È un edificio, questa chiesa, che ben corrisponde a quanto descrive il Rito della dedicazione: «Come la sua stessa natura esige, la chiesa deve essere adatta alle sacre celebrazioni; dev’essere quindi un edificio dignitoso, che si distingua non tanto per sontuosità di costruzione quanto per nobiltà di linee e si presenti davvero come simbolo e segno delle realtà ultraterrene» (Rito della dedicazione di una chiesa, Premesse, 29). Mi piace sottolinearlo, avendo ben presenti le non poche polemiche che accompagnano l’edilizia sacra degli ultimi cento anni.
Un traguardo importante, questa nuova chiesa, in quanto in essa si esprime un segno della maternità della Chiesa fiorentina verso tutte le sue comunità, anche quelle meno numerose. A nessuna di esse, pur nel mutare delle condizioni sociali e pastorali deve essere negata la possibilità di riconoscersi in un luogo comunitario della vita liturgica e della preghiera, anche quando, come è il nostro caso, la vita pastorale deve necessariamente appoggiarsi su una comunità più vasta e quindi su una parrocchia di riferimento. Si sta di fatto riattualizzando quel rapporto di collegamento e di fondamento per cui le antiche pievi facevano da perno della vita comunitaria rispetto alle parrocchie limitrofe.
Il significato di quanto stiamo compiendo è espresso dalla liturgia in un continuo rimando dalla chiesa fatta di pietre alla Chiesa fatta di uomini. Già all’inizio della celebrazione vi ho esortato così: «Partecipiamo con fervore a questi sacri riti, in religioso ascolto della parola di Dio, perché la nostra comunità, nata da un solo Battesimo e nutrita dalla stessa mensa eucaristica, cresca in tempio spirituale e intorno all’unico altare si rafforzi e progredisca nell’amore che lo Spirito Santo diffonde nei nostri cuori». A chi ci chiede perché abbiamo voluto erigere una nuova chiesa possiamo rispondere che in essa ci vogliamo raccogliere nell’ ascolto della parola di Dio e nella celebrazione dei sacramenti, per edificarci come comunità che, animata dallo Spirito Santo, vive nella fraternità della comunione e si esprime nei gesti della carità verso tutti.
Non si tratta di traguardi trascurabili o anche solo di minor peso in una società così dispersa, divisa, dominata da istinti egoistici e che così poco si cura dei più deboli e indifesi. In questo, essere cristiani significa andare controcorrente rispetto ai modelli dominanti nel mondo di oggi e richiede quindi nutrimento assiduo, di Parola e sacramenti, come auspico vogliate qui attingere con fedeltà.
Card. Giuseppe Betori
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 aprile 2016
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