Il Filo di Perle – Oriente, Gerusalemme, Betlemme. Pensieri per tutti
Nella giornata dell’Epifania il pievano di Borgo San Lorenzo Don Luciano Marchetti ha fatto un’omelia ricca di spunti di riflessione. Riflessioni utili per tutti, credenti e non credenti. Per questo ne proponiamo qui la lettura e la meditazione.
“Vi parlerò dell’Oriente, di Gerusalemme e di Betlemme come tre condizioni, tre atteggiamenti spirituali.
Cominciamo dall’Oriente: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”. L’Oriente è, sì, una regione affascinante e meravigliosa della terra, ma l’invito è a leggere l’Oriente come una condizione dello spirito, come la patria di coloro che cercano la verità, che cercano Dio. E’ il mio invito a leggere l’Oriente come l’insieme delle persone che cercano veramente la verità, che cercano Dio. Che bello incontrare gente così.
Non conta essere, magari, credenti o non credenti, però come è bello dialogare con certe persone che pongono domande, che sono capaci di punti di vista nuovi. Insomma, è bello con loro dialogare, essere interrogati e interrogare. Ma com’è pesante, com’è malinconico, invece, trattare con le persone banali, superficiali, schiave di luoghi comuni o gente fanatica e intollerante.
Ecco, l’Oriente è proprio la patria di coloro che cercano Dio, la verità; che si fanno domande e che sanno camminare cogli altri, alunni della verità, capaci di ascolto.
La cosa che sta capitando in questi ultimi decenni, in modo particolare, secondo un sociologo è che “il nuovo e più insidioso avversario della fede non è più il rifiuto di Dio ma l’indifferenza”. Cioè, Dio, oggi, non è tanto negato, combattuto; è ignorato, è diventato superfluo, non interessa.
Mi sono scritto qualche anno fa e non ho più dimenticato una frase limpidissima di un giovane che diceva: “Non so fino a che punto credo in Dio però non cerco la soluzione; io sto bene come sto”. Questa indifferenza verso Dio è un virus che sta girando tantissimo in questi ultimi anni, magari anche in mezzo a noi. Invece, come è bello trovare gente che crede e si fa domande, non crede e si fa domande.
Una dedica ho trovato qualche anno fa in un libro di Armando Torno, Pro e contro Dio; la dedica era questa: Questo libro è dedicato a tutti coloro che almeno una volta nella vita si sono chiesti: “Esiste Dio?”. A mia madre, che tanti anni fa mi ha detto: “Sì”. Ma anche ai compagni cattivi, che per primi mi hanno suggerito: “No”. Infine a un gesuita morto poco dopo gli ordini che mi ha risposto: “Sì, ma pensaci”. Bellissimo. “Esiste Dio? Sì, ma pensaci”. Perché soltanto dove c’è la ragione, c’è la libertà. Soltanto dove c’è la ragione, c’è la fede matura, autentica. Sennò, qualunque religione crea gente bigotta o fanatica. Ecco l’Oriente. Noi dove siamo? Siamo dentro questa esperienza bellissima di gente che si fa domande, che vuole capire, che è aperta al futuro, che cammina cogli altri? Chi ci incontra, ci vede così, gente amichevole e intelligente?
Gerusalemme. Gerusalemme è una città, ma il mio invito, ancora una volta, è a leggere questa città come una condizione dello spirito, come un atteggiamento dell’intelletto e della sensibilità. Gerusalemme è la patria di coloro che non cercano e che non si mettono in cammino. Gli abitanti di Gerusalemme sanno tutto, sanno la risposta: il Messia nascerà là, a Betlemme; ma non si muovono. Mentre i Magi sono in cammino, in un cammino molto faticoso – la stella c’è ma, poi, scompare – gli abitanti di Gerusalemme non si muovono, non si mettono in cammino. “All’udire queste parole il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Ma, poi, non cambia niente.
Capita anche a noi di venire a Messa la Domenica, sentire leggere il testo evangelico oppure biblico, un’omelia buona, magari, e avere un po’ di turbamento. Poi, quando si passa dalla porta, tutto ritorna come prima. Ecco, tanti cristiani sono così. Non hanno il coraggio di buttarsi nella vita come cristiani. Sono cristiani, si sentono cristiani ma manca quel coraggio per cui in ufficio, in fabbrica, a scuola, negli ospedali – dove viviamo, insomma – nel vicinato, hanno paura a dirsi cristiani e a far vedere che sono cristiani. Oppure, cristiani un po’ fermi: “Io la penso così; ho sempre fatto così: qualche preghiera, qualche gesto di bontà”. E si resta fermi.
Usando l’immagine della bicicletta vi dico che occorre pedalare. Non si può stare fermi. Madeleine Delbrel usa questa immagine che non si può dimenticare: “Tu, Signore, ci hai scelto per essere in un equilibrio strano – la vita cristiana è complessa, è strana –. Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi se non si è in un movimento, se non si è in uno slancio”. Un po’ come una bicicletta. Se cominci ad andare, la bicicletta va; se sta ferma, la bicicletta cade.
Ecco, forse tanti cristiani hanno dimenticato questa cosa: che occorre buttarsi nella vita. Il Cristianesimo è fatto per far fiorire la vita quotidiana di tutti noi. Se guardiamo a noi – ciascuno si guardi un istante dentro – quante stelle sono passate dalla nostra vita: genitori meravigliosi, la nonna, alcuni preti, alcune suore, alcuni maestri, alcuni catechisti, alcuni incontri. Ciascuno di voi ricordi cosa ha provato. Chi ha una certa età, quante stelle ha visto passare! E magari è rimasto fermo, dentro le sue abitudini, senza infamia, senza lode. E, allora, non rendiamo troppo vero quel proverbio che dice: “Chi vuol fare qualcosa, trova sempre un mezzo. Chi non vuole far nulla, trova sempre una scusa”.
Ecco, l’invito che fa a ciascuno di noi oggi Gerusalemme – intesa come atteggiamento spirituale – è: “Forse devi buttarti un po’ di più; prendi la bicicletta dell’avventura cristiana e pedala. Datti da fare perché divenga più bello il mondo che sta attorno a te”.
E, poi, Betlemme. Betlemme va letta, ancora una volta, sì, come una città, ma come la condizione di coloro che vivono la fede come amore, come passione, come adorazione. E siamo arrivati al cuore del brano evangelico di oggi. La stella oramai ha esaurito il suo compito. E’ arrivata lì dove c’è quel Bambino. Oramai quel Bambino è la stella. Quel Bambino è la luce del mondo. Betlemme è il luogo dell’epifania che vuol dire manifestazione, che dice che quel Bambino è Dio ed è il Salvatore di tutti: ecco i Magi. Questo Bambino è Dio. “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”. Questo inginocchiarsi dei Magi è favoloso. Questo inginocchiarsi è dire: “Sei troppo importante per me. Sei la mia luce, la mia forza; sei tutto per me; sei il mio Dio”.
Ecco, forse, qualche volta in più, ciascuno di noi, dovrebbe avere il coraggio di mettersi in ginocchio. Non conta se in casa o in chiesa – davanti a Gesù Eucaristia è il massimo – e dire: “Signore, sei grande. Sei immenso e so che Tu mi vuoi bene”. Ecco l’adorazione: mettersi davanti al Signore con rispetto, con calma e nel silenzio, dando a Lui il primo posto, abbandonandosi fiduciosi. Questo prostrarsi ci fa capire una cosa: che Dio non vuole le nostre cose, la mezz’oretta… Dio vuole noi.
Quindi i Magi ci dicono, lì in ginocchio, che con Gesù la vita può cambiare. Chi adora, chi frequenta la sorgente viva dell’amore non può che rimanerne, per così dire, “contaminato”. E comincia a comportarsi cogli altri come il Signore fa con lui: diventa più misericordioso, più comprensivo, più disponibile, supera le proprie rigidità e si apre agli altri. Dio vuole che lo amiamo. E Dio vuole che ci vogliamo bene. L’amore è tutto nella vita. Lo stiamo dimenticando. Il paradiso è l’amore e l’inferno è il disamore.
E tutto come si chiude? La stella non guida più i Magi nel loro ritorno perché, oramai, la stella è dentro di loro; la stella è Gesù. Oramai i Magi hanno la stella dentro di sé; la luce della fede e dell’amore è dentro di loro e diventano loro stella per chi li incontra. E non si va più a Betlemme, a Gerusalemme; si va nel mondo; si torna nell’Oriente, cioè a far la vita con tutti. Sono tanti quelli che attendono, dopo questa Eucaristia, uscendo dalle porte della nostra chiesa, il nostro ritorno, il nostro racconto, la nostra luce, il nostro essere stella. Sono convinto che tanta gente attende da noi questo nostro essere stella nella vita quotidiana.
Questo è il mio augurio: che ciascuno di noi, avendo celebrato l’Eucaristia, essendosi messo in ginocchio davanti a questo Bambino – che è Dio in mezzo a noi – questa luce che entra in lui diventi una luce così forte e così vera da essere ammirati dagli altri e la domanda che devono farci: “Ma tu, come fai ad essere così?”. Allora si deve dire: “Guarda, in quella chiesa lì, c’è il presepe, c’è un altare, c’è il tabernacolo; lì c’è il mio Signore e il mio Maestro”. E così sia”.
Don Luciano Marchetti