L’Africa che divora il cuore. Il racconto di Maria Stella Dallai, di ritorno dal Togo
MUGELLO – “Mangia che l’Africa ti mangia” erano le parole di Suor Nazarena quando ci sedevamo a tavola; percepivamo ogni volta l’impegno delle due suore per alleviarci il disagio del clima e del luogo e per venire incontro ad ogni nostro desiderio.
Ed è vero, l’Africa ti consuma le energie e ti divora anche il cuore, in un mondo in cui situazioni di grande vitalità (animaletti che vagano liberi, bambini ovunque, manghi forti e rigogliosi…) si alternano a situazioni per noi strazianti (come le morti, evitabilissime in un nostro ospedale, del piccolo con la polmonite vegliato dal padre disperato, già colpito dalla perdita di un figlio, e della ragazza diciassettenne morta di meningite, arrivata in coma , dopo 5 giorni di otite purulenta).
E quando rientri in Italia, in un mondo pieno di superfluo (lì Denis non ha neppure un paio di ciabattine di plastica e per un bambino ricevere un solo pallone è avere un tesoro), di pretese e di cose date per scontate (lì il piccolo George ha atteso mesi il nostro arrivo per avere il farmaco per il suo cuore malato), ritorna il ricordo non solo delle persone incontrate ma anche degli animali , come la piccola cagnetta disabile Luna, protetta dagli altri cani, che si muove come una tartaruga,con le quattro zampe aperte sul terreno del cortile delle suore, di cui siamo riusciti a guadagnare la fiducia solo il penultimo giorno.
In questi pochi, ma intensi, giorni,ognuno di noi ,con una certa armonia , ha fatto la sua parte: io e Leonardo facendo visita ai bambini dell’ospedale e dei villaggi, Lorena con la sua attività nella scuola e ,soprattutto, Paolo che, adibita una stanzetta ad ambulatorio, ha eseguito con il suo apparecchio, oltre 150 ecocardiogrammi, individuando cinque bambini con difetti cardiaci operabili.
Ma ogni incontro diventava un’occasione di riflessione e di confronto tra di noi.
Così la bambina in miniatura, 4 anni e 5 chilogrammi, che, per la sua frequentazione dell’ospedale,è ben conosciuta alle suore che la fanno saltellare al ritmo della canzoncina “sotè,sotè”.
Mi sono precipitata con lei nella stanza dove avevamo scaricato il contenuto (farmaci, vestiti, cibo, materiale sanitario) delle 8 valigie portate dall’Italia, in cerca di vitamine e integratori alimentari.
Ma Lorena fa notare che il corpicino della bimba non ha i segni della malnutrizione: si tratta forse di una malattia congenita dell’accrescimento? Non avevamo la connessione wifi per verificare…
Un altro giorno, mano nella mano al parroco, è comparsa un’esile bambina per ricevere la terapia antimalarica. Non siamo riusciti a sapere il suo nome ma abbiamo capito che aveva più o meno 7 anni; avendo notato la mancanza di uno dei due condotti uditivi esterni, ci siamo interrogati sulla sua capacità uditiva, poi, conosciuta la sua storia, siamo rimasti letteralmente inorriditi: accusata di essere una strega è stata cacciata dai genitori e dal villaggio e ha dormito più notti per strada finchè non è stata portata alla parrocchia.
Sapevo di questo fenomeno di superstizione e di emarginazione sociale diffuso in Africa: le suore a Ouagadougou, passando in auto, ci avevano indicato la casa dove venivano accolte le donne cacciate dai villaggi per stregoneria (la sorcellerie) e avevo letto articoli di organizzazioni umanitarie che aiutano donne arbitrariamente isolate e che, per non morire di stenti, si organizzano in piccoli agglomerati.
Non pensavo però si potesse arrivare a tanta crudeltà nei confronti di un bambina così piccola.
E poi la vicenda delle tre sorelline con l’addome gonfio e teso, nel villaggio ad un’ora di jeep dall’ospedale, ai confini con il Ghana: eravamo storditi per la gente che si accalcava intorno a noi, mentre facevamo i test per la malaria, seduti su dei banchini ,di fronte ad una scuola e ce le hanno messe davanti:”Sono sole? ma i genitori dove sono? ” Ci hanno riferito che la madre le aveva abbandonate e che il padre, 28 anni, occupato con il lavoro nei campi e mandato a chiamare, sarebbe arrivato a breve. Gli abbiamo chiesto di portare le bambine (6,5 e 3 anni) l’indomani da noi, a Bogou.“Le porterà?’ ho chiesto perplessa alla suora, immaginando le tre piccole con l’addome preoccupante attaccate le une alle altre sulla moto del padre, in quelle strade rosse dissestate.”Certo che le porterà” ha detto Suor Nazarena , sempre positiva e pronta a’gettare il cuore oltre l’ostacolo’.La mattina seguente le abbiamo viste comparire al cancello della Pediatria ed è iniziata la ricerca della diagnosi: Leonardo e Paolo hanno appoggiato la sonda dell’ecografo sul loro addome e hanno visto una milza enorme e, dopo un consulto con il pediatra togolese e gli esami del sangue, abbiamo capito che si trattava di anemia falciforme,una malattia genetica di difficile gestione in un posto come quello…..La prima cosa da fare sarebbe togliere loro la milza presso la chirurgia di Dapaong, ma il padre è povero….
Siamo partiti con il magone dell’impotenza, consapevoli che, anche mandando i soldi per l’operazione, ciò non sarebbe stato risolutivo per la loro salute, a causa delle infezioni cui andrebbero continuamente incontro.
E appena partiti ci è venuta subito la nostalgia per quel posto sperduto nella savana, per le nostre serate passate insieme a giocare a carte, per la compagnia delle suore e del piccolo François (da loro salvato, come tanti altri bambini), e che tanto Paolo vorrebbe portare a Roma.
Chissà se siamo riusciti a trovare la strada giusta inviando i 5 bambini operabili a Lomè presso l’organizzazione francese suggeritaci o dovremo ricominciare da capo riallacciando contatti con il Centro di Cardiochirurgia “Salam” di Emergency a Khartoum o, eventualmente, rivolgendoci al Gemelli di Roma.
Chissà se riusciremo a trovare fondi per fornire l’ospedale, per il prossimo anno, di un ecografo multifunzionale per indagare non solo il cuore ma anche gli altri organi.
Rientrati, già una valigia è stata messa in un angolo con i primi farmaci per il prossimo viaggio….