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Olio di oliva, come valorizzare questa risorsa mugellana
Più che una sovrapposizione di eventi, si tratta della crescente attenzione che le associazioni e le amministrazioni locali dedicano all’olio di oliva prodotto nel territorio.
Pochi decenni sono passati da quando, appena acquisito il mio piccolo oliveto personale a Pulicciano, i miei vicini agricoltori mi scoraggiavano nell’investire il mio tempo sull’olio. Era appena avvenuta la terribile gelata dell’85 e avevo tagliato al piede il 93% dei miei olivi.
Oggi mi sembra passato un secolo da quando mi consigliavano di lasciare perdere.
-Il Mugello non é terra da olio – mi dicevano ma dopo trenta anni di cambiamenti climatici è giunto il momento di porre l’attenzione sulle opportunità che la coltivazione dell’olivo potrebbe rappresentare per il Mugello.
Per parlare di casa nostra occorre prima fare una breve analisi sulla situazione italiana che si riassume in pochi dati.
Secondo l’Ismea, in Italia si consumano annualmente 535.000 tonnellate di olio di oliva e se ne esportano 375.000. Il che significa che in Italia si commerciano 916.000 tonnellate di oliva per uso alimentare ( circa 6.000 se ne vanno per utilizzi industriali).
Prima considerazione: la produzione italiana è di 328.000 tonnellate.
Significa che produciamo soltanto un terzo dell’olio che vendiamo. Tutto il resto è importato!
Seconda considerazione: la produzione delle circa 840.000 aziende agricole italiane è in calo da anni. Solo 10 anni fa la produzione interna era di circa 600.000 tonnellate.
Terza considerazione: nella produzione interna, è compreso l’olio ricavato da olive importate da Grecia, Spagna, Tunisia ecc.
Così nascono i disorientamenti del consumatore per le iscrizioni parziali riportate sull’etichette, tipo “prodotto con olive italiane e comunitarie ( se non addirittura extracomunitarie)” che eludono la minima indicazione di origine seria.
Quarta considerazione: lo sfilacciamento della filiera coltivazione/molitura/ distribuzione e la vaghezza delle indicazioni consentite dai regolamenti comunitari, lascia uno spazio molto largo alla contraffazione e alla truffa. I recenti servizi di Report hanno rivelato un mondo oscuro e parallelo ai prodotti che vengono presentati come Made in Italy.
Quinta considerazione: nonostante che l’olio prodotto con olive italiane costituisca una quota minoritaria sul totale di quello commercializzato, l’Italia vanta circa 400 cultivar iscritte nello schedario oleicolo italiano ma gli oli Dop e Igp rappresentano circa il 2% dei consumi.
Delle 820.000 aziende italiane, circa il 63% è considerato marginale e il processo di abbandono totale o parziale degli oliveti è in aumento progressivo. In alcuni casi le produzioni si limitano a quantità prossime all’autoconsumo.
La Spagna è il maggior produttore mondiale di olio di oliva con un tonnellaggio tre volte superiore a quello italiano. I motivi di tale posizione sono dovuti alla concentrazione di grandi aziende e alla industrializzazione dei processi di coltivazione e di estrazione.
Sesta considerazione che assimila sotto molti punti di vista la situazione del Mugello a quella nazionale.
Punti deboli dell’agricoltura oleicola italiana:
-molte cultivar vs poche cultivar
-molte aziende vs concentrazione produttori
-approccio amatoriale e famigliare vs approccio imprenditoriale.
-molti frantoi vs pochi grandi frantoi.
-forti legami territoriali vs global.
-scarsa industrializzazione dei processi vs estrema industrializzazione.
Se non vogliamo gettare la spugna per una delle maggiori eccellenze italiane, occorre cambiare passo ed attuare una politica di sviluppo mirato.
Rivoluzionare la nostra industria oleicola seguendo il modello spagnolo, non sarebbe né intelligente né possibile. L’unica strategia praticabile potrebbe essere il posizionamento dell’olio di oliva italiano ( e mugellano) nella fascia più alta del mercato, quella che si confronta con un consumatore più competente e consapevole.
Si tratta di una svolta che nel marketing spesso ha dato eccellenti risultati. È una operazione che cerca di volgere i punti di debolezza in punti di forza.
È intuitivo quali siano le nostre debolezze capaci di rappresentare virtù per l’eccellenza di mercato ma la trasformazione dei problemi in opportunità richiede investimenti in sapienza colturale e culturale, in meccanizzazione sostenibile e intelligente, e in marketing.
In questo percorso virtuoso occorre valorizzare più il territorio della singola etichetta, costruire un posizionamento capace di affascinare e conquistare la fedeltà dei consumatori consapevoli di ogni paese (nel globale ha più successo chi valorizza la propria identità locale).
Solo così i produttori, tutti insieme, potranno affrontare con buone possibilità di successo le difficoltà sempre crescenti dei sistemi distributivi.
Abbiamo a conforto il caso del vino. In trenta anni, gli italiani da venditori di mosti zuccherini e vini sfusi in cisterna, sono diventati venditori di preziose etichette.
Nel vino abbiamo cambiato posizionamento e il nostro vecchio ruolo poco pagante è stato ereditato da altri. Lasciamogli prima possibile lo stesso ruolo anche per l’olio di oliva.
La sfida che gli imprenditori agricoli dovrebbero raccogliere è nell’innovazione produttiva e commerciale. Per farlo dovranno pensare più come imprese associate che come singole famiglie. Questa evoluzione che definirei addirittura antropologica, potrà compiersi soltanto se le associazioni di categoria e le amministrazioni locali sapranno impegnarsi per favorire la costituzione di consorzi e la disponibilità di servizi altamente professionali in pool per i produttori.
Renzo Bartoloni
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 23 gennaio 2019
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