Pietracito: “Ecco come ci maltrattavano al Forteto”
MUGELLO – La sentenza c’è stata, ma a Sergio Pietracito, presidente dell’associazione “Vittime del Forteto” non basta. Vuole che tutti sappiano, con chiarezza, cosa accadeva al Forteto. Così di recente, su Facebook ha scritto: “Dobbiamo dare il giusto nome alle cose”, e ricorda che il reato “per gli altri soci diversi da Fiesoli , è maltrattamenti. Si tratta di reati accertati, e gli imputati sono stati condannati a risarcire solo civilmente per sopraggiunta prescrizione penale. Al momento solo una socia, insieme a Fiesoli è stata condannata in via definitiva. Per un altra donna ci sarà nuovamente l’appello per rideterminare la pena, che potrà decidere se al maltrattamento potrà essere sommata oppure no la violenza sessuale di gruppo. Rideterminazione della pena a seguito di prescrizione di alcuni capi d’imputazione, anche per altri quali imputati”.
Così Pietracito riporta, dai verbali giudiziari, in cosa consistevano questi maltrattamenti, perpetrati non solo da Fiesoli, ma anche da altri membri della comunità: maltrattamenti che Pietracito definisce i “dieci comandamenti”, ai danni di una dozzina di persone. Così si accusano alcuni membri della comunità di aver coadiuvato Fiesoli “stabilmente nell’attuazione e nell’osservanza delle rigide regole di vita e di comportamento da quello create e imposte nella comunità, consistite in particolare:
1. nella rigorosa separazione degli uomini dalle donne, anche se legati da vincoli affettivi e uniti in matrimonio;
2. nella pratica dell’omosessualità anche tra persone minori di età, intesa quale mezzo per risolvere i problemi sessuali dell’infanzia dovuti all’omosessualità latente e nel sostenere l’inferiorità delle donne rispetto agli uomini perché “impure e puttane”;
3. nel divieto di rapporti eterosessuali;
4. nella denigrazione costante della famiglia di origine e nell’ostacolare ogni relazione con genitori e parenti, anche non consegnando ai destinatari la posta da quelli proveniente, non passando le telefonate che giungevano e non consentendo a nessuno di fare telefonate private, essendo obbligatorio l’utilizzo del dispositivo “viva voce”;
5. nel divieto di coltivare rapporti con persone all’esterno della comunità, e di esercitare qualunque tipo di attività ricreativa, culturale, sportiva ed educativa, sostenendo che tutto quello che era fuori era “il male”;
6. nell’imporre la permanenza ed il lavoro all’ interno della comunità e l’accettazione della regola secondo cui quasi tutta l’intera paga derivante dall’attività lavorativa svolta presso la cooperativa il Forteto veniva versata all’associazione omonima ad eccezione di circa duecento euro mensili e nell’inibire di proseguire gli studi ovvero di avviarsi ad un lavoro all’esterno della comunità, tacciando coloro che ne avanzavano richiesta di “essere di fuori”, sottoponendoli alle consuete “punizioni” meglio descritte ai capi che precedono e seguono;
7. nell’impedire di ricorrere alle istituzioni pubbliche per curare le persone che ne avevano bisogno, nell’omettere di portare le persone al pronto soccorso e nel provvedere Fiesoli R.L. a suturare ferite con ago e filo e Goffredi Luigi a prestare cure odontoiatriche;
8. nel condizionare le scelte di voto in occasione di elezioni politiche ed amministrative, ordinando di votare per una parte politica precisa e sottoponendo chi dissentiva alle solite punizioni per fare accettare le regole della comunità: insulti, chiarimenti ed emarginazione dal gruppo;
9. nella pratica ossessiva dei “chiarimenti”, cui venivano sottoposte tutte le parti offese, consistenti in discussioni protratte anche per ore e condotte dagli indagati separatamente con diverse parti offese, nelle quali si obbligavano queste ultime ad ammettere e confessare, a mezzo di continue violenze psicologiche e punizioni anche corporali, suggerite ed inesistenti fantasie sessuali verso terzi e anche nei confronti dei genitori e dei parenti, violenze ed abusi subìti dai propri genitori ed infrazioni – vere o presunte – delle regole della comunità; discussioni che, in assenza di ammissione e confessione o, in caso di persistenza del rifiuto ad accettare le decisioni e gli indirizzi di pensiero o di condotta della comunità, sfociavano in percosse, costrizioni a stare chiusi in una stanza o immobili in piedi o nell’andare a letto senza cena, disapprovazione, emarginazione e isolamento dal gruppo, attuati anche con pesanti ingiurie (puttana, troia, maiale/a, stupido/a, cretino/a, idiota, grullo/a, bucaiolo/a) e denigrazione della persona in presenza di tutti, in occasione delle riunioni per i pasti alla mensa o delle riunioni serali;
10. nel minacciare anche di morte coloro che tentavano di sottrarsi alle regole sopra descritte o che le ponevano in discussione, ed aggredendo e percuotendo coloro che reagivano opponendosi a Fiesoli R.L. e ai suoi atti di sopraffazione fisica, morale e sessuale, con tali condotte infliggendo una stabile e perdurante situazione di sofferenza e di vessazione a tutte le parti offese, generando nelle stesse una condizione di sudditanza e di soggezione psicologica finalizzata al controllo ed alla gestione della persona e ad ottenere dalle stesse un assoggettamento a Fiesoli R.L. ed al suo sistema di vita comunitario, che comprendeva anche la giustificazione delle condotte sessuali del medesimo, proposte e sostenute come atti “terapeutici e purificatori” dei traumi – veri o presunti – subiti dalle parti offese.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 5 gennaio 2018