A Firenzuola un museo sulla vita durante la guerra, per imparare la pace
Nonostante avessi letto con attenzione il progetto per una esposizione di reperti militari i occasione del 70° anniversario del bombardamento di Firenzuola, nonostante ne condividessi l’impostazione
(un percorso di pace a partire dalle testimonianze della guerra), quando sono andato all’inaugurazione, sabato scorso, un po’ di prevenzione/pregiudizio ce l’avevo ancora.
Non è facile parlare di pace e agire per la pace in maniera non retorica e non ideologica. Mentre può essere facilissimo indurre fascinazione nei giovani (e nei meno giovani) attraverso i “cimeli di guerra”.
La presentazione di Marco Burrini, che ha curato l’esposizione, ma soprattutto l’esposizione stessa mi ha tolto gran parte delle mie perplessità.
Tutti gli oggetti, a partire dalle divise, sottolineano la centralità dell’individuo: dentro a ogni divisa c’è un uomo che cerca di riportare a casa la pelle, che deve soddisfare – spesso in condizioni disumane – i bisogni più elementari, dal cibo alla cura della persona, alla riparazione degli scarponi. Sono esposti molti più oggetti legati alla vita quotidiana che armi.
E poi un elemento chiave per leggere il senso dell’esposizione: cassette di primo soccorso e strumenti chirurgici, sia tedeschi sia alleati. Attrezzature mediche per curare quali malattie? Al fronte ci sono soltanto uomini sani. La malattia da curare è la guerra stessa, una malattia che si diffonde con grande facilità, che colpisce preferibilmente giovani prestanti. La guerra è una malattia mortale: quelle attrezzature mediche non sono state in grado di curare i milioni di morti uccisi dalla guerra.
Le due sale dell’esposizione sono un primo importante passo sulla strada della comprensione della natura della guerra, soprattutto per quelli che la guerra non l’hanno vista e per quelli, giovani e vecchi, che la guerra la vedono soltanto in televisione.
Il passo successivo è la mostra fotografica sul bombardamento e la distruzione di Firenzuola.
La più grande invenzione del XX secolo: la guerra aerea. E, con la guerra aerea, il bombardamento a tappeto su obiettivi civili e sulla popolazione civile.
«Basta immaginare ciò che accadrebbe, fra la popolazione civile dei centri abitati, quando si diffondesse la notizia che i centri presi di mira dal nemico vengono completamente distrutti, senza lasciare scampo ad alcuno. I bersagli delle offese aeree saranno quindi, in genere, superfici di determinate estensioni sulle quali esistano fabbricati normali, abitazioni, stabilimenti ecc. ed una determinata popolazione. Per distruggere tali bersagli occorre impiegare i tre tipi di bombe: esplodenti, incendiarie e velenose, proporzionandole convenientemente. Le esplosive servono per produrre le prime rovine, le incendiarie per determinare i focolari di incendio, le velenose per impedire che gli incendi vengano domati dall’opera di alcuno. L’azione venefica deve essere tale da permanere per lungo tempo, per giornate intere, e ciò può ottenersi sia mediante la qualità dei materiali impiegati, sia impiegando proiettili con spolette variamente ritardate.» (Giulio Douhet, Il dominio dell’aria, 1921)
Giulio Douhet, come è stato ricordato nell’incontro dello scorso 12 settembre nella sala del Consiglio di Firenzuola, è un generale italiano che ha teorizzato con lucidità quello che sarebbe successo da Guernica in poi, fino ad oggi; Giulio Douhet è il generale italiano, morto nel 1930, al quale è intitolata la Scuola Militare Aereonautica presso la ex Scuola di Guerra Aerea di Firenze.
Che Firenzuola, il 12 settembre 1944, fosse completamente svuotata dei suoi abitanti è un puro accidente, irrilevante rispetto alla scelta di scaricarvi sopra, con nove incursioni, tonnellate di diversi tipi di bombe (detonanti, demolenti e a frammentazione). Sarebbe stata comunque rasa al suolo.
Le fotografie di Firenzuola, prima, durante e dopo il bombardamento, ci impongono un salto logico/emotivo rispetto agli uomini in divisa delle prime due sale dell’esposizione. La divisa ti fa individuare il nemico, da uccidere, ma che può comunque schivare la pallottola, che può essere salvato dal chirurgo, che conserva la sua umanità, e, anche dopo morto, il suo nome e cognome sulla piastrina e poi sulla tomba.
Il bombardamento cancella l’umanità, riduce uomini, donne e bambini ad obiettivo, appendice insignificante di “fabbricati normali, abitazioni, stabilimenti ecc.”. E se qualcuno dovesse sopravvivere, seppure ferito, ondate successive di bombardamenti, bombe incendiarie e venefiche impediranno ogni forma di soccorso.
I “bombardatori” diventano sovrumani. Loro sono in cielo e quello che è sotto di loro si presenta come un unicum indifferenziato dove case, uomini, organismi viventi, la terra stessa, sono obiettivi per le loro bombe “esplodenti, incendiarie, velenose”. E se i soldati del tuo stesso esercito che operano sul terreno tornano a casa a morire per l’effetto dell’uranio impoverito? Nulla importa: questo problema si può risolvere. “Nessuno stivale di soldato americano calpesterà la terra avvelenata dell’Iraq” oggi ci ha rassicurato Obama. E gli uomini, le donne , i bambini che vivono nelle regioni occupate dall’ISIS, che pure sono milioni? Per i “pianificatori del terrore, gli organizzatori dello scontro, gli imprenditori delle armi” non contano, che importa a noi di loro, siamo forse noi i guardiani di quei nostri fratelli?
In questo contesto anche la terza tappa dell’esposizione – la proiezione del film di Archivio Zeta realizzato per il Comune di Firenzuola – assume un significato nuovo: con negli occhi le divise di quanti hanno combattuto sulla Linea Gotica e le immagini di Firenzuola distrutta (alcune viste per la prima volta) le parole dei racconti dei testimoni diventano davvero pietre.
Infine la quarta sezione “area in allestimento”. Forse la più importante. In quelle stanze sarà realizzato il centro di documentazione, uno spazio per lo studio e la raccolta di testimonianze, per lavorare alla costruzione di una memoria condivisa, per lavorare in concreto per la pace.
Luciano Ardiccioni
(c) Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – Settembre 2014
Grazie Ardiccioni per il bell’articolo sulla esposizione. Questo è un progetto che porto avanti da tempo. Lo spazio che nascerà in futuro è un luogo dove l’uomo sarà sempre più protagonista non solo di ciò che accadde settant’anni fa, ma prima, dopo e attualmente. Perché attraverso la singola esperienza della guerra si possa davvero comprendere quanto è importante vivere nel rispetto e nella pace. Ti posso assicurare che ciò che sarà visibile, sarà un percorso attraverso le testimonianze materiali, visive, orali di ciò che la guerra ha prodotto: la paura, l’incertezza, il vuoto.