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Barberino. Il saluto di don Marco e la sua partenza per la missione in Brasile
BARBERINO DI MUGELLO – Don Marco Paglicci il 15 dicembre partirà per il Brasile. Non dirà più messe nell’Unità pastorale barberinese, ma giovedì 1° dicembre sarà alla chiesa di Cavallina, prima dell’ultima catechesi delle “10 Parole”. Per 2 anni è stato viceparroco a Barberino al fianco del pievano don Stefano. “Chiunque volesse mantenere i contatti con me, per avere aggiornamenti su cosa accadrà in missione – ha scritto nel gruppo Facebook dell’Unità pastorale di Barberino-Cavallina-Montecarelli-Cirignano – può spedirmi una mail all’indirizzo marcopaglicci@libero.it”. Per il Filo del Mugello don Marco ha inviato questo suo scritto, che con piacere pubblichiamo, augurandogli tanti auguri per un efficace e proficuo servizio in missione a Salvador Bahia.
Ciao a tutti. Mi chiamo Marco e sono un prete. Il 15 dicembre 2016 partirò per il Brasile come missionario “fidei donum”, che significa “dono della fede”. È una formula usata dal 1957 per indicare i preti, i diaconi e i laici diocesani che vengono inviati a realizzare un servizio in una diocesi sorella. Parto per Salvador Bahia in continuità con un impegno che la Chiesa fiorentina si è presa dal 1965 nella persona di don Renzo Rossi.
Sono felice di questa scelta perché risponde ad una chiamata ad essere felice nella missione, una vocazione che penso di aver sempre avuto. Forse per questo tra i 18 e i 20 anni iniziai a collaborare col Centro Missionario; forse per questo prima di entrare in seminario ho studiato Economia dello Sviluppo. Comunque sicuramente avevo in mente la missione quando il Signore mi ha chiamato ad essere prete. Piano, piano il discorso si è approfondito.
Alla fine del seminario non avevo escluso nessuna delle strade che mi si proponevano davanti e quindi ero disponibile anche a partire in missione. Tuttavia non avevo esplicitato in particolare questa disponibilità. Dopo averne parlato con le persone più vicine a me e sentendo gli interventi di papa Francesco su una “Chiesa in uscita”, che va “nelle periferie”, ho capito che tali parole erano rivolte anche a me. Cioè nel mio ministero specifico le espressioni del papa si traducevano in una piena adesione al progetto missionario del Signore, qualunque esso fosse. Per questo il 18 novembre 2013, circa tre anni fa diedi la mia disponibilità all’Arcivescovo, che rispose velocemente e con entusiasmo.
Da lì è cominciato un dialogo tra me e il Cardinale Giuseppe che ha portato alla comune decisione di mandarmi a sostituire uno dei due preti della nostra missione fiorentina.
Spero così di lasciare un po’ della mia ricchezza per amore di Gesù povero. Anche perché, quando decidi di vivere tutta la vita con una persona, ti accorgi dell’importanza delle tue scelte: l’amore o “è” oppure “non è”. Nella relazione tra me e il Signore nella gente voglio che “sia”. E allora è bene dare tutto.
Nel prepararmi alla missione mi sono convinto di due cose. Se vado in Brasile come missionario, non sarò missionario in modo maggiore rispetto ai miei confratelli preti che rimangono in Italia. Essere fidei donum è semplicemente un “segno” di una Chiesa che deve essere ed è missionaria in qualunque parte del mondo.
Partire come fidei donum oggi significa essere consapevoli che si fa parte di uno scambio tra due chiese diocesane sorelle. Perciò non si è più propriamente “missionari ad gentes”, perché non si va tra persone “pagane”, ma tra persone che sono in ricerca come me: solo nella misura in cui ti fai evangelizzare, diventi evangelizzatore. Gesù a Salvador Bahia, come a Barberino di Mugello, come a San Jacopino ci lavorava da molto prima che arrivassi io. Io voglio andare per mettermi prima di tutto in ascolto.
Con questo animo, contento e un po’ intimorito, mi preparo alla partenza. Finito un corso sulla missione a Verona, ho fatto il trasloco da Barberino (dove sono stato viceparroco più di due anni) e mi sono tuffato, in una full immersion, nel portoghese con l’aiuto di Aladia, una suora brasiliana presso Monte Senario.
Preparata la documentazione per il visto, fatti i vaccini e dopo aver insegnato ai miei genitori come si usa Skype, ora mi appresto a partire. Sono contento del cammino che ho percorso qua in Italia, anche con i miei fratelli del Mugello. Per questo sento anche il bisogno di ringraziare tutte le comunità che mi hanno accompagnato fino ad oggi e in particolare quella dei miei confratelli del seminario, quella di San Jacopino e quella dell’Unità Pastorale di Barberino, Cavallina e Montecarelli.
Là, nella missione di Salvador Bahia, mi attende un’altra parrocchia e un asilo a cui è legato il Progetto “Beija Flor”, iniziato da don Luca Niccheri (anch’egli mugellano) e seguito oggi anche da don Paolo Sbolci della nostra Diocesi di Firenze. Sono contento di andare collaborare con loro, anche se so che uno dei due verso giugno dovrebbe rientrare in Italia.
Negli ultimi mesi ho pensato a tante implicazioni di questa scelta: vi immaginate la quantità di domande che sono sorte in questi anni e che ancora fanno capolino. Ma, se dopo tanto discernimento, do la mia disponibilità a Gesù e la Chiesa mi manda in missione in Brasile, di quali garanzie ho bisogno ancora? Non è questo che avevamo chiesto a Cristo, dare la vita per Lui?
Certamente, come quando Pietro si propose di offrire la vita per Gesù, mi devo ricordare che sarà Lui a chiedermela come e quando vorrà… ma in fondo «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Don Marco Paglicci
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 29 novembre 2016
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