MUGELLO – Nel mese di novembre vedremo rosso, dunque. Rosso, tendente al nero, lo vedranno sicuramente quelli che si trovano a vivere nel mondo del commercio, imprenditori e dipendenti e non solo. La decisione, che puzza di politico, è arrivata nel modo peggiore rifilando un ceffone al Presidente della Giunta che nella giornata di Venerdì aveva messo a punto un’Ordinanza per regolare una serie di questioni rimaste aperte, dalla formazione in laboratorio in presenza alla raccolta delle olive ad altro. Nel confronto con il Governo, nel senso più esteso del termine, nessuno si è premurato di informare l’interlocutore su ciò che bolliva in pentola. Come è facilmente comprensibile, non c’entra nulla l’aspetto sanitario, quello che ha indotto il ministro Speranza a firmare la chiusura della Toscana porta la data di qualche settimana prima, e poteva ben essere discusso con il capo dell’amministrazione regionale. Il dialogo di Speranza zoppica, a regola, come abbiamo visto con la nomina dei commissari in Calabria.
La notizia ha lasciato sorpresa e irritazione perché accompagnata dal solito sistema delle veline passate ai giornali, ben prima della decisione, e perché conferma la politica dell’improvvisazione, che in una settimana cambia per tre volte colore – mentre si dice che occorrano 15 giorni per valutare gli effetti delle decisioni assunte – continuando nell’andamento a zig zag senza dare certezze e tantomeno la sensazione che qualcuno abbia una prospettiva chiara di direzione e di avere in mano saldamente la gestione delle scelte. Evidenziando che tutta quella autonomia devoluta ai Sindaci e ai Presidente di Regione sbandierata dagli esponenti del governo, era solo fuffa.
Già con l’arancione tante imprese erano state messe nelle condizioni di non poter pensare a domani, se sarebbero stati aperti, se dovevano fare approvvigionamento, come regolarsi con il personale, insomma, che fare. E già nello stesso colore si era realizzata una concorrenza sleale tra comparti tra chi poteva stare aperto (la grande e media distribuzione non alimentare, tipo Ikea, Outlet, Scarpamondo eccetera) e chi chiuso (i piccoli negozi delle gallerie, tipo le calzature presenti alla coop di Borgo San Lorenzo). Con la concorrenza sleale del commercio online che non solo non chiude, ma incrementa i fatturati e non paga le tasse. Facile fare gli sconti…
Ora le pesanti mancanze di scelte non fatte e di mesi trascorsi invano in molti campi (dalle app alla scuola, dai trasporti ai tracciamenti al rafforzamento della sanità) si riverberano su un cospicuo numero di imprese in Toscana, 60/70mila e su centomila dipendenti, chiusi per decreto con scelte incomprensibili e creando tensioni tra le stesse categorie. Che dire delle estetiste o della cura degli animali chiusi? Creano assembramento? Che dire dell’esclusione dai “ristori” (già aver utilizzato questo termine dimostra un discreto funebre sarcasmo) dei negozi di calzature da adulti oppure dei
grossisti o dei rappresentanti di generi chiusi?
Naturalmente è ripartita la sarabanda di chi era meglio farlo prima, di chi doveva chiudere tutto, che invece era meglio per zone eccetera, alimentata molto spesso da chi è estraneo al mondo dell’impresa e pensa a chissà quali ricchezze messe via in passato. Nonostante le migliaia e migliaia di botteghe chiuse, come dimostrano anche i centri storici dei nostri paesi del Mugello deserti per gran parte della settimana, che dovrebbero sfatare e invece siamo ancora a immaginarsi la rendita.
Certo che la chiusura per regioni è mettere lo stesso vestito della solita taglia a tutti indistintamente,. Già da giorni sindaci di diversi comuni dell’empolese chiedevano la chiusura totale, quello di Prato aveva lanciato l’allarme, era noto che le provincie di Grosseto e Siena contribuivano ad abbassare gli indici regionali, critici nell’area metropolitana. Quest’ultime oggi pagano dazio per situazioni situate altrove.
Il Presidente Giani cocciutamente sta difendendo la scelte e la linea seguita e lunedì 16 novembre ha pubblicato una tabella ufficiale dove la Toscana sarebbe la dodicesima per indici di contagio, assai inferiore a diverse regioni arancioni e rosse, avendoli già diminuiti di oltre tre punti rispetto ai dati vecchi che sono stati usati dal ministero della Sanità, in un contesto dove si fanno quasi ventimila tamponi al giorno a fronte dei quattromila di aprile. Così come i centocinquanta posti di terapia intensiva recuperati in breve tempo, i 500 di un reparto Covid a Prato e ad altri cinquecento in via di reperimento. Tanto, poco, sufficiente, non so, non sono un esperto, tantomeno un virologo specializzato all’Università della strada e mi attengo ai dati forniti.
Esiste però una questione politica, anzi due, forti: la coerenza, la trasparenza e l’univocità nella lettura dei dati, e la modifica dei DPCM per avere la stessa modalità per entrare e uscire dalle zone rosse o arancioni in presenza di miglioramento dei dati.
Per il resto non rimane che attaccarsi ai ristori per cercare di far sopravvivere imprese già provate, che arrivino le risorse ai dipendenti, FIS o Cassa che sia, che venga fatto una manovra su affitti, tasse e tariffe con la logica dello zero incassi zero spese, con decisioni rapide, burocrazia azzerata
(e invece è stata aumentata, cercando nuovamente di mettere in capo all’imprenditore responsabilità di carattere sanitario, ma sarebbe lungo e non utile ai nostri fini), con i controlli che devono garantire i assicurare comportamenti adeguati da tutti, per aiutare la Regione a migliorare i numeri e uscire tutti insieme da questa crisi nella crisi.
Massimo Biagioni, Direttore Confesercenti Toscana
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 novembre 2020