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Il messaggio di condivisione di Khadra Omar Osman
Khadra Omar Osman
BORGO SAN LORENZO – Ieri sera, giovedì 23 giugno, si è svolta una cena in occasione del Ramadan, periodo culturale e religioso molto importante per la comunità islamica. Ieri sera, dunque hanno scelto di condividere questo momento insieme ad i sindaci di Borgo, Scaperia e San Piero e Dicomano, alcune autorità locali, civili ed ai giornalisti; il tutto alla presenza Izzeddin Elzir presidente di Firenze e nazionale dell’Unione delle Comunità Islamiche in Italia. Il messaggio di benvenuto, a sottolineare la forte volontà di integrazione e di “voglia di conoscersi l’un l’altro” cercando di distinguersi dai luoghi comuni, è stato affidato alla giovane Khadra Omar Osman. Di seguito pubblichiamo le sue parole:
Grazie, perché venendo qui oggi avete contribuito a diffondere con un piccolo gesto un grande ed importante messaggio.
Avete deciso di condividere con noi un momento importante, quello in cui ogni musulmano viene ripagato dello sforzo compiuto durante la giornata.
Oggi, come tutti i giorni del Ramadan, che è uno dei pilastri dell’Islam, ogni musulmano, nei limiti dell’età e delle condizioni di salute, decide di cogliere la sfida di provare sulla propria pelle il morso della fame. In questo mese impariamo ad eliminare il superfluo e conoscere da vicino cosa significhi la fame, ad immedesimarsi in chi non ha niente e quella fame la sente ogni giorno.
Il mese di Ramadan ci porta benefici fisici, mentali e spirituali impareggiabili, ci spinge ad uscire dal nostro stato di benessere e grazie a Dio non potremmo mai comprendere fino in fondo cosa significa davvero la fame.
Vedete, io credo che sia proprio questa la chiave per sconfiggere i mali dell’umanità: imparare ad immedesimarsi nell’altro.
Come musulmana di seconda generazione io sono un ibrido, il risultato di un esperimento sociale, dell’unione di due culture. Ho visto due mondi apparentemente diversi. Anzi, dico sempre, che sono la prova vivente, per il semplice fatto che esisto che queste due culture possono convivere.
Più o meno, ogni ragazzo di seconda generazione, nel corso della propria esistenza arriva ad apprendere inevitabilmente una lezione unica. Cioè che non esistono culture superiori o inferiori. Ogni cultura ha i suoi lati positivi e negativi perché è sempre e comunque figlia di esseri imperfetti come gli esseri umani.
Sono nata in Italia, sono cresciuta qui, e nei banchi di scuola mi hanno insegnato a riconoscere quando la peggior parte della storia rischia di ripetersi, e io stasera mi sento davvero in dovere di parlarne.
Oggi giorno alcuni politici, alcune autorità e soprattutto alcuni giornali dipingono un quadro allarmante della società, parlano addirittura di invasione. Basta guardarsi intorno in giornate come queste per capire che stanno raccontando una filastrocca. Il rischio, è che a forza di raccontarsela si finisca per crederci davvero. Dal mio punto di vista in realtà la società di oggi sta vivendo una possibilità. Quella di essere attivi in un processo inevitabile, accogliendo e soprattutto imparando l’arte dell’accoglienza, che spesso viene dimenticata.
Gli italiani d’America hanno fatto delle loro cultura, uno dei punti di forza di un altro paese, e ciò non sarebbe stato possibile senza un’ accoglienza. Sono anche la dimostrazione che i popoli migrano da secoli. Spesso, in questa filastrocca di cui parlavo, ho sentito degli strani accostamenti. Ho sentito definire tutti gli immigrati musulmani e tutti i musulmani terroristi.
Io così come molte persone qui presenti, siamo stati dipinti dall’onda populista tipica delle emergenze umanitarie, come i terroristi della porta accanto. Io al massimo conoscevo il termine ragazza della porta accanto e quello al massimo potrei essere. L’emergenza umanitaria usata in ogni comizio politico, o in un modo o in un altro, riguarda persone come noi, che spesso non possono neanche essere ascoltate perché sono state inghiottite dal mare.
In merito al terrorismo oggi ci tengo a sottolineare che chiunque abbia compiuto un assassinio in nome della mia fede, non può e non deve considerarsi musulmano. Perché è la stessa fede che dice che salvando una sola vita si salva l’intera umanità. Questo mi insegna l’Islam e io in questo credo.
Sapete quando ero piccola, ho scoperto il termine diversità quando ogni tanto alcuni bambini mi additavano e mi appellavano con certi nomi non proprio simpatici. Forse questo indica un percorso molto simile con alcuni dei presenti.
Fino ad allora non conoscevo neanche cosa volesse dire essere diversa. Con il tempo sono tornata a dimenticare questo mio stato, ma come donna, di colore e musulmana, conosco bene i pregiudizi.
Ho riprovato qualche tempo fa la stessa sensazione quando ho deciso di indossare il velo. Indumento che per molti è simbolo di sottomissione e per me è sinonimo di forza e libertà.
Si può dire che non mi nascondo ora con il velo, forse lo facevo prima non mettendolo. Si può dire anche che ho scelto di applicare la costituzione italiana esercitando il mio sacrosanto diritto a vestirmi come mi pare, in rispetto di ciò che sono e ciò in cui credo.
Il velo per me è un punto di forza, perché mi permette di riconoscere gli sguardi. Gli stessi che mi meravigliavano da bambina ma che ora riconosco bene. Attraverso lo sguardo ho imparato a riconoscere la differenza tra chi mi vede e chi finge di non vedermi, perché disprezzante o infastidito dal mio aspetto ancora prima di conoscermi. Credetemi se dico che gli sguardi possono essere ignoranti.
Voglio concludere dicendo che i miei genitori migrando mi hanno donato un invito. Quello di conoscere l’altro, invito che oggi vorrei passarvi.
Ricordandovi di usare il vostro sguardo per vedere davvero.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 giugno 2016
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