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La guerra non ha mai portato niente di buono. E attenzione all’orgoglio russo
Ho cominciato ad andare in Russia circa 20 anni fa. Sono andata a Mosca la prima volta all’hotel Ukraina (appunto!) che allora era un vecchio edificio enorme, di stile sovietico, con prezzi per noi accettabili. Poi è stato ristrutturato e trasformato in albergo di lusso per turisti.
Già da quel mio primo viaggio, riportai di Mosca un’impressione estraniante. La Novyi Arbat, una delle enormi vie di scorrimento, era punteggiata di altoparlanti che emettevano musica assordante a tutte le ore, ed era affollata di ristoranti, pubblicità luminose di beni di consumo di ogni tipo. Si vedeva già il recente assalto al consumismo di massa.
Sono poi tornata ogni anno, anche per soggiorni di studio, all’inizio a San Pietroburgo, città da sindrome di Stendhal, poi di nuovo a Mosca, dove ho continuato i miei corsi di lingua.
Intanto, progredendo nella lingua, ero in grado di scambiare qualche parola, con gli insegnanti dei corsi, con i compagni, con le nonne ai giardinetti (in Russia i bambini vengono allevati dalle nonne, i genitori lavorano), e quindi di capire un po’ di più la loro mentalità, le loro abitudini…
Mi è capitato di trovarmi a Mosca il Giorno della Vittoria (Dien’ Pobiedy), il 9 maggio e di capire tante cose. Questa è una delle feste più importanti dell’anno: non si bada a spese. La città viene ricoperta interamente di festoni di fiori primaverili, sono giornate di vacanza, per le strade c’è folla festante. E, insieme, si dà spazio al ricordo: foto della Grande Guerra Patriottica (così i Russi chiamano la Seconda Guerra Mondiale), in cui c’è un dispiegamento di foto, di ricordi, un’esaltazione solenne degli eroici soldati russi, che hanno liberato l’Europa dal cancro nazifascista. Grandi poster con ritratti di giovani russi in divisa sorridenti, vittoriosi, che sventolano orgogliosi la bandiera sovietica.
Per me, abituata a considerare “liberatori” gli eserciti alleati, a vedere innumerevoli film e materiale iconografico con i carrarmati americani circondati da ragazze festanti, tutto questo fu oggetto di riflessione. “E’ vero – pensai – i russi hanno liberato l’Europa da est, lasciando sul terreno milioni di morti, fra battaglie e rappresaglie. Hanno aperto i campi di concentramento: Primo Levi racconta con animo commosso l’apparizione di due soldati sovietici a cavallo, e poi la presa in carico dei prigionieri liberati da parte dei russi.”
Tutto questo pensavo nel “Dien’ Pobiedy”, dove degli eserciti alleati non si faceva menzione, e girava invece un’enorme esaltazione dell’eroe sovietico.
Questa premessa per presentare, con le mie povere parole, il grande sentimento di orgoglio patrio, il senso di appartenenza a una grande nazione, che, nel momento del bisogno sa far vedere al modo di cosa è capace, che è la migliore di tutti, anche a costo di grandi sacrifici.
Guardando ora sugli schermi lo spiegamento di forze per “riconquistare” quella povera Ukraina, mi viene in mente questo diffuso orgoglio russo, che può essere anche un sentimento positivo, che ti dà la forza di resistere nelle difficoltà. Ma che, nelle mani di uno squilibrato, può diventare un’arma micidiale e spietata. Facendo leva sulla grande anima russa, il Presidente Putin ha pronunciato in modo distorto un “NOI!” che ha gonfiato d’orgoglio patriottico gli animi di chi lo sostiene. Sotto questo sentimento, si possono nascondere le mire più bieche, gli interessi personali peggiori. NOI! E nessuna considerazione per gli altri.
I miliardi spesi in armamenti tengono in condizioni pietose tanta parte del popolo russo: le vedove di guerra, che ho visto accalcarsi all’Ufficio Postale, in attesa di ricevere la loro misera pensione, che non serve loro neanche per sfamarsi, o le donnine delle periferie, che passano le loro giornate alla fermata della metro, a vendere le loro povere merci: calzettoni di lana scalzettati da loro, o vasetti di cetriolini in salamoia. Così, tanto per comprarsi qualcosa da mangiare. Con uno solo di quegli aerei seminatori di morte, si potrebbero sfamare e curare migliaia di quelle ”Babushki”, di quelle nonnine che sono lì a patire il freddo.
La guerra non ha mai portato niente di buono. Gino Strada, che di guerra se ne intendeva, quando lo accusavano di curare anche il nemico, diceva che i feriti son tutti uguali, che il sangue è sempre rosso. C’è un unico rimedio contro la guerra: non farla!
Renata Innocenti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 27 Febbraio 2022
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