Outlet, la realtà. Fra congiuntura e condizioni di lavoro
BARBERINO DI MUGELLO – Outlet di Barberino di Mugello, prosegue il dibattito aperto dopo la pubblicazione di un post che ne ricordava l’anniversario per il decimo anno dall’inaugurazione (articolo qui). Qualche giorno fa, con un primo commento, erano stati riconosciuti i meriti della politica per averne condivisa e perseguita l’iniziativa (articolo qui). Adesso è il momento di parlare del contesto lavorativo e commerciale, fra opportunità e crisi congiunturale.
Sono tre i filoni delle critiche rivolte all’Outlet. Il primo è quello del misconoscimento sulle ricadute, economiche e turistiche, per il territorio. I detrattori, molti o pochi che possano essere, affermano che non ce ne siano state. Il fatto che attorno a questo polo commerciale siano nati, negli anni, almeno tre nuovi ristoranti ed altrettanto un paio di negozi, non è considerato un indizio tangibile. Così come non è ritenuta prova certa l’ineluttabile incremento delle presenze, almeno in giornate particolari, in tutti gli altri esercizi di ristorazione prossimi all’Outlet stesso. Sicché, in questo caso, miopia e non un’oggettiva constatazione. Inoltre, piaccia o non piaccia, è innegabile quanto la pubblicità e la promozione legata al marketing abbia, quantomeno, rinfrescata e riproposta l’immagine del Mugello oltre i limiti geografici di questo nostro territorio.
Il secondo tema di osservazioni trae spunto dalla difficile congiuntura, per la consequenziale chiusura di alcune attività commerciali nei centri urbani locali. Tuttavia la dinamica di voler correlare l’apertura dell’Outlet a quelle chiusure è tutta da dimostrare. Ammesso che lo si possa fare in modo rigoroso, poiché di matematico è di razionale c’è ben poco. L’Outlet ha radunate al suo interno, con 120 punti vendita, le merceologie legate, sostanzialmente, all’abbigliamento (classico e sportivo). Poi calzature e pelletteria, con sporadiche presenze di profumeria e cosmetici, casalinghi ed a livello embrionale ottica ed oreficeria. Inoltre, sei spazi per la ristorazione. Insomma, e non disponendo di adeguata documentazione, non è chiaro se le chiusure dei negozi, verificatesi nei centri urbani, siano tutte riconducibili alla tipologia delle nuove aperture all’Outlet. Sarà, ma io ho in mente la sparizione di tanti negozi di generi alimentari, frutta e verdura, macellerie, qualche forno. Proseguo con i laboratori artigiani di falegnami, elettricisti, idraulici e fabbri che riempivano vari fondi e spazi nei centri storici. E, francamente, faccio fatica ad imputare il collasso di queste attività alla presenza dell’Outlet. Anzi, senza forse, e con una certezza, specie per le tipologie alimentari, la presunta colpevolezza andrebbe rivolta verso le grandi catene di distribuzione, cooperative e non, “superstore” o “iperstore”. Queste, molto più dell’Outlet, hanno svuotati i centri urbani e depauperato il tessuto sociale dei residenti. Magari anche a ragione, proprio in funzione del risparmio. E chi non cede a quelle siffatte promozioni? Quindi, non essendo uno scienziato della materia, mi resta il dubbio. Soprattutto laddove registro, in questi difficili dieci anni, se non un aumento almeno il mantenimento di certi esercizi quali bar (pasticcerie, gelaterie), ristoranti (pizzerie), alberghi e bed & breakfast. Un male o un bene, un vantaggio o era meglio il niente?
Infine il terzo punto, il problema più spinoso, le condizioni di lavoro. Quasi mille dipendenti, con il 75 % di contratti a tempo indeterminato e 25 % determinato. In particolare il 78 % sono donne e il 70 % proviene dall’area del Mugello. Oltre tremilioni di visitatori (fonte Outlet 2013). Però, il numero effettivo degli occupati, dipendenti assunti a tempo indeterminato, o in altra forma, ed il contenuto dei contratti, loro applicati, non sono noti. Dubito che siano patti parasociali non concordati con i sindacati. Senza dubbio stilati con condizioni stringenti, legate ai profitti ed alla produttività, nonché al lavoro nei giorni festivi. Niente di nuovo. Niente di diverso rispetto ad altri settori merceologici. Giustappunto, non un problema esclusivo dell’Outlet. Vale anche per tutte le altre categorie che impegnano il personale con ritmi e orari dettati dalla domanda, dalla massiccia frequentazione nei momenti di tempo libero dei propri clienti, appunto nei giorni festivi e pre-festivi. Una cultura internazionale cui l’Outlet si adeguato, o ne ha subìto il dettame, senza aver inventato alcunché.
Gianni Frilli
©Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 17 marzo 2016
Buona sera. Avevo già fatto un intervento sull’articolo per i dieci anni. Questo articolo non fa che confermare le critiche che avevo mosso. Di sicuro l’outlet non è la causa di tutti i mali. Ognuno guarda il proprio orticello, io vedo il mio. Il mio è il paese dove abito e il Mugello in generale. Qui si parla di tre milioni di visitatori annui. Fatevi una domanda: di questi tre milioni, tolti quelli che abitano nel Mugello, quanti dopo aver visitato l’outlet entrano in barberino paese o si spingono oltre? (a san Piero o a scarperia che sono i più vicini per esempio). La miopia sta qui. Tre ristoranti aperti a poche centinaia di metri dall’outlet sono importanti, si. Uno di questi è il MC Donald. E fa la pariglia col punto tre per quel che riguarda le condizioni di lavoro. Per i punti uno e due, in parte vale quanto sopra. Nella mia nota precedente, una critica che mi era stata data era oltre a pensate al mio orticello e di non intromettermi in cose non mie era che sono un fenomeno. Mi spiace, io ho detto la mia opinione. Penso che la desertificazione dei paesi non riguardi solo i negozianti che chiudono, ma tutti quelli che ci vivono. A proposito dei fenomeni, per me fenomeni ( nel lato positivo del termine) sono quei negozianti che si ostinano a resistere. Fatevi un giro nei paesi e provate a parlarci, per capire quanti sono quelli che hanno già chiuso, quanti stanno per chiudere. Io ne conosco troppi. Non solo i fruttivendoli. Per me quando un negozio chiude è uno schiaffo, di qualunque genere sia.
In fine, vorrei ricordate che il lavoro, oltre ad essere un dovere e una necessità, è un diritto e ha avuto dei diritti per i quali hanno lottato milioni di persone. Se questi diritti sono stati calpestati e aggirati, e si è permesso questo soprattutto alle grandi distribuzioni, la colpa è di tutti. Uno che si ritiene un filosofo, molti anni fa, disse che una volta ottenuti i diritti, inizia la lotta più dura, la lotta per difenderli. Siccome ci faceva fatica lottare, o meglio, in Italia è buon costume guardare ai privilegi degli altri prima di difendere i propri diritti e pensare solo al proprio orticello finché c’è acqua, quando si sono persi ormai tutti i diritti che i nostri genitori e nonni avevano lottato per avere, è bene non lamentarsi di nulla, sennò si diventa fenomeni. Mi dispiace aver dato il mio parere, ma per me l’outlet non ha portato nessun beneficio al territorio.