Quando la Pieve aveva un busto di San Lorenzo opera di Donatello…
La notizia è di quelle destinate a fare scalpore, specialmente tra gli amanti dell’arte, e questo per due buoni motivi: il primo riguarda l’attribuzione di un’opera a Donatello, il grande scultore fiorentino della prima metà del Quattrocento (Firenze, 1386-1466), protagonista della rinascita dell’arte e della cultura che è nota come Rinascimento, assieme ai due altri grandi geni, Brunelleschi e Masaccio. Si tratta quindi di una importante riscoperta che arricchisce il catalogo di uno dei più grandi scultori di sempre, un vero “gigante” della storia dell’arte.

Il luogo dove era collocato il San Lorenzo di Donatello (foto della Pieve, prima del terremoto del 1919)
Il secondo motivo, che certamente coinvolge più direttamente il Mugello e Borgo in particolare, è che questa opera con tutta probabilità proviene dalla pieve borghigiana di San Lorenzo. Si tratta di un busto in terracotta raffigurante San Lorenzo, appartenente a collezione privata, ma in passato conservata anche nella collezione dei principi Liechtenstein a Vienna, opera che lo storico dell’arte Francesco Caglioti aveva riscoperto e studiato in maniera estremamente approfondita ed accurata, giungendo ad attribuirlo, appunto, a Donatello, intorno al 1440. Il frutto del lavoro dello studioso, una vera e propria monografia, è apparso nel 2014 sulla rivista specialistica “Prospettiva” (F. Caglioti, Donatello misconosciuto: il “San Lorenzo” per la Pieve di Borgo San Lorenzo, in “Prospettiva”, nn. 155-156, 2014, pp. 2-99).
La notizia, evidentemente rimasta in questi due anni circoscritta entro i confini dell’ambiente degli studiosi, ha conosciuto una più vasta eco, anche mediatica, in queste settimane, in occasione della esposizione dell’opera a Padova, presso il Palazzo della Ragione, curata da Vittorio Sgarbi, dove sarà visibile fino al 25 settembre p.v. La scelta di Padova appare giustificata anche dal fatto che, come noto, in quella città Donatello ha soggiornato e lavorato a lungo (1443-1453), lasciandovi opere di straordinaria qualità (l’altare del Santo, il monumento equestre al Gattamelata), una fiorente scuola di seguaci e, più in generale, un’impronta artistica indelebile, capace di segnare i destini dell’arte del nord Italia nella seconda metà del Quattrocento.
Tuttavia, pare di capire, è in previsione anche una presentazione del busto a Firenze, presso il rinnovato Museo dell’Opera del Duomo, dove potrebbe tornare a dialogare con una raccolta unica al mondo di capolavori donatelliani e non solo.
Il busto di San Lorenzo, dunque, è una splendida terracotta che raffigura il santo levita, in eleganti fattezze giovanili, rivestito della dalmatica diaconale, mentre nella mano destra tiene la palma del martirio e in quella sinistra il libro sacro (il Vangelo). L’iconografia è certamente quella tradizionale, l’impiego del busto rimanda ad altre opere donatelliane, certe o discusse (il busto reliquiario di San Rossore a Pisa, quello di San Leonardo in San Lorenzo a Firenze, ora attribuito a Desiderio da Settignano, il Niccolò da Uzzano del Bargello) e costituisce una sorta di recupero della tradizione medievale dei busti reliquiari destinata a costituire per l’artista una grande e potente riflessione e reinterpretazione moderna sul tema, tutto rinascimentale, del busto-ritratto, capace di penetrare e rappresentare l’individualità e la personalità del soggetto. In questo caso, certamente, il potente ed espressivo linguaggio plastico del San Lorenzo, la sua capacità di esprimere una spiritualità sicura e determinata, il realismo concreto e terreno del divino incarnato, non possono non far pensare effettivamente all’intervento diretto del grande maestro fiorentino, intorno al 1440 (alla vigilia della sua partenza per Padova).
Tra i numerosi confronti proposti dal Caglioti fra il busto di San Lorenzo e altre opere di Donatello, appare particolarmente convincente quello con lo splendido volto del San Ludovico di Tolosa, in bronzo, destinato alla chiesa di Orsammichele e conservato presso il Museo dell’Opera di Santa Croce. La dolcezza levigata, la severa, giovanile freschezza del volto, esprimono una fede certa ed incrollabile, testimoniata iconograficamente dalla dalmatica diaconale (il diaconato è, non si dimentichi, il primo degli ordini sacri), simbolo della consacrazione del giovane a Dio, la palma del martirio, simbolo della sua testimonianza “usque ad effusionem sanguinis”, in nome della fede espressa peer mezzo della parola di Dio (il Vangelo).
Veniamo alla seconda, clamorosa, notizia. Secondo l’accuratissimo e ben documentato studio di Francesco Caglioti -che sarà a Borgo San Lorenzo il prossimo 2 luglio alle ore 21 in Pieve, in una conferenza dove illustrerà le sue tesi-, il busto donatelliano proviene, per l’appunto, dalla pieve di san Lorenzo a Borgo, dove, fino al 1888, si trovava collocato nella lunetta sopra il portale centrale della facciata. In quella collocazione, certamente disponibile alla vista di tutti, ma non facilmente apprezzabile per l’altezza, fu con tutta probabilità notato (per mezzo di un suo emissario) dal noto antiquario e collezionista fiorentino Stefano Bardini, il quale se ne sarebbe impadronito e lo avrebbe sostituito in loco con una copia moderna, che è poi quella che ancora oggi campeggia al centro della facciata della chiesa. Bardini, evidentemente, in seguito, immise l’opera nel mercato antiquario internazionale. Come sa chiunque frequenti la pieve borghigiana, un terzo esemplare del busto laurenziano si trova all’interno della chiesa, posto sopra il terzo altare della navata destra: si tratta, secondo il Caglioti, di una copia realizzata da un artigiano locale forse nel XVII-XVIII secolo, ad uso della pieve stessa che, nel frattempo, era stata assegnata al limitrofo monastero domenicano di Santa Caterina.
Di grande suggestione, peraltro non priva di una sua effettiva plausibiltà, è l’ipotesi dello stesso studioso, secondo la quale il busto sarebbe stato commissionato a Donatello dal pievano prete Jacopo di Giovanni Ugolini, che resse la pieve di Borgo dal 1432 al 1447 (un lasso di tempo peraltro perfettamente coincidente con la cronologia proposta per il San Lorenzo donatelliano), e il cui stemma si vede ancora oggi sull’architrave della piccola porta che si apre sulla destra dell’abside semicircolare della chiesa. Del resto, che il pievano Ugolini abbia contribuito ad arricchire la pieve è dimostrato dal fatto di averla dotata di una nuova sacrestia, purtroppo perduta nei lavori di ristrutturazione della pieve occorsi negli anni trenta del Novecento.
Accertare la provenienza originale di un’opera d’arte, che nel caso specifico può legittimamente costituire per i borghigiani un ulteriore motivo di orgoglio, è, oltre e ben più di un mero affare di “campanile”, sempre un fondamentale elemento per lo studio di un’opera d’arte, non fosse altro che per il fatto che aiuta ad una migliore comprensione dell’opera stessa e del contesto che l’ha determinata.
Nel caso del San Lorenzo borghigiano, si tratta certamente di una scoperta che contribuisce in misura veramente notevole a ricostruire i caratteri e la storia del ricchissimo patrimonio di arte storia e fede della pieve e della comunità borghigiane. Se il progetto di presentare il busto a Firenze dovesse concretizzarsi, sarebbe auspicabile anche che, sia pure temporaneamente, il San Lorenzo potesse tornare nella chiesa in cui è stato conservato per vari secoli e da cui è iniziato, più di cento anni fa, il suo lungo viaggio che l’ha portato fino a Padova e comunque alla riscoperta odierna.
Marco Pinelli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 26 giugno 2016