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RIFLESSIONI SUL VANGELO DELLA DOMENICA – Mettere Lui al centro della propria vita
VICCHIO – I sacerdoti e i diaconi del Vicariato del Mugello, a turno, propongono una riflessione tratta dalle letture della Messa domenicale. Oggi è la volta di Luca Gentili, Diacono di Vicchio.
Riflessione su Luca 14, 25-33. Tra il brano di domenica scorsa e il presente c’è un’altra parabola che Gesù racconta a un invitato al banchetto del fariseo (Lc 14,15-24) che lascia intendere che alla cena del regno di Dio parteciperanno coloro che non si saranno trattenuti nei propri affari, coloro che avranno riconosciuto di essere nel bisogno e non avranno rinunciato all’invito.
Dall’uditorio di una mensa la platea si fa più grande in questa pericope in cui la folla seguiva Gesù: una folla numerosa!
A quale banchetto pensavano di andare?
1 – Una folla numerosa. Quanta gente… Quante saranno state le cose di cui parlavano? Di quante preoccupazioni avranno discusso fra loro? Quante vicende, quanta curiosità e quante speranze? Quanto importante per loro la scelta di essere discepoli di quel maestro? Quante aspettative avranno avuto? Quali le nostre? Le nostre opinioni, preoccupazioni, speranze, scelte, aspettative, quali sono?
I fatti che accadono nella nostra vita sono quasi sempre compresi, messi in ordine d’importanza, valutati, ripensati in base a ciò che siamo o crediamo di essere o a ciò che ci definisce come persone: a quello che abbiamo vissuto e creduto prima, alla prassi della nostra vita; in base ai nostri affetti, alle relazioni che abbiamo intessuto, alle “cose importanti” che alimentano la nostra identità, che formano il nostro “io”.
Ciò che ci capita è giudicato in base alla nostra storia e alle nostre scelte.
Questo stava accadendo anche quel giorno a chi seguiva Gesù.
Forse era giunto il momento di fare loro chiarezza allora, come adesso a noi.
Il Cristo si rivolge a tutti quelli che in ogni epoca, in un modo o nell’altro hanno cominciato a seguirlo:
“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.”
2 – Se non mi ama di più di tutti, più di tutto, anche della propria vita…
Se la mia relazione con Gesù, non è in cima alla lista dei miei affetti, alle relazioni che ho intessuto, alle “cose importanti” che costituiscono la mia identità, non posso essere suo essere suo discepolo.
Se non riconosco che Gesù è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, non posso seguirlo, perché Dio ha fra le sue caratteristiche quella di essere l’unico Dio e di odiare gli idoli, cioè tutte quelle cose che prendono il suo posto e che mi faccio per costruirmi un dio che assomigli al mio “io”. E gli idoli sono fatti di tutte quelle mie (e nostre) “cose importanti” che nella carne o nelle idee confermano la mia identità, la mia prassi, il mio giudizio, la mia vita.
Un idolatra è uno che raccomanda la propria vita a lei stessa, che costruisce la sua vita in base al riflesso che vede di sé in uno specchio ideale e affettivo. Posso esserlo anch’io se costruisco la mia vita in base a quegli affetti e quelle cose che non fanno che confermare che sono amato, bravo, bello, che sono uno che merita, che magari quel figlio sul quale ho investito tutte le mie speranze mi farà fiero di lui, che sto in un gruppo di giusti che fanno la cosa giusta.
Se Gesù è un’opzione fra le altre, se in fondo penso che alimenti le mie aspettative, se penso che sia la forza alla quale raccomandare le mie “cose importanti”, alla fine lo abbandonerò.
3 – “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.”
Ci sono una sofferenza e una umiliazione di fondo che si vivono nella sequela e che possono essere tradotte nell’immagine della croce. La rinuncia a mettere al centro la nostra vita e gli affetti e le relazioni che confermano quella centralità.
Quale umiliazione rinunciare ad essere il centro della nostra vita! Eppure è quello che ha fatto Dio, quando s’è incarnato e ha accettato di essere crocifisso per la nostra salvezza, perché noi potessimo vivere completamente la felicità in comunione con lui! Ha redento le nostre vite, e ha fatto nuove tutte le cose, anche le “cose importanti”.
Non devo (e non posso) cancellare la mia vita e i miei affetti, la mia storia, ma posso inchiodarli al legno di quella croce e prenderla sulle spalle e seguire Gesù. Per grazia sono stato salvato, per grazia posso prendere tutto ciò che mi rende una persona e sottometterlo a lui, deporre la mia croce, piena di tutto ciò che c’è di più vero di me, ai piedi della sua croce. Perché lui è prima di me, prima dei miei affetti, prima della mia storia, prima del futuro che avevo immaginato. Gesù è primo.
Mi torna alla mente che “Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono” (Col 1,17). Com’è vero, in senso temporale, in senso esistenziale e anche in senso morale!
4 – Fare i conti
Voglio fare bene attenzione, allora, quando intendo costruire la mia esistenza (la torre) se ne ho i mezzi. Su quale terreno? Ho investito le mie risorse altrove, prima? Ho messo in ordine le priorità? Non voglio cadere nel ridicolo di chi parla di valori del Vangelo e poi scoprire che quei valori sono lo specchio delle mie proprie ideologie, dei miei idoli. Voglio esaminare accuratamente se sono pronto a fare fronte alle contraddizioni della mia vita (il re avversario). Posso sostenere che Dio mi salva quando ho paura che tutto sia senza speranza? Posso mantenere le mie forti convinzioni quando esse sono contro la giustizia di Dio? O più semplicemente, credo nel valore della vita dei poveri ma non in quella dei bambini non ancora nati (e viceversa)? La mia morale ideale può reggere l’urto della realtà?
Posso accogliere come un fratello lo schiavo che ha rubato del mio e ora si ripresenta da me?
E’ questo infatti che San Paolo chiede di fare a Filèmone nella seconda lettura di oggi: non come un comando ma come esortazione di chi è diventato riferimento della sua vita: il dannoso Onesimo (che in greco vuol dire “utile”) può tornare come fratello? Perché? Perché la sua vita, come quella di Filèmone è ora dentro a una relazione più grande di lui.
Non per me, ma per la grazia del Cristo, sono dentro una relazione di conoscenza di Dio, così come prefigura la prima lettura.
Solo in questa dimensione può vivere il mio discepolato, solo se faccio redimere tutto dal Salvatore, solo se per grazia la mia vita racconta “infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso”. Questa è l’unica sapienza del discepolo, quella con cui fare i conti.
Se vogliamo seguire Gesù, tutto, le “cose importanti”, gli affetti più cari, la nostra vita stessa devono sussistere, stare dentro, dipendere da questo rapporto, nulla fuori.
Il resto sta a zero. Come sale insipido (cfr. Lc 14, 34-35).
Diacono Luca Gentili – Unità Pastorale di Vicchio
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 Settembre 2022
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