SS. Annunziata. Il direttore della casa di riposo risponde alla lista “Bene Comune”
FIRENZUOLA – E’ un intervento di rilievo, quello che qui pubblichiamo. Un intervento di rilievo in una vicenda sicuramente complessa e grave, il contagio pressoché “totale” della RSA “Santissima Annunziata” di Firenzuola.
Ci sono state polemiche, anche a livello politico, e c’è stata e c’è grande preoccupazione in paese. Ora il dottor Vincenzo Alcaro, direttore della Residenza Sanitaria Assistenziale firenzuolina risponde, con una lunga nota, al comunicato della lista “Bene Comune”. Una risposta che prende in esame le varie questioni sollevate, ricostruisce quanto accaduto e fornisce dati e chiarimenti.
Rispondo all’articolo, che riporta il comunicato stampa della lista “Bene Comune”, apparso sulla vostra testata il giorno 16 novembre 2020 (articolo qui) nella mia qualità di rappresentante legale della fondazione esercente la RSA, ritenendo (fino a più esaustiva smentita) che l’improvvido comunicato avesse come sotteso obiettivo la gestione della struttura nel periodo dell’emergenza pandemica.
Credo che i dubbi e le perplessità che gli scriventi sollevano così come i quesiti che retoricamente pongono tutto possano essere salvo che “spontanei”, perché mirano a supportare la tesi preconcetta che la RSA sia incorsa nella grave ed improvvisa situazione di contagio per non aver rispettato i protocolli sanitari, che essendo responsabile di detto rispetto il funzionario della RSA Di Meo, a questi vada imputata la colpa di quanto avvenuto.
Come mai gli “spontanei” dubbiosi se la prendono proprio con Di Meo. Semplice perché Di Meo quale consigliere delegato alla sanità del Comune è un loro avversario politico, quindi qualcuno che può e deve essere attaccato anche al di là (e prima) di qualsivoglia dimostrazione di una sua responsabilità, che bontà loro si augurano venga acclarata quanto prima dagli organi competenti per suffragare “ex post” il loro malcelato pregiudizio.
Leggiamo infatti nel comunicato:
“Sorgono spontanei dubbi e perplessità su eventuali carenze e/o ritardi nelle attività di prevenzione della diffusione del virus e di tempestiva rilevazione dei problemi (attività di screening, rispetto dei protocolli….) si cui speriamo e ci auguriamo che gli organi competenti facciano chiarezza anche riguardo ad eventuali responsabilità.”
Consapevole della strumentalità delle domande (evidenziate nel comunicato a stampatello), provo comunque a rispondere ad esse per proporre alcuni spunti di riflessione e per tentare di aprire possibilmente una discussione seria con chi, interessato all’ accaduto, intenda sottrarsi all’abusato salottiero battibecco polemico che riterrei non più compatibile con la gravità della situazione nella quale da nove mesi ci stiamo dibattendo.
1) La prima domanda è come mai si sia sviluppato un focolaio in una RSA che dovrebbe essere super controllata. Vorrei sgombrare preliminarmente il campo che non deriva da una improvvida scelta datoriale di risparmio sui costi dei DPI (dispositivi prevenzione infortuni), perché i focolai colpiscono anche aziende ospedaliere pubbliche (vedi recentemente il reparto chirurgia di Borgo San Lorenzo), ove non si lesinano certo risorse per i dispositivi di sicurezza: del resto nella nostra RSA anche in queste ultime due settimane che siamo gestiti dall’ASL con fornitura in abbondanza di dispositivi di sicurezza, un ulteriore 25% circa delle unità di personale inizialmente negative sono nel frattempo divenute positive.
A mio avviso il contagio colpisce le RSA perché in esse, per quanto si possano rendere impermeabili rispetto a contatti con visitatori o parenti degli ospiti e/o con fornitori ecc…., entrano ogni giorno decine di dipendenti (nel nostro caso oltre cinquanta ogni due giorni) che provengono dall’esterno dove fanno una normale vita sociale (incontrano parenti/amici, fanno la spesa, portano i figli a scuola, prendono mezzi pubblici, frequentano ambulatori medici, vanno in vacanza ecc…): relazioni e rapporti che certo non possono essere limitati (salvi i periodi di vigenza di provvedimenti a carattere generale restrittivi di alcune delle attività sopra dette).
D’altronde è ovvio che la RSA non può fare a meno di detto personale perché l’attività di assistenza e cura va prestata quotidianamente, anche più volte durante la giornata, per cui la eventuale compressione o sospensione di dette attività lavorative verrebbe a pregiudicare immediatamente e direttamente il diritto alla salute (per non dire in taluni casi anche il diritto alla vita) degli ospiti della RSA, stante il loro grado di completa dipendenza da chi li assiste.
Non a caso il tipo di servizio reso nelle RSA è considerato essenziale, e il diritto dei lavoratori (per esempio allo sciopero) ancorchè costituzionalmente riconosciuto, sopporta nelle RSA (come negli ospedali) delle limitazioni, per cui non tutto il personale (nella nostra RSA massimo il 50% per esempio) potrebbe abbandonare il lavoro per esercitare il diritto di sciopero.
Faccio questa considerazione per evidenziare che di fronte al diritto alla salute di persone assolutamente non autosufficienti, altri diritti (per esempio quelli dei lavoratori) potrebbero essere suscettibili di un qualche contemperamento per non pregiudicare il primo.
Ancora. Diversamente dalle normali regole anti covid che valgono per gli altri lavoratori, per gli operatori sanitari quando uno dei propri familiari conviventi risulti positivo è stabilito eccezionalmente che non possa rimanere a casa in isolamento fiduciario ma debba continuare a svolgere il proprio lavoro: quindi diversamente da altri lavoratori all’operatore sanitario non si applica la ipotesi di “caso sospetto”. Questo se si riflette significa almeno due cose.
La prima è che il decisore politico facendosi carico delle priorità in gioco pospone l’interesse specifico alla salute del lavoratore e dei suoi colleghi (nonché di tutti quei cittadini che involontariamente potessero durante il tragitto casa-lavoro venire a contatto con lui) all’interesse alla salute dei destinatari (soggetti fragili) della sua attività lavorativa. Ricordo che nella primavera scorsa questa preferenza della tutela degli interessi dei secondi soggetti rispetto a quelli dei primi si era spinta in un primo momento fino a prevedere – mi pare nelle linee guida regionali – che gli operatori sanitari positivi (ma asintomatici) dovevano permanere al lavoro.
La seconda considerazione è quella che stabilendo la priorità di cui sopra implicitamente allo stato attuale il collega di un operatore sanitario (e/o un ospite) risulterebbero paradossalmente più a rischio di esposizione al contagio rispetto ad un lavoratore (e/o cliente) per esempio di un ristorante, albergo, ufficio pubblico ecc…, perché nel primo caso si ammette la entrata al lavoro di un lavoratore che abbia un congiunto positivo a casa, mentre nei secondi casi no. Quindi forse non sarebbe del tutto vera la opinione comune che un presidio sanitario come luogo di lavoro sia di per sé più impermeabile al contagio rispetto ad un diverso altro luogo di lavoro.
2) Se il virus è entrato in RSA perché non si può fare a meno di farci entrare il personale per assistere gli ospiti questo darebbe una spiegazione anche alla seconda domanda: perché cioè il contagio si è sviluppato simultaneamente su tutti e due i piani. Una parte del personale infatti (gli infermieri, i fisioterapisti, il personale, il personale jolly, quello notturno e dei servizi generali) opera indiscriminatamente con gli ospiti di ambedue i piani.
2.1) Escluderei che il contagio possa essere provenuto da visitatori/parenti degli ospiti o da fornitori, perché a quest’ultimi dal 10 Marzo 2020 è stato interdetto l’accesso alla RSA e perché sempre dalla stessa data erano state interrotte le visite dei parenti, permettendo, solo su appuntamenti prenotati, incontri (massimo mezz’ora) con gli ospiti attraverso una parete di vetro dotata di interfono. E questo regime è proseguito anche per tutta l’estate, anche quando cioè una inopinata “apertura” agostana dell’allora assessore regionale alla sanità permetteva alle strutture la possibilità di far andare gli ospiti per qualche giorno anche a casa dei parenti, salvo produrre al rientro un’autocertificazione sui soggetti con cui erano stati in contatto.
2.2) Escluderei infine che il contagio sia intervenuto per una sottovalutazione e/o ridotta applicazione delle misure precauzionali da parte del personale, perché i nostri protocolli sono stati anche più rigorosi rispetto a quelli consigliati: per esempio la misurazione della febbre degli operatori non interveniva solo ad inizio turno, ma anche a metà turno (dopo 3 ore). Il problema è che tutti i nostri dipendenti, risultati positivi nei giorni (4 -5 Novembre) del primo tampone, erano asintomatici. Non solo ma il 20-21 ottobre (insieme a tutti gli ospiti) erano stati sottoposti allo screening rapido del prelievo di sangue con il pungidito ed erano tutti (dipendenti ed ospiti) risultati negativi. Ciò nonostante, tra il 5/11 e il 7/11 quando si è fatto il secondo tampone di controllo su 122 soggetti testati, 104 sono risultati positivi: di cui 64 ospiti su 65 e 40 dipendenti su 57.
2.3) Credo che qui si potrebbe azzardare una prima conclusione. Forse di fronte a soggetti fragili in contatto quotidiano con personale che viene necessariamente dall’esterno, il monitoraggio da parte degli enti preposti si sarebbe dovuto effettuare, nell’arco dei nove mesi del periodo pandemico, con campagne di test più frequenti invece delle due svolte (peraltro con test sierologici rapidi), la prima nella seconda metà di aprile e la seconda nella seconda metà di ottobre. Vero è che la terza campagna agli inizi di novembre prevedeva i test sierologici rapidi solo per gli ospiti mentre per i dipendenti si era finalmente passati ai tamponi antigenici, ma a quel punto era troppo tardi perché la diffusione del contagio era già in corso come dimostrato dall’esplosione dei casi, dal 5 Novembre in poi.
3) Nel pomeriggio di venerdì 6/11 la RSA veniva a conoscenza dell’esito della prima tornata di tamponi: gli ospiti risultavano quasi tutti positivi ed il personale non utilizzabile al lavoro si aggirava intorno al 70%. Per garantire la presenza del personale necessario sin dal giorno dopo, invece di affidarsi ad aiuti esterni – per l’improbabile immediatezza della risposta e soprattutto per la scarsa conoscenza delle specifiche fragilità degli ospiti – si richiedeva al Sindaco di emanare un provvedimento emergenziale come Autorità Sanitaria Locale con il quale permettere ai dipendenti positivi asintomatici (che liberamente lo sceglievano) di effettuare il periodo di quarantena in struttura per poter continuare a prestarvi la propria attività lavorativa in aggiunta alla residua percentuale (30%) di personale risultato negativo: questa soluzione permetteva nel contempo, al personale positivo che lo sceglieva, di allontanare dalle loro abitazioni il rischio di esposizione al contagio per i propri congiunti.
Con l’aiuto giornaliero di uno/due infermieri ASL si è riusciti così a tamponare alla men meglio la situazione. Al Sindaco era stata richiesta anche una seconda ordinanza implementativa delle prima che intendeva permettere al personale positivo (asintomatico) che voleva lavorare di poter fare in deroga all’isolamento anche il tragitto casa-lavoro. Il Sindaco ha dovuto successivamente revocare gran parte di essa per l’opposizione del Prefetto, che suggeriva più pertinente rivolgersi alla Protezione Civile. L’appello del Sindaco – al quale si sarebbe unito quello della lista civica di minoranza – sembra palesemente caduto nel vuoto se dopo una settimana nessuno si è fatto vivo, dimostrandosi all’inverso la bontà, efficacia e tempestività della nostra iniziativa.
Si fa fatica perciò anche sotto questo profilo a capire, il perchè di una critica al Di Meo, il quale nella diversa veste di rappresentante della comunità di Firenzuola legittimamente, per tutelarne gli interessi, muoveva rilievi “agli enti superiori”.
4) Vengo infine all’ultima domanda, se cioè i responsabili della RSA si son fatti “un serio esame di coscienza circa il loro operato”. Da come formulata la domanda lascerebbe quasi supporre che si possono fare anche esami di coscienza non seri: forse gli scriventi pensando agli esami di coscienza che abitualmente si fanno loro hanno opportunamente ritenuto di richiederli seri agli altri. La gestione della RSA dipende dallo scrivente sia per le scelte direttamente fatte sia per quelle fatte dai collaboratori ad esse preposti, pertanto allo scrivente va imputata nella maniera più esclusiva ogni responsabilità conseguente a quanto accaduto.
Quindi non appena l’ondata di questo tsunami si sarà ritirata permettendo di trarne un doveroso bilancio, lo scrivente ne darà conto con argomentata relazione al Consiglio d’Amministrazione, affinchè questo possa svolgere la sua istituzionale funzione di controllo sull’operato del direttore, valutando quanto fatto, non fatto o fatto non bene e mettendo ovviamente a disposizione del controllante il proprio incarico, che peraltro da sempre (per contratto) è nella disponibilità del Consiglio.
Il direttore della RSA SS.Annunziata di Firenzuola
Dr. Vincenzo Alcaro
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 20 Novembre 2020
Cara opposizione firenzuolina, faresti bene a fare una cosa per il bene comune…. Tacere! Siete ancora oggi e come sempre dei poveri comunisti!