Uso e abuso dei Km 0
MUGELLO – Uno dei concetti più citati negli ultimi tempi, tanto da diventare un luogo comune, è il Km 0.
La pressione mediatica è tale, che improvvisamente ci sembra possibile affidare la nostra alimentazione esclusivamente ai prodotti del nostro vicino. In tempi di presa di coscienza del problema del mutamento climatico, abbiamo scoperto l’importanza di acquistare e consumare prodotti dello stesso territorio nel quale viviamo per evitare emissioni di CO2 dovute ai mezzi di trasporto e ai sistemi refrigeranti.
Da tempo anch’io controllo la provenienza di ciò che vorrei acquistare e rinuncio alla frutta cilena, argentina e perfino spagnola. Non acquisto agnello neozelandese, agli e cipolle israeliani e limoni del Costaricano sfrontatamente esibiti dalla grande distribuzione ma ho difficoltà con il pesce, per il quale l’origine è celata sotto una vastità di codici.
Ho scoperto che seguire nell’alimentazione il naturale avvicendamento stagionale, consente di praticare una dieta bilanciata e completa di tutto ciò che serve per il nostro benessere. Anche la soddisfazione del gusto è favorita da prodotti che non hanno avuto lunghe permanenze nei frigoriferi e, peggio ancora, che non hanno subito trattamenti chimici di conservazione.
Detto questo, non perdiamo di vista la realtà.
Se nel supermercato è sufficiente la nostra buona volontà per leggere le etichette, al ristorante ( avete notato che nascono ristoranti all’insegna del Km O ?) il cliente non è in grado di compiere verifiche. Prendo spunto da una trasmissione di successo, “4 Ristoranti” di Alessandro Borghese. In ogni puntata, quattro diversi ristoratori della stessa zona, si scambiano una cena nei loro locali e, alla fine, esprimono dei voti.
Ebbene, ogni volta che un ristoratore vanta il Km 0 degli ingredienti usati in cucina e che il conduttore esegue una verifica dell’effettiva provenienza, si scopre che il tonno proviene dall’Atlantico, che le mandorle sono pugliesi, che l’olio ha attraversato in realtà ben tre diverse regioni.
L’apparente slealtà del ristoratore spesso risulta essere soltanto superficialità e fiducia mal riposta nel fornitore. Chi pratica gli acquisti nel ristorante spesso si affida, per motivi di tempo o per la scarsa preparazione merceologica, a un fornitore che da solo provvede a gran parte del fabbisogno food.
La riflessione più interessante è invece quella che riguarda noi consumatori.
Per un ristorante, sarebbe possibile mettere in piedi un menù che veramente garantisca l’utilizzo di prodotti di esclusiva provenienza locale in ogni stagione? Anche a prescindere dalla stagionalità e dalle caratteristiche del territorio nel quale è inserito il ristorante, la risposta è negativa.
Immaginate il Mugello, togliete dai menù pesce, vini, frutta, molte verdure, la passata di pomodoro, la mozzarella …
Il limite non è soltanto nella varietà dei prodotti necessari per comporre un menù che non possono provenire da un unico territorio e in ogni stagione.
Il problema più grande sta nella massa critica delle produzioni e nella distribuzione.
Un ristoratore comune non può contare per la sua offerta quotidiana sul pollo del contadino, non potrebbe averne la quantità necessaria tutti i giorni e recarsi in campagna solo per il pollo e per altri prodotti. Non gli sarebbe fisicamente ed economicamente possibile.
Ai ristoratori serve la costanza dell’offerta, la stabilità della qualità e la consegna sulla porta.
Un ristoratore che aveva incentrato la propria offerta sul menù a Km 0 mi ha confessato che con tutto il suo impegno e nonostante l’antieconomicità dell’operazione, non era mai riuscito a superare il 20% di prodotti del territorio nel contesto dell’offerta del suo locale.
Un altro ristoratore, dal quale avevo apprezzato un’ottima tagliata, mi ha chiarito subito di acquistare carne irlandese per la costanza del livello qualitativo e la regolarità degli approvvigionamenti. E il Km 0? È un criterio importante per gli acquisti alimentari che influenzerà sempre più una parte, spesso importante, delle nostre scelte. Nella ristorazione sarebbe preferibile che, invece di utilizzare la definizione generale di “ristoranti a Km 0” , ci si limitasse a indicare nei menù quei piatti che, orgogliosamente, sono realizzati esclusivamente con prodotti locali. Noi clienti, saremo soddisfatti e riconoscenti per l’impegno e la trasparenza.
Renzo Bartoloni – Esperto in strategia d’impresa
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 9 ottobre 2017
Tra zero e qualche migliaio di km esiste anche una misura più equilibrata, che chiamerei “normale” , quella a due cifre, se invece di km zero stiamo nel raggio dei km a due cifre, cioè entro il centinaio, già la cosa cambia e il consumo di prodotti nostrani già sembra meno un’utopia… a volte certe estremizzazioni riducono le questioni sensate all’assurdo per farle apparire impraticabili, e perdiamo di vista il normale buonsenso.
Articolo interessante che dovrebbe coinvolgere la coscienza di tutti i cittadini. Perché i comportamenti di ognuno di noi sommati, possono far cambiare le cose.
Sulla questione dei Ristoranti, salve le giuste considerazioni dell’autore dell’articolo , mi preoccuperei poco nel senso che la quantità delle merci alimentari prodotte e spostate per i ristoratori, sono ben poca cosa rispetto alla montagna di prodotti alimentari acquistati dai cittadini nei supermercati. E’ su questi comportamenti singoli che potremmo e dovremmo fare la differenza ponendo attenzione alla provenienza dei prodotti.
E sono d’accordo anche sul commento del Sig. Garrisi , dovremmo acquistare prevalentemente prodotti italiani anche se provenienti da qualche centinaio di chilometri.
Il buonsenso vorrebbe poi, e chiudo, che evitassimo per esempio di comprare ciliegie , pomodori zucchini eccetera a Natale. Prodotti stagionali vorrebbe dire anche evitare queste assurdità.