Viaggio nel mondo del Contact Tracing: due volontari raccontano cos’è e la loro esperienza
MUGELLO – L’aumento repentino delle ultime settimane dei casi di positività al Covid-19 ha messo in crisi uno degli strumenti più importanti che la sanità italiana utilizza sin da marzo e che ci aveva permesso, insieme al lockdown, di gestire la situazione nei mesi estivi. Si tratta del contact tracing, la ricostruzione delle catene di contatti di persone positive al virus. Un tracciamento che può avvenire anche in maniera “tradizionale”, intervistando le persone positive e risalendo alle situazioni nelle quali hanno potuto mettere a rischio la salute di persone vicine e provvedendo ad avvisarle.
I numeri troppo elevati dell’ultimo periodo hanno messo in difficoltà questo sistema, perdendo contatti per strada. Per questo motivo la Regione Toscana ha deciso di implementare, attraverso volontari che hanno iniziato a lavorare da questa settimana in tre strutture in tutta la regione per un totale di 500 persone. Nella struttura più grande, in uno dei padiglioni della Fortezza a Firenze, ci sono anche volontari mugellani, che chiameremo Filippo e Carlo per garantire loro l’anonimato, abbiamo intervistato per capire l’importanza di quello che stanno facendo.
Quanto è importante nella lotta al Covid il contact racing?
- Filippo: Il contract tracing è molto importante nella lotta al Covid-19, rende possibile tracciare i contatti tra le persone positive e non, definisce anche le varie possibilità di contagio e le situazioni nelle quali maggiormente si realizza l’infezione. Inoltre parlare con le persone e fargli sentire in qualche modo tutelati li rendi più disponibili (almeno apparentemente) a seguire le norme igienico-sanitarie e giuridiche, sebbene non manchino persone tutt’altro che collaborative.
- Carlo: Ritengo che l’attività di Contact Tracing sia fondamentale, sia per lo scopo stesso del progetto sia perché molto spesso i casi (dunque le persone positive) e la rete di contatti che andiamo ad indagare hanno bisogno di essere del tutto informati su quali comportamenti adottare. La maggior parte delle volte, infatti, le persone sono quasi o del tutto inconsapevoli e spesso viene dato dato loro l’esito di positività dal mmg, ma non viene loro spiegato come comportarsi all’interno del domicilio, anche quando vi sono molti conviventi.
Perchè hai scelto di aderire a questo progetto della Regione Toscana?
- Filippo: Ho scelto di aderire a questo progetto perché è stata la prima occasione per lavorare col titolo di studio che ho conseguito ed in più per poter dare anche un minimo contributo alla società. Ci tengo a precisare che non è un progetto della sola Regione Toscana ma un bando della Protezione Civile a livello nazionale, ogni Regione ha poi avuto libertà di scelta sull’attuazione di questa misura in base alle proprie valutazioni.
- Carlo: Ho scelto di aderire a questo progetto poiché mi è sembrata una cosa importante: infatti, dal primo giorno i nostri responsabili ci hanno fatto capire quanto fosse importante il nostro aiuto e quanta necessità avessero, visto il numero esponenziale di casi e di contatti.
È una cosa che secondo te poteva essere fatta prima?
- Filippo: Trovo innegabile che sia una cosa che poteva essere fatta prima, è una misura di “prevenzione” ciò definisce l’utilità nel metterla in atto in determinate tempistiche, ad ora stiamo agendo come “protezione” su tutta quella rete di contatti che probabilmente attenderebbe una chiamata mai ricevuta per la disposizione di quarantena/isolamento.
- Carlo: Il Contact Tracing è un’attività che viene fatta “da sempre”: la percezione che ho avuto è che da una situaziome “sotto controllo” qual era, è repentinamente divenuta fuori controllo, per quanto riguarda il tracciamento dei contatti. Dunque hanno richiesto il nostro aiuto, in massa. Tutt’oggi so che il bando è stato presentato per email anche dall’Unifi stessa agli studenti, mentre quello a cui ho aderito io era erogato direttamente dalla Protezione Civile.
In cosa consiste quello che fai?
- Filippo: Il lavoro consiste nella ricerca dei Referti di Laboratorio risultati positivi in una specifica area o zona geografica, attraverso la lista dei positivi noi tracciatori li contattiamo uno per uno e viene eseguita un’indagine epidemiologica. Vengono poste loro delle domande per sapere delle condizioni di salute in cui si trovano e del luogo in cui trascorreranno il tempo dell’isolamento, per dare indicazioni comportamentali da seguire nel periodo di positività. Infine ci concentriamo sulle persone con cui è stato a “stretto contatto” il positivo, coloro per cui verrà disposta la quarantena e che contatteremo non appena terminato di registrare tutte le informazioni utili che il positivo ci espone.
- Carlo: La nostra attività consiste nell’utilizzo di un programma, SISPC, e cercare le persone risultate positive al tampone, considerando le persone del giorno precedente e così via. Le domande “standard” che rivolgiamo alle persone (ci sono poi casi complessi che deviano dalla norma) sono: ha avuto già il risultato del tampone dal mmg? (se no, glielo diciamo noi). Valutiamo la reazione della persona e ci accertiamo che possa essere collaborante. Poi chiediamo il motivo dell’effettuazione del tampone (se per sintomi oppure per contatto con un caso). Chiediamo come sta, se ha sintomi, quali e quando sono insorti. Chiediamo se, nell’attesa del risultato è rimasto a casa oppure no, se vive con qualcuno: se sì, chiediamo tutti i nominativi e le date di nascita, inserendoli come “contatti” del caso. Poi passiamo alla parte “educativa”: spieghiamo che finché, ad esempio, gli altri componenti della famiglia non hanno anche loro ricevuto l’esito del tampone (che devono effettuare a 10 giorni dall’ultimo contatto col caso), devono rimanere in quarantena possibilmente separati da caso, quindi stanze separate e bagni separati. Valutiamo se fosse necessaria l’attivazione del servizio USCA oppure di un albergo sanitario. Infine, inviamo per email il certificato di quarantena al caso.
Quante chiamate fai in un giorno? La mole di lavoro è grossa?
- Filippo: Le chiamate sono relative alla quantità di casi, non c’è uno standard. Non tutte le chiamate che si fanno ci prendono lo stesso tempo. Per di più ogni zona geografica ha una quantità diversificata di positivi da chiamare, la città di Firenze o Prato come ovvio che sia ha numeri ben differenti dal Mugello.
Personalmente mi è capitato di fare fino ad un massimo di 7 chiamate a casi positivi e ad ognuno dei loro contatti in un giorno di lavoro, ma ci sono giorni in cui non sono riuscita a farne più di 2. Questo lascia immaginare la necessità di personale utile ad effettuare le chiamate ed il motivo dei ritardi delle telefonate, ritardi che purtroppo dipendono anche dalla refertazione dei laboratori che si trovano massacrati dalla mole di campioni da analizzare pur lavorando h24. - Carlo: I primi giorni sono stati tosti: abbiamo dovuto prendere il via con il programma, ricordare tutte le domande importanti da fare ed i protocolli da far comprendere alle persone. I casi erano moltissimi, non finivano mai.. ed ho notato che la funzione educativa/informativa riguardo le norme di comportamento in isolamento e in quarantena, la rassicurazione e attivazione di servizi (soprattutto per le persone anziane sole) e la presa in carico delle persone con barriere linguistiche sono essenziali e molto difficili. Devo dire però che quasi tutte le persone si sono mostrate gentili e collaboranti, a parte un paio di “il covid non esiste”
“Vorrei aggiungere una cosa – conclude Filippo – Credo che la soluzione a tutto questo problema trovo che siano racchiusi nei concetti di ‘responsabilità’ e ‘rispetto’”.
Andrea Pelosi
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 novembre 2020