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Centrale a biomassa. I dubbi crescono (anche quelli dell’ARPAT)
La zona di La Torre Petrona dove sorgerà l’impianto a biomasse (al centro)
La volta scorsa ho trattato l’aspetto della sostenibilità imprenditoriale di questo progetto. Dei dubbi che l’avvolgono. Prima di tutto l’assenza, ovvero la mancata presentazione, di un “piano industriale di approvvigionamento della materia prima”, la legna vergine, così come era nelle intenzioni della Renovo s.p.a., la società realizzatrice della centrale. Infatti, dai documenti disponibili in quel momento, non si riusciva a capire quali fossero gli appezzamenti boschivi ove ruotare ciclicamente il taglio e, nondimeno, se questa operazione, o solo la ripulitura del sottobosco, potessero essere svolte a costi accettabili per l’impianto di cogenerazione ipotizzato. Dubbi non di poco conto, tutt’altro che dissipati.
Poi, da qualche giorno, è stata divulgata la relazione sulla “conferenza dei servizi” per questo nuovo insediamento produttivo. Oltre cinquanta pagine, fra verbali, dati, precisazioni, integrazioni, schemi e tabelle. Ne emerge un quadro inquietante. Nelle pieghe del tomo, vergato su carta intestata della ormai defunta Provincia di Firenze, estate 2014, con una lettura certo non agevole, i rilievi mossi dall’ARPAT (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, n.d.a.) si rivelano diversi e di varia natura. Anche perché, in prima istanza, sembra che alcuni aspetti critici non fossero stati presi in considerazione dal soggetto imprenditoriale.
Innanzitutto si apprende che la tipologia di biomassa richiesta per l’abbruciamento non consta solo di legno vergine, ma è ampliata alle vinacce ed alla sansa olearia. Tuttavia, nella documentazione, non si trova traccia di alcun contratto preliminare o di preventivo che possano avvalorare l’analisi sulla rimuneratività per l’approvvigionamento del cosiddetto combustibile, la biomassa. Anzi, l’ARPAT, sulla effettiva disponibilità di biomassa a filiera corta, nella misura richiesta, si esprime con precise perplessità, poiché in zona operano già altri utilizzatori della stessa risorsa.
Le osservazioni critiche proseguono con la paventata riduzione delle emissioni nocive, utilizzando questo tipo di produzione a biomassa, che, in effetti, trovano riscontro qualora si debbano sostituire gli impianti di riscaldamento domestico ed industriale alimentati a gasolio e GPL, ma non in aree, come il Mugello, dove da anni c’è la metanizzazione.
L’ARPAT notifica che l’impianto progettuale presentato, risulta particolarmente inefficiente alla conversione energetica della biomassa, mostrando un rendimento elettrico nettamente inferiore a quanto l’attuale (nuova) tecnologia possa realizzare. Un ferrovecchio, insomma.
Poi, il quadro emissivo, la “qualità dell’aria”, proposto dal soggetto imprenditoriale, non è ritenuto sufficientemente cautelativo, sia per il numero di inquinanti riportato nelle tabelle della simulazione, sia per l’esclusione formale di alcune emissioni ritenute, invece, indispensabili, per conferire autorevolezza allo studio.
Inoltre, sempre l’ARPAT, sostiene che la documentazione fornita non risponda alle esigenze valutative riguardo all’impatto dell’impianto sulla qualità dell’aria, né in esercizio (durante il ciclo di produzione), né in fase di cantiere.
Nonostante tutto il progetto ha ottenuta l’autorizzazione alla costruzione ed alla messa in esercizio della centrale a biomassa. Ebbene, di fronte a questo scenario, per i cittadini, non può che prevalere lo sgomento. Anche accompagnato da una sana e comprensibile irritazione. In gioco oltre a considerevoli risorse pubbliche, ai dubbi per la sostenibilità imprenditoriale del progetto, si sommano gli effetti per l’insalubrità del ciclo produttivo della centrale. Con ricadute sul turismo, sulle attività agricole della zona, sul valore degli immobili e soprattutto sulla qualità della vita della popolazione. Per un megawatt “potenziale” di energia elettrica, un pugnello di posti di lavoro, occorre chiedersi se tutto ciò, davvero, ne valga la pena. Ecco, la vanagloria della politica e l’egocentrica velleità di qualche pseudo capitano d’industria con portafoglio pubblico. Purtroppo nient’altro, solo questo. Molto poco.
Gianni Frilli
© Il filo, Idee e notizie dal Mugello, marzo 2015
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