“Ciao Giuliano”, un personaggio al quale Barberino voleva bene
BARBERINO DI MUGELLO – Giuliano Baroni se ne è andato la vigilia di Ferragosto, e la sua mitica bicicletta sarà già appoggiata malinconicamente ad un muro. In qualche modo era la sua casa, la si poteva vedere piena delle cose più disparate: cassette di legno, sacchi della spesa, pali di legno. Una specie di mercatino ambulante dove, al variare delle stagioni, Giuliano assicurava cipolle a mazzi, frutta, o legumi dell’orto che qualche conoscente gli regalava. Negli ultimi tempi, più che pedalare, la spingeva a mano con il suo passo deciso. Lo sguardo torvo, gli occhi che si posavano su ogni cosa in modo sfuggente, aveva un tour fisso in diversi negozi del paese, dove c’era sempre qualcosa per lui. Parlava ad alta voce, Giuliano. C’erano delle “voci” che sentiva solo lui, e alle quali solo lui rispondeva a male parole, con minacce truculente di atroci punizioni. Faceva un pò paura per quello sguardo truce, per la voce cavernosa con la quale proferiva esplicite minacce, che sembravano provenire da un tempo oscuro e remoto, perso nei meandri della storia umana, e per la sua solitudine. Era quasi sempre solo, per il paese. Con il suo passo pesante e gli occhi incavati. A me è sempre piaciuto. Così alternativo rispetto alla società degli uomini “normali”. Chissà cosa sapeva, lui, del mondo e della vita. Chissà quali segreti, quali abissi o nuovi orizzonti gli suggeriva la sua “follia”? Quali mondi lui riusciva a penetrare con la sua vista diversa? Chissà… forse le “voci” misteriose che sentiva erano quelle che provenivano da un Barberino antico e ingenuo, che la sua presenza fisica permetteva di rievocare. Intorno a lui io sentivo un’aurea magica, un misticismo pagano e arcaico, potente e carico di misteri ancestrali. Era un figlio del passato, di un mondo ormai perduto che un cordone ombelicale invisibile legava ancora alla terra. Un dinosauro vivente, condannato dal capriccio del caso a vivere NEL nostro tempo, ma che non poteva, o non voleva, vivere IL nostro tempo. Per noi, cittadini e persone “normali”, inserite nel vortice del tempo presente, fatto di connessioni virtuali, di consumismo compulsivo, di fugaci e superficiali contatti umani, in un mondo sempre più piccolo e malato, Giuliano era un osso di seppia sulla battigia, un monito che ogni volta ci ricordava un passato scarnificato dalla civiltà, dove la terra intesseva un abbraccio forte, primordiale, con gli uomini. Era una specie di “gancio temporale” al quale appendersi, per riconoscere quel tempo perduto, per ritrovarne contezza ed evidenza. Per rendersi conto che una volta esisteva davvero, quel tempo, bastava incontrare Giuliano. Il Ferragosto di quest’anno mi è apparso di un significato diverso, meno frivolo, più angoscioso. Uno spartiacque di una estate lunga ed infuocata, in un “tempo moderno” che inizia a preoccuparci per ciò che troveremo nel futuro, ormai orfani di un “tempo passato” che oggi ci appare più armonico e rassicurante, dal punto di vista dell’equilibrio ecologico. Forse non è un caso che Giuliano se ne sia andato ora. Un tempo è finito, un altro si appresta. Sta a noi, uomini di oggi, far tesoro di quell’osso scarnificato che Giuliano inconsapevolmente ci ha lasciato. Da quella spiaggia lui ci parla. Dovremmo costruire il nostro futuro non dimenticando il lascito del passato, e nemmeno il suo monito. Barberino ha forse compreso il vuoto che oggi lui ci lascia, e risponde con grande partecipazione e nostalgia.
Paolo Menchetti
(Rubrica Dai Lettori – Lettere e Raccontalo con una foto)
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 agosto 2017