Giovani archeologi alla scoperta dell’antico castello di Montaccianico
SCARPERIA E SAN PIERO – La strada che porta al sito delle rovine del castello di Montaccianico, poco più di una mulattiera, sale ripida sulla costa del monte, nel mezzo di un fresco bosco di castagni e querce. Alla fine di luglio, in questa lunga estate torrida, la vegetazione del sottobosco è ancora verdissima.
Un grande spiazzo aperto, ombreggiato da alte querce, mi accoglie una volta superato il cancello di legno che chiude l’accesso agli ultimi metri della strada. La cima del colle è a 560 metri di altitudine. Un varco tra gli alberi permette la visione della pianura mugellana verso sud, 300 metri più in basso, con un colpo d’occhio eccezionale: gli ingegneri medievali sapevano bene dove costruire i loro castelli! Percorro l’ultima parte della salita insieme ad una quindicina di ragazze e ragazzi, studenti e ricercatori della Cattedra di Archeologia Medievale del Dipartimento Sagas dell’Università di Firenze, incaricati dello scavo che vuole restituire il castello alla comunità del Mugello. Il loro campo è in questo spiazzo erboso, dove un lungo tavolo di legno è stato costruito sotto una fila di castagni, e immagino debba ospitare i loro pranzi al sacco.
La dottoressa Elisa Pruno, responsabile del campo, durante la presentazione della sua campagna di scavi 2017, al Palazzo dei Vicari di Scarperia, aveva già evidenziato l’attenzione e la pregevole fattura delle soluzioni adottate nella costruzione del castello. Era evidente, disse la dottoressa, come l’intento degli Ubaldini non fosse quello di costruire al risparmio, ma al contrario adottando attenzioni e tipologie costruttive di ottimo livello, non sempre comuni. Ma ora, grazie a Francesca Cheli e Riccardo Bargiacchi, i due ragazzi che mi accolgono e mi conducono alla visita degli scavi, le parole della dottoressa mi appaiono molto più chiare, rese evidenti dalla possibilità di vederle tradursi nella realtà delle pietre tagliate e squadrate con perizia, dalle canalizzazioni inserite nelle mura e da molti altri dettagli. Gli Ubaldini, i potenti signori di quel tempo, eressero il castello di Montaccianico con il progetto di farne la loro capitale, il centro nevralgico del loro potere, ma anche il luogo dove vivere, la loro dimora personale.
Francesca e Riccardo mi accompagnano, con gentilezza e competenza, attraverso un percorso che mette in relazione le varie aree della sommità del colle attualmente sottoposte a scavi. L’area 1000, l’area 2000, l’area 3000, si dipanano raccordandosi tra loro grazie al paziente, certosino lavoro dei giovani archeologi. Genuflessi e accoccolati sul duro terreno, sembrano impegnati in una sorta di rito di preghiera verso quella terra e quelle rocce, dalle quali emergono come fossero anch’essi terra e roccia, per convincerla a consegnare i suoi segreti nascosti, sotto il lavorìo dei loro semplici strumenti. La loro professionalità e passione mi permette di scivolare in un altro mondo, quello medievale che nel 1306, con l’assedio e la conquista del castello, e con altre battaglie e accadimenti politici e sociali, fu sconfitto dall’avanzata della Storia. La vittoria della Repubblica fiorentina fu uno dei molti tasselli militari e politici che condussero l’uomo dal mondo feudale a quello moderno, attraverso vari secoli ed altre conquiste di civiltà. Montaccianico fu uno di quegli spartiacque che la Storia pone sul cammino dell’umanità, tracciando un filo invisibile ma rintracciabile tra due mondi.
E certo Riccardo ha ragione, quando dice che la Storia la scrivono i vincitori, volendo dire che l’uomo di oggi non è sempre attendibile e infallibile nel giudicare il passato, perché lo sviluppo del pensiero umano, nel passaggio dei secoli, ci rende difficile accostarci e immaginare com’era e come ragionava l’uomo di Montaccianico. Ma è per questo che abbiamo bisogno dell’archeologia, e di persone come la dottoressa Elisa Pruno, di Francesca e Riccardo e degli altri giovani impegnati nello scavo. La loro preparazione travalica la competenza tecnica, sconfinando nella comprensione di quell’uomo scomparso e del suo pensiero, che grazie a loro, arriva fino a noi regalandoci informazioni essenziali per capire meglio non solo chi fosse lui, ma anche chi siamo noi, oggi, e come possiamo affrontare il nostro futuro, per costruire l’uomo che verrà.
Paolo Menchetti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 agosto 2017