Il falegname di Piazzano. Ricordo di Lorenzo Margheri, a cento anni dalla nascita
Alcuni mesi fa, in occasione del funerale di Siro Malesci bravo falegname, ho girato per la Cappella della Misericordia a Borgo San Lorenzo.
Un bel tavolo che serve da altare ha colpito la mia attenzione, gambe a colonna marmorizzate, in alto una targhetta metallica con la scritta: “In memoria di Lorenzo Margheri 1916-1993”.
Il mio grande amico Lorenzo oggi avrebbe avuto cento anni, sono passati cento anni dalla sua nascita luglio 1916. Quanti ricordi!
Di circa un lustro più giovane di lui, avevo frequentato la sua casa, conoscevo bene la sua famiglia, ci legavano il lavoro, la parrocchia l’associazionismo cattolico. Ed allora sono tornato a Piazzano nella sua abitazione dove ho incontrato i figli. Lunga e bella chiaccherata: i ricordi inseguivano i ricordi fotografie, aneddoti, l’inizio di qualche gregoriano!
“Noi Margheri -dice Maria- non eravamo una famiglia ma piuttosto un ordine monastico, vivevamo in un universo ancora teocentrico, quasi medioevale, la nostra vita era scandita dall’incessante lavoro in bottega e dai tempi della liturgia: l’Avvento, il Natale, la Quaresima, la Pasqua. Messe e vespri, processioni e novene, il rosario giornaliero e l’angelus prima di ogni pasto. Il lavoro quotidiano in bottega, quasi un moto perpetuo, si sposava con le preghiere del momento, in alcuni giorni di primavera all’alba anche le rogazioni”.
Ora et labora nel monastero di Piazzano dove Lorenzo è l’abate e la moglie Lina è la madre badessa.
Il figlio, sorridendo, ha confermato il racconto della sorella arricchendolo di qualche particolare, di suo padre ama ricordare la memoria prodigiosa il gusto delle cose a mente, il cantare alla fine di un pranzo importante e dice che: “Lorenzo è stato un grande artigiano, nella sua bottega si è formata una generazione di falegnami ed attraverso il lavoro Lorenzo è arrivato ad intuire i principi del sapere. Infatti una volta in Sicilia, tra le rovine del mondo antico, distende il suo metro a stecca su una grande colonna greca adagiata per terra e misura, da falegname fa quello che secoli prima aveva fatto Brunelleschi a Roma, cerca di capire la misura dei rapporti tra gli elementi della colonna, cerca la proporzione, l’armonia segreta del costruire”.
E dopo questo simpatico incontro a Piazzano ho pensato che anch’io dovevo ricordare al meglio il mio amico Lorenzo.
Due anni dopo la sua morte nel 1995 avevo scritto per la rivista Il Filo un articolo in sua memoria, mi sembra ancora interessante.
Certamente a distanza di venti anni le cose sono un po’ cambiate è morta la moglie Lina, sono morti i suoi fratelli Alfonso e Giorgio grandi falegnami, sono scomparsi altri falegnami che avevano lavorato con lui: Siro Malesci, Renato Landi, Rino Fredducci.
Ma le cose scritte allora mi sembrano sempre valide, vanno ancora bene e le ripropongo alla vostra lettura per ricordare un personaggio non comune: un artigiano della Firenze rinascimentale vissuto nel ventesimo secolo.
Giovanni Mariotti
Dal Il Filo del 3 marzo 1995
A due anni di distanza dalla morte di Lorenzo Margheri, il falegname di Piazzano, alcuni amici comuni mi hanno chiesto di ricordare la sua figura.
Volentieri ho accettato questo incarico. Lorenzo era nato nel 1916 nel comune di Vicchio a Piazzano, vicino alla chiesa, da Raffaello Margheri detto Giovanni Mariotti
tra amici e parenti quando alla fine di un pranzo importante si alzava in piedi e prendeva a declamare: “viveva un contadin eni tempi andati…” e l’inizio di Gosto e Mea un lungo poema in sestine che Lorenzo recitava a memoria. Dopo la guerra si sposa con Lina Paoli.
Agli inizi degli anni cinquanta stimolato dalla famiglia della moglie lascia la fattoria di Sagginale e con il padre Raffaello, il fratello Giorgio il cugino Marino e lo zio Giuseppe impianta una falegnameria al piano terra della casa di Cavallina di proprietà della moglie. Inizia così, dopo vari vicissitudini, l’avventura della falegnameria Margheri di Piazzano.
Nel giro di qualche tempo la bottega si fa un nome, il lavoro è stimato, apprezzato, ricercato. Si producono mobili, porte, finestre, arredi vari con grande passione precisione e competenza.
La falegnameria di Piazzano che giunta al suo apice sarà definita da un amico “l’università del legno”, è una fucina dove molti giovani imparano il mestiere. Lorenzo come un monaco vi lavora dall’alba al tramonto, con la sua spolverina rattoppata molto più simile ad un saio francescano che all’abito di un titolare di bottega.
Il lavoro è vissuto come testimonianza di una profonda fede cristiana, come impegno morale e civile nei confronti della collettività.
Lorenzo ogni tanto amava ripetere: “il lavoro vuol lo stento”, nel senso che il lavoro richiede una dedizione totale, un grande spirito di abnegazione, una condizione di lavoro povera, austera, per cui il manufatto finale può apparire come una preghiera, come la sublimazione di una sofferenza.
Come un antico “pater familias” guida la sua bottega con un certo piglio imprenditoriale che ci ricorda lo spirito protestante. Credo che Lorenzo, pur non conoscendolo avesse fatto proprio il principio luterano del lavoro come sacerdozio totale.
Lavorare bene è come pregare, costruire un mobile, un infisso in modo corretto ed onesto è come pregare. Trasformare il legno, dono di Dio, in bei manufatti usando l’ingegno che il buon Dio ci ha dato è come recitare una bellissima preghiera. Se cantando, come dice Sant’Agostino, si prega due volte, lavorando bene, dirà Martin Lutero, la nostra vita è costantemente sacra.
Per molti anni Lorenzo ha lavorato dall’alba fino a tarda sera segando e piallando legno, arrotando nastri per la sega e ferri per il “toppì”, preparando senza sosta il lavoro per le sue maestranze. Le parole ferie, tempo libero, fine settimana, erano sconosciuti al suo dizionario. Sono state costruite a Piazzano porte, finestre, arredi per chiese, istituti, ville esclusive o semplici abitazioni. Ma ovunque e sempre il lavoro Margheri si riconosce: per la scelta dei materiali, lo spessore del legno, le ferrature, la cura dei particolari, una sobria eleganza delle forme.
Lorenzo è stato una degli ultimi artigiani-falegnami a tutto tondo, come lo sono ancora oggi i fratelli Alfonso e Giorgio, depositari di un antico sapere trasmesso di bottega in bottega fin dal sorgere delle antiche corporazioni fio-
rentine. Un sapere che inizia dalla conoscenza della pianta come e quando tagliarla, la stagionatura del legno, la costruzione degli arnesi per lavorare quando la lavorazione era ancora quasi interamente manuale ed infine la costruzione di manufatti ordinati dalla committenza.
In questo grande amore al lavoro,alla propria bottega, all’etica delle cose, oggi nell’epoca del consumismo assolutamente fuori luogo, vi è qualcosa che viene da lontano, qualcosa che affonda le radici nelle antiche corporazioni della Firenze medievale, quando gli artigiani erano protagonisti ed artefici della vita di una grande fabbrica in forma di città.
Lorenzo è morto due anni fa nella sua casa di Piazzano dopo una lunga malattia, assistito con grande amore dalla moglie. E’ stato per tutti noi che l’abbiamo conosciuto una grande perdita. La nostra barca ha perso un albero maestro. Però questo albero ha lasciato un grande patrimonio di frutti. Un patrimonio di conoscenze artigianali, il suo mestiere che ancora oggi vive in tante botteghe sparse per il Mugello. Un patrimonio morale assai grande: l’esempio di una vita spesa tra il lavoro in bottega, la preghiera, l’impegno in parrocchia e presso la Casa di Riposo di San Carlo.
Lorenzo ha vissuto come un monaco avendo fatto proprio il motto benedettino: ora et labora”. Ma c’è una frase che forse meglio di ogni altra citazione rispecchia fedelmente la sua vita, una frase di San Paolo fatta propria dal mondo protestante e che recita: “la carità ci impone il fare al meglio ciò di cui siamo capaci”.
Giovanni Mariotti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 1 agosto 2016