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La Libia e noi…
Gianni Frilli ci invia una riflessione che stavolta va oltre le consuete tematiche mugellane. Ma ogni tanto fa bene anche andare oltre i nostri Appennini… E volentieri la pubblichiamo. Del resto questo spazio vuole sempre di più essere un luogo dove ci si scambiano idee, ci si confronta, si critica e si propone, nella massima libertà.
Una seria minaccia
Quando il Conte Guglielmo Pecori Giraldi, “mugellano”, generale dell’Esercito Italiano, alla testa di una parte delle truppe di spedizione, mise piede sul suolo della Tripolitania e della Cirenaica, allora dominio dell’impero turco ottomano, lo spirito era quello di allargare i confini nazionali ed offrire nuove prospettive di benessere e di crescita al proprio paese. Ottobre 1911, governo Giolitti. Certo, fu un’operazione di colonialismo. A posteriori, con il senno di poi, degenerata, nel corso degli anni di occupazione, fino all’infamia, per i crimini commessi, gli eccidi e le deportazioni. Dall’entusiasmo per la conquista della cosiddetta “quarta sponda”, al disinteresse per “lo scatolone di sabbia”. In queste due definizioni sono concentrati strategia, competenza e lungimiranza della politica estera italiana, ancorché di quei tempi.
Il passare degli anni, il cambio dell’ordinamento statale, da Regno a Impero, di nuovo a Regno, infine a Repubblica, non ha migliorata l’immagine che offriamo al mondo che ci circonda, per le questioni internazionali. La nostra politica estera è ancora ostaggio dell’incertezza fisiologica che attanaglia il pensiero della classe di governo. Un dato di fatto che ha interessato tutti gli esecutivi che si sono succeduti a palazzo Chigi ed alla Farnesina. Il difetto atavico della piccola Italia : non si sa decidere. Eccoci, così, al trionfo della brillantezza più per le scelte mancate, o sospese, che per quelle adottate. E, quasi sempre, anzi senza il quasi, con una tempistica dettata dalle movenze di una lumaca.
Veniamo all’oggi, agli ultimi fatti della cronaca internazionale, alle traversie della Libia. Già. Ormai, da mesi, è ridotta ad una espressione geografica, avendo persi i connotati di uno stato sovrano, ed in balìa della legge amministrata da bande armate. La Libia, ove il precario equilibrio fra rivalità e interessi tribali è stato sopraffatto da azioni di guerriglia e dal terrorismo. Per noi italiani, una minaccia concreta, tutt’altro che immaginifica. Il terrorismo spinto dall’enfasi religiosa, e non dal credo, dettato più da una oppressione che da un sentimento. Proseliti di “guerra santa” che attecchiscono su adepti deboli, disponibili a mostrarsi in una qualsiasi vetrina, compreso il sacrificio estremo, piuttosto che naufragare nell’oblio. La deriva fanatica di una frangia estremista, sicuramente minoritaria, della composita galassia musulmana.
Ho vissuto, per motivi di lavoro, in paesi islamici. Ho avute frequentazioni con credenti integerrimi e con atei, altrettanto fondamentalisti nell’esserlo, di quei luoghi. Mi sono accorto che tutto il mondo è paese, ove il lavoro ed i rapporti di amicizia vanno oltre il professare una qualsiasi religione. Per questo dico che sia da combattere il terrorismo, indipendentemente dal credo, e sono convinto che questo, mai, reitero il mai, possa imporre uno stile di vita o essere assurto ad ordinamento di una nazione.
Aggiungo, poi, quando c’è da intervenire, in difesa della sicurezza di uno stato, di una popolazione, lo si faccia con una strategia chiara, senza ambiguità. Non occorre una nuova crociata in nome della vendetta, ci mancherebbe. Ma certamente nessuna indulgenza. Sibbene, è tempo di decidere, al pensiero segua l’azione. Diversamente guardiamo, commentiamo, sentenziamo, qualcun altro, forse, ci penserà. E noi continuiamo il dibattito, sommersi da fiumi di parole.
Gianni Frilli
© Il filo, Idee e notizie dal Mugello, 24 febbraio 2015
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