Marianna, 102 anni, si racconta e racconta Barberino tanti anni fa
A venirmi incontro, in fondo piazza, è Giancarlo Cecchi, il genero di Marianna, che si è proposto aiutarmi con la storia.
Mi accoglie con un bel sorriso e con un:“Allora fistiona?!”che usa sempre quando mi incontra per le vie di Barberino.
Ho scelto di parlare di Marianna perchè non solo ha 102 anni portati benissimo, ma per la sua enorme forza di spirito, la scintilla che si vede ancora se la guardi negli occhi.
Marianna è una maestra di sopravvivenza. Parliamoci chiaro; di storie sulla miseria e sulla povertà ce ne sono e, purtroppo ce ne saranno tante; ma il modo in cui lei ha superato la guerra, la fame e le difficoltà, il modo in cui ancora oggi Marianna sorride e si approccia alla vita meglio di come farebbero tanti giovani, la contraddistingue.
Entrata in casa, mi trovo di fronte un piccolo salotto, un televisore acceso e una stufa per riscaldare l’ambiente. Vicino al tavolo, piccina piccina e vestita di un pigiama blu elettrico, c’è Marianna, che non appena mi vede entrare, mi sorride spontaneamente, mentre mi studia, cercando di richiamare alla mente chi io possa essere.
Mentre ancora mi guarda, esordisco con un “Sono quella di Davide! (mio fratello, noto a Marianna)”. A quel punto, richiamando alla mente la parentela, Marianna mi sorride ancora di più e mi dice : “Ecco, mi parea di conoscilla!”
Mi siedo, e le chiedo : “Marianna mi racconti di quando eri giovane?”
“Quando ero giovane?! Ero una disgraziata… stavo pe i’corso da i’Giuntini e s’aveva una famiglia povera, perchè la mi mamma era vecchia e in più v’era un fratello e tre sorelle. Una la mi sorella morì in tempo di guerra il 14/18, il babbo invece mi morì pe’ la grande malattia… anche chesto tu vi sapere?”
“Tutto Marianna, voglio che tu mi racconti tutto!” , le rispondo
“La spagnola, ebbe la spagnola” aggiunge Giancarlo.
“Eppoi mi morì un fratello a cogli le mele a’i Cerreto, e una sorella a 19 anni. S’era sei, sei ne fece la mi mamma e due ne morirono”
“Ma miseria chenn’avevi?” chiede i’ Cecchi.
“Miseria se la s’avea? Certo che ci se l’avea, e tanta anche! E si faceva di molto male! La mi mamma andava a cercare… come la si chiama quella che la si mangia? L’insalata! La partiva pe’campi e la cercava di rivendilla. Quando un l’avea finita la portava a casa, e la si mangiava. Dopo vennero e i marroni, e co’i marroni si mangiava un po’ di più. Mi ricordo quando si diceva: ‘Mamma che si mangia a pranzo?’, ‘I marroni’, ‘E a cena?’, ‘Le ballotte’. Poi venni giovanina e andetti a cogli prima le ballotte e poi le mele, a’i Rotone, pe’vedere di guadagna’ qualcosa. Una volta cascai e sento male ancora… E lo sai quando si tornava a casa la mamma icchè ci diceva?
Io gli diceo: ‘Senti mamma, io oggi ho mangiato solo mele, ma icchè c’è da cena?’ e lei rispondea:’se hai mangiato le mele basta, un c’è nulla, bellina!’
Una sera, un s’avea nulla un’attra volta, quindi dissi alla mamma:’Andiamo a chiedere a zio qualcosa’. I’ mì zio gl’era un contadino; la mia zia era buona, i mi’ zio invece diceva: ‘Troppe volte vu’ venite!’ Sicchè gli si andava alla porta piano piano, si bussava, e se v’era i’mi zio un gli si chiedea, se apria la zia gli se ne chiedeva un pochino. Allora così e si cenava”.
“Accidenti, ma ogni tanto facevate così” le dico.
“Sie meglio..” mi risponde.
“I su fratello..” interviene i’Cecchi “Morì dalla miseria”.
“Eppoi i mi’ fratello venne la Todde..” inizia Marianna.
Non capendo, i’Cecchi mi spiega: “L’era la linea Todt: i tedeschi fecero la linea Maginot in Francia, e la linea Todt in Italia. Alla Futa fecero dei fossoni per non fa passar i carri armati”.
“E allora i mi fratello andava lì a lavorare; ma quando partia di casa unn’avea mica nulla da mangiare, poerino, e un s’avea nulla da dagli. Gli si diceva:’Lungo la via tu troverai qualcosa’. Quando tornava e chiedeva se c’era da mangiare e gli si diceva che s’avea solo ballotte, lui diceva ‘Oh mamma un posso mica andare alla Todde a piedi e tornare e mangiare solo ballotte!’. Insomma, fai,fai, fai.. perchè poerini, da mangiare un se n’avea, e ci si vergognava ad andare a chiedillo.
Eppoi venni malata e venne il dottorino alla farmacia, ero bell’e grande. Il dottorino disse: ‘Se tu gli dai un ovo i’ giorno bene, sennò te la mando a Pratolino’, e la mi mamma mentre si venne via la mi disse ‘Marianna zitta!’, perchè c’era un fattore all’Erede che gl’era bono, quindi la mi ci portò.
‘tu gli dai un ovo i’ giorno e un po’ di vin santo, allora la ti può guarire’ disse il dottorino.
‘E chi me li da i sordi?’ disse la mi mamma.
Allora la mi portò da’ i fattore e la si raccomandò. Pe’ tre giorni mi dette un ovo fresco e una cosina di vin santo, e io mi sentio un po’ meglio. Ma dopo un po’ un potea continuare a dammile.
Insomma, da ultimo mi mandarono all’ospedale, e mi tennero 4 mesi. Poi ebbi la tiroide, ebbi un sacco di problemi. Pesavo 41 kg, mi ripresi pe’ la guerra perche mangiao cioccolate tutti i giorni.
Poi i’ mi fratello, per fartela cort’e lunga, s’ammalò; gli si finirono i polmoni pe’ la debolezza, dalla fame. Allora si mandò all’ospedale ma gli veddano i pormoni finiti, e un c’era nulla da fare.
E allora mi dicea ‘Marianna portami a casa’ e la mi Beppa diceva ‘Bisogna ripigliallo questo figliolo, perchè e patisce anche a star lì’. Il giorno che lo si doveva portare a casa, cadde e morì. Meno male il partito ci aiutò a riportallo a casa, perchè si piangea anche perchè un si sapea come riportallo ingiù . Se ci ripenso piango ancora.
Ci dissero ‘si mette lì ( vicino all’ospedale ), c’è un campo santo’, e noi ‘no!no!’
Allora i Comunisti ci dissero ‘Fermi, si viene noi, e si fa un bel trasporto’.
“Perchè loro erano comunisti, raccontagli di quella volta che chiamonno le monache! Che lo conosci Aurelio? Aurelio l’è i babbo della Gianna dì Perugini… e gli insegnava a mettere ì’voto. Ma raccontagliene te Marianna…” dice i’Cecchi.
“No, i’ mi Aurelio era tanto comunista e alla mi’ mamma gli insegnava sempre i primi voti che si fece. Anche perché un si sapeva un corno fa de’ i voti, io un so’ nemmeno stata mai a scola. E ‘nsomma ci insegnava i voti, e la mamma un li volea capire. Senti la gli facea, ma la mi mamma poerina, dalla fame un ce la facea. L’era sai… un po’ rintontita, la unnavea voglia di far nulla, l’era triste. A me la un mi mandò nemmeno a scola…”
“Però la sa leggere e scrivere, anche senza gli occhiali’ dice i’Cecchi.
Curiosa, le domando come abbia fatto.
“Tutto da me, dalla mi’ testa. Alla mi’ mamma gli diceo mandami a scola,e lei mi rispondeva che non aveva i sordi. Allora la mia amica la mi disse ‘Senti, guarda se ti comprano i’ quaderno, e a leggere ti ci insegno io’. Dopo che me l’ebbero comprato, la mi’ mamma la mi mandò a scola, ma la mi disse di quaderno ‘Fa piano che io unn’ho da ricomprartelo’.
Quando mi mancavano poche pagine pe’ finillo la mi’ mamma mi disse che un me lo potea ricomprare sennò un si mangiava. Allora e smisi di andare, ma mi rincrebbe perchè c’andao volentieri. E ‘n più chella e si leticò e un mi fece più leggere i libri. Ma so fa la firma, leggere i giornali e tutto, senz’occhiali.
Insomma una miseria, ora invece piglio i cappuccini, la sera vado a mangiare la pizza, sto bene. Ma la miseria che s’è patito, bellina! Un la raccomando a nessuno, perché ci si vergognava ad andare a chiedere anche i sordi. La mi’ mamma mi diceva ‘Gnamo si va a chiedere a quelle villettine se le ci danno qualche cosa’ e io le diceo che non ci voleo andare, quindi la prendeva un cortello e la ci faceva l’insalata di campo.
Quando finii in ospedale un dottore e mi disse ‘te tu stari proprio bene perché hai mangiato roba genuina e poca’. Io, un so nemmeno che stomaco c’ho, ma di grassi n’ho davvero pochi, un si mangiaha nulla”.
‘ Ma poi la fa tutto ancora, ora un guardare che l’è cascata qualche volta e che la Magdala (la figlia) ogni tanto la la viene ad aiutare, ma l’è autosufficiente, la sta sola la notte’ dice i’Cecchi.
“A me mi importa un corno, mi piglio i’mi cappuccini, mi vo a fare i capelli e se ho da andare ad una visita e ci si veste… e tutti mi dicono,”un tu vorrai mica chiedere accompagnamento?!’ A me un mene importa di nulla, sai! A me mi interessa di star bene e che siamo signori, perchè prima un s’avea nulla… perchè senti, s’avea un letto in cui si dormia in 5, eppoi senza nemmeno e’i materassi, perché un s’avea coicchè pienalli. Macchesse’matto! ora siamo nell’oro. Mi rincrescerebbe altro che di morire, guarda che la notte un dormo per paura di andare in quella buha..”
“Un tu c’hai a andare, t’hai a fa bruciare…” Marianna ride e continua:
“Ti diceo di i’mi’ Aurelio che ci insegnava a votà comunista, insomma, pe’ Natale le monache e sceglieano le famiglie più povere e le faceano andare a pranzo; gli faceano la minestra. Sicchè gli arrivò la lettera anche alla mi’mamma, però gli disse i’mi Aurelio ”un gli da’ i’ voto alle monache poi eh !!’. Però la mi mamma la ci andò perchè facevan la minestra, quindi la si mise una pezzolina in capo, pulita e gli andò.
Quindi gli misero un foglio lì davanti, e gli dissero di firmare – ‘Firmare pe’ la Democrazia Cristiana, dice in sottofondo i’Cecchi’- Ma lei lo sapeva come fare, quindi la si portò a casa anche mezzo chilo di minestra. E quando tornò a casa, da fondo le scale, la ci disse ‘Mettete tutto, perchè v’ho portato la minestra’.”
Quando le chiedo in che periodo cominciò a stare bene, mi dice ha cominciato nel dopoguerra (la seconda) quando suo marito Vittorio, all’epoca parrucchiere, andava nelle tende a fare i capelli ai soldati e con se portava la cioccolata, che spesso rivendeva. Marianna ricorda quasi bene il periodo della seconda guerra mondiale.
“ Però sai che s’aveva, bellina? Come ci si divertia; noi pe’ la guerra ci si chiudeva nelle cantine e si facea le feste. Io dico, ora un vu’ vi divertite mica così. E se mi metto qui a raccontalle tutte… E se ci ripenso rido… perchè le mi prime scarpe, le comprai da i’Corridori. Erano scarpe da ciclista, un mi riuscia nemmeno stare all’impiedi”.
“E il viaggio di nozze?” dice i’Cecchi, ridendo sotto i baffi.
“Il viaggio di nozze? Bello.. e venne il cappellino, lui e i piovano e si preparò tutto pe’ la festa. Si fece un bello sposalizio. E il viaggio di nozze, bello, e s’andette tutti a braccetto fino a i’ campo santo, perchè v’era una spera di sole. Gl’era i’ 7 di gennaio, gl’era anche nevicato, un ci si potea nemmeno mettere a sedere in chiesa, con la mi’ mamma si disse ‘Ci si ghiacceranno un po’ le mele, ma ci si dehe anche sedere’. Oh te, v’era la neve sulle panche…
Insomma, oggi se mi chiedono icchè ci vuole pe’ stare bene io rispondo tutto quanto, anche se a me mi bastano i’ mi cappuccini. Senti, ti dico una cosa, io devo fa colazione a’i barre, poi la sera, quando s’è cenato di andare a’i barre con queste bambine a piglià’i caffè..
Insomma si ripiglia indò s’è perso!”.
E, io che sorrido delle cose estremamente semplici che la fanno sentire oggi una signora, spontaneamente, le dico : ‘Tu fai proprio bene”.
Alessia Magaldi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 7 novembre 2015