“I preti mugellani che ho incontrato, l’unificazione delle due parrocchie a Borgo”: i ricordi del card. Piovanelli
BORGO SAN LORENZO – Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista che il Card. Silvano Piovanelli concesse al direttore del “Filo”, alcuni mesi fa. Nella prima parte aveva raccontato l’infanzia, la vocazione. Ora si prosegue, sul filo dei ricordi, con alcune figure di sacerdoti mugellani, con l’unificazione di Pieve e Crocifisso a Borgo, e con alcune riflessioni, semplici e profonde al tempo stesso.
Eminenza, può ricordare la figura di qualche sacerdote del Mugello?
Sono tanti, davvero, i preti mugellani che ho avuto modo di incontrare. E’ ben comprensibile. Tra questi ricordo Don Lorenzo Baggiani, cappellano al mio paese quando ero ancora seminarista. Aveva una preparazione relativa da un punto di vista culturale, ma ci metteva tanto impegno ed entusiasmo, parlava volentieri delle cose sue. Mi ricordo che tante volte lui prendeva l’iniziativa di parlarmi e di farmi esprimere.
Ma un prete di cui ho ancora un ricordo molto vivo è Don Rodolfo Cinelli: era un brav’uomo, una pasta. Ed era molto affezionato a me. Era un prete che viveva la sua fede, che credeva, con passione. Sapeva lavorare coi giovani. E questo l’ho potuto verificare poi anche da vescovo: ho visto che era un prete bravo che sapeva rispettare la gente, sapeva lavorare con essa e infondere l’ entusiasmo. In più lui ha vissuto la sua vita, soprattutto negli ultimi tempi, accettando con tanta pazienza la sua malattia e l’ha vissuta nella fede, sentendone tutto il peso, ma allo stesso tempo facendosi sostenere dalla fede e dalla speranza.
Un’altra figura della quale mi ricordo bene è il parroco di Faltona, Don Ferdinando Mei. Il pievanone veniva chiamato. Un sacerdote molto buono che sapeva accogliere le persone. Oggi si direbbe all’antica, nel modo di celebrare. Ma dal cuore aperto, capace di entrare in contatto con le persone, capace di farsi carico dei problemi della gente, e capace di ascoltare. Queste almeno sono le mie impressioni dal “di fuori”. La gente gli voleva bene e lui voleva bene alla gente. E voleva bene anche a Borgo, al suo paese: ricordo che tutti i martedì, giorno di mercato, andava a Borgo, in Pieve, e confessava.
A proposito di Borgo San Lorenzo, fu lei a prendere la decisione di unificare le due parrocchie, Pieve e Santissimo Crocifisso…
A me parve allora che fosse la soluzione ideale per un paese come Borgo, considerando che i sacerdoti diminuivano e che che la pastorale parrocchiale aveva bisogno di organizzarsi in maniera ampia, in modo da abbracciare l’intera realtà, mentre la divisione in parrocchie comportava che Borgo fosse diviso in due comunità. Quindi un motivo pratico, ovvero la mancanza di sacerdoti, unita alla necessità di organizzarsi diversamente, ma anche un motivo pastorale: l’unione era la soluzione migliore. La parrocchia può essere più grande ma anche organizzata differentemente: un sacerdote con altri sacerdoti e con i laici che collaborano e partecipano all’attività era sicuramente un assetto migliore.
Fu una scelta difficile e faticosa fare una parrocchia unica?
La gente non è che l’abbia accettata subito, era abituata alle due realtà. Ma a pensarci bene non era che un ritornare alle origini perché i salesiani rappresentavano un gruppo di attrazione specialmente per i giovani, un punto di riferimento per via della chiesa del SS. Crocifisso però la parrocchia era una, al tempo dei salesiani. Soltanto dopo, a causa di una richiesta abbastanza decisa da parte dei religiosi che li sostituirono, gli Orionini, si formarono due parrocchie distinte. Ma la realtà socio-culturale era unica, quindi mi sembrò meglio un ritorno alle origini ed ora ne sono ancora più convinto.
A proposito di laici. Oggi sicuramente sono più coinvolti di ieri… Ma qualche decennio fa i laici impegnati in parrocchia erano critici come siamo oggi?
Io credo che ci sia una crescita di consapevolezza, un uscire dall’accettazione acritica della situazione e da una pratica esteriore. C’è sicuramente maggiore partecipazione e si è sviluppato anche il giudizio critico. Bisognerebbe però che contemporaneamente crescesse in noi quello che è il segreto della comunità cristiana: volersi bene e non mormorare degli altri. Questo tuttavia rimane l’impegno di ogni tempo nella Chiesa, fin dall’inizio, se è vero che persino San Paolo lo raccomandava ai fedeli nelle sue lettere. Segno che il problema della mormorazione c’era anche allora! Altrimenti non lo avrebbe detto!
In tempi passati c’era ugualmente la critica ma la società camminava dentro gli argini alti e sicuri della tradizione. Oggi la tradizione non c’è, o meglio è molto meno influente, c’è maggiore libertà di scelta e c’è un aumento della capacità di giudicare le cose. Come si reagisce dunque? Entrando più profondamente in quello che è il mistero della comunione cristiana, gli apostoli ‘erano un cuor solo e un’anima sola’. Dobbiamo renderci conto che vivere la vita cristiana, vivere la comunione comporta un impegno e una lotta forte, che però fa crescere le persone. Come ad esempio la comunione fra di noi in parrocchia. Non finirò mai di raccomandare alle persone di crescere sempre in quella che l’apostolo Paolo chiama “la stima degli altri”. Stimare gli altri significa coglierne il lato buono, cercare di valorizzarne ciò che c’è di positivo. In questo sforzo nasce la comunione. Se uno vivendo con gli altri, cerca di sottolinearne il lato positivo, facilita il rapporto, si crea la comunione. Io credo che oggi ci sia una maggiore possibilità di male, ma anche una maggiore possibilità di bene…
Poco prima osservava che gli argini della tradizione si sono abbassati… Ma oggi può bastare la tradizione?
La tradizione non va mica disprezzata, va vivificata, bisogna darle un contenuto, e occorre che si scoprano continuamente le ragioni per cui abbiami quella determinata tradizione, sennò non si resiste al domani. Gli argini della tradizione…. A me pare che questi argini, che si possono chiamare con la parola generica ‘tradizione’, adesso siano meno presenti, non scomparsi del tutto, ma che influiscano di meno. Per cui occorre che la consapevolezza diventi più grande. Prima si stava in questo alveo perché c’erano gli argini, ora al contrario, bisogna starci perché siam convinti che questa sia la strada giusta, bisogna fare un lavoro sulla convinzione personale, possibilmente creata però nel gruppo, nella comunità. Io son fedele non per tradizione, ma perché son convinto e il vangelo lo vivo e lo seguo, perché ne ho bisogno per la mia vita. La forza della tradizione è in qualche modo sostituita dalla forza della convinzione.
E soprattutto ci vuole la passione. Avere passione vuol dire credere fermamente in qualcosa, sentirsi coinvolti personalmente, e sentire il bisogno di comunicarla agli altri. Se improvvisamente venissi a scoprire il segreto per guarire dal cancro, con certezza assoluta, immagina con quanta passione ne parlerei! Bisogna pertanto credere fortemente al Signore, al Vangelo, e noi sacerdoti in primis dobbiamo mettercela tutta per dare forte testimonianza. Ed essere positivi, non pessimisti. Il pessimista continua a fare alcune cose rassegnandosi ormai solo a quelle. Questo no, è sbagliato, è sbagliato pensare di non poter cambiare. Si tratta di essere idealisti? Si tratta di credere nel Signore risorto e nella Parola del Vangelo che è spirito e vita.
Dunque per l’annuncio del Vangelo ci vuole la passione della parola di Dio: il credente deve sentirla come un fuoco, che non gli permetta di star zitto, e in ogni occasione che gli si presenti tirare fuori questo fuoco. E se gli viene affidata una comunità ecco allora la realizzazione del sogno: far diventare la comunità un luogo dove la parola di Dio arde sempre, ascoltata e portata a compimento.
Ma in quale stagione della Chiesa siamo oggi? E’ l’inverno che precede la primavera? O c’è già il tepore della buona stagione?
E’ difficile stabilire bene la stagione della Chiesa. Abbiamo alcuni elementi, ma non tutti. Ed è vero che il lavoro dello Spirito all’interno della Chiesa è un lavoro né misurabile, né facilmente scopribile. Ci sono state delle epoche nella Chiesa in cui tutto sembrava sottotono e poi sono venuti fuori un santo o una santa straordinari. Di fronte a un giudizio o a un’impressione di Chiesa negativa, Chiesa addormentata, Chiesa rassegnata, Chiesa compromessa, è importante, a contatto con la Parola di Dio, il coraggio dell’esame della coscienza: per capire quali siano i passi che il Signore ti domanda di fare.
Vuol mandare un messaggio ai Mugellani?
Mettete la Parola di Dio come luce che illumina la vostra vita. Questo è il cuore della nostra vita cristiana e da qui deriva la certezza con cui si possono affrontare tanti problemi. Da qui nasce anche la spinta a crescere nella fede, con la parola di Dio al centro, la parola di Dio condivisa.
( 2 – fine)
La prima parte dell’intervista
Intervista di Paolo Guidotti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 20 luglio 2016