Quando il gatto Ciccino guarì dalla depressione
Fu proprio un brutto giorno quando Ciccino, il gatto della vecchia signora Carmelina, si ammalò di depressione. Se ne stava zitto, ad occhi chiusi, senza ronfare, senza miagolare, senza rispondere neppure con un cenno alle accorate domande della povera signora che non sapeva più cosa fare per risuscitarlo: invano lo invitava a fare una giratina fino al supermercato insieme a lei; invano gli metteva davanti il piattino con mille diverse specialità.
Il pesce no, il coniglio no, i croccantini non se ne parla neppure, le scatolette appena aperte finivano nella spazzatura, insomma, un vero disastro.
“Povero Ciccino- diceva la signora Carmelina alle amiche che venivano a trovarla. –Vedete che pelo appassito gli è venuto? Lo riporterò dal veterinario…”
Ma più gli venivano somministrati ricostituenti ed antidepressivi e più Ciccino se ne stava mogio e rincantucciato al buio,in un angolo della cucina.
Un giorno, presa dalla disperazione, la signora andò a chiedere consiglio ad un’amica che viveva in campagna ed era considerata un’esperta in fatto di animali e di malattie in genere.
Naturalmente aveva portato con sé Ciccino perché l’amica gli desse un’occhiata e giudicasse il giusto rimedio da dargli.
L’esperta lo guardò ma soprattutto sopportò le lamentele di Carmelina e questo le fece prendere una decisione: “Lascialo qui da me per qualche giorno e capirò meglio cosa può fargli bene”.
La signora Carmelina prima disse che mai mai poteva abbandonare il suo Ciccino; poi ci ripensò perché per il suo bene era pronta ad ogni sacrificio, versò qualche lacrima ed infine lasciò il suo tesoro all’amica con mille raccomandazioni.
Così Ciccino, dall’angolo buio della cucina di casa si ritrovò in mezzo all’aia sotto il sole, insieme al gruppo piuttosto vivace degli animali della fattoria che, incuriositi, gli si avvicinarono, cercando di attaccare discorso con il forestiero.
“Ciao – gli dissero per primi i pulcini – Vuoi venire a giocare con noi?”
Ciccino aprì un occhio a fatica e li guardò appena. Poi richiuse l’occhio e si girò dall’altra parte.
Ma i pulcini non si offesero e se ne andarono chiacchierando animatamente tra di loro.
“Noi andiamo al fiume – dissero allora le anatrine. – Siamo delle piccole esploratrici e abbiamo l’intenzione di navigare risalendo il fiume verso la sorgente. Vuoi venire anche tu? Sarai il nostro Grande Capo.”
L’idea di essere un Grande Capo sembrò piuttosto allettante al gatto che aprì tutti e due gli occhi, ma poi gli sembrò tutto troppo faticoso e, borbottando “Non ho voglia, non m’interessa” richiuse gli occhi e fece finta di dormire sperando di non essere più seccato.
Ma non aveva fatto i conti con un intraprendente galletto che venne a guardarlo da vicino e poi cominciò a declamare: “Benvenuto, Eccellenza! La salutiamo con gioia e l’avvisiamo che tra poco, qui, su quest’aia, ci sarà una lezione di canto alla quale La invitiamo a partecipare. Lei, che viene dalla città saprà meglio di noi quanto sia importante e meravigliosa la musica e come essa sollevi lo spirito abbattuto…”
La parola “Eccellenza” aveva fatto il miracolo di svegliare del tutto Ciccino, ma la parlantina eccessiva del gallo gli procurò un senso di soffocamento. Così si ritirò verso il muro e brontolò: “Non m’interessa. “ “Grazie, sarà per un’altra volta” aggiunse poi, vedendo che il galletto era rimasto offeso.
“La musica sarà anche meravigliosa, ma quel benedetto gallo ci rompe i timpani tutte le mattine all’alba” disse a Ciccetto il Maialino che gli si era avvicinato con molto rispetto.”Piuttosto, Lei che viene dalla città sa meglio di me quanto sia importante lo sport! Noi, poveri campagnoli, facciamo quello che possiamo e stiamo mettendo insieme una squadra di calcio… Se Lei volesse essere il nostro allenatore…”
Ciccino cominciava ad essere un po’ disturbato da tutti questi inviti, ma, tutto sommato, aveva sempre meno voglia di restarsene da solo a far finta di dormire.
“Grazie – disse perciò al Maialino – non sono uno sportivo. Però ho visto delle partite alla televisione.” aggiunse per dargli un po’ di soddisfazione.
Fu a quel momento che apparve in cima al muro di cinta che separava l’aia dal giardino, un altro gatto.
Tutti trattennero il fiato: era il signore della Zona, detto il “Pascià” perché possedeva tante mogli e tantissimi figli. Ci sarebbe stata una lotta per il territorio tra i due gatti?
Ma il “Pascià” era di buon umore. “Ehilà, che onore!” gridò rivolto a Ciccino e saltò giù dal muro con grazia ed eleganza. “Morivo dalla voglia di vedere un Professore che vive in città.” disse allegramente. “Sbaglio, oppure ho sentito bene? Hai parlato di televisione? Per favore, informaci sulle ultime novità: politica, sport, arte, cultura…”
Tutti si misero in cerchio intorno a Ciccino che, ormai ben sveglio e ringalluzzito da quel “Professore” che gli suonava così bene all’orecchio, si mise a raccontare e raccontò così bene che arrivarono senza accorgersene all’ora di cena.
L’esperta di animali testimoniò in seguito alla signora Carmelina che Ciccino aveva mangiato insieme a tutti gli altri animali con un certo interesse per il cibo genuino della campagna e nei giorni seguenti si era cimentato, con notevole successo, in giochi, gite, partite di calcio e gare di canto.
Ma soprattutto – come cercò di spiegare in seguito Ciccino alla sua padrona – aveva trovato una grande soddisfazione nel dettare le sue memorie all’amico “Pascià” che gli aveva promesso una buona parola per farle pubblicare sul giornale locale.
Nicoletta Lapi
© il filo, Idee e notizie dal Mugello, maggio 2006