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Stupore, tenerezza, speranza e dono: i quattro passi per fare Natale
Natività, di Marco Lukolic’
NATALE 2020
Una luce che vince le tenebre, ecco il Natale. Un Natale, quello di quest’anno, così particolare con restrizioni e disagi, così buio, così carico ancora di tanto dolore e tanta preoccupazione. Siamo tutti alla ricerca di una luce che si faccia strada a poco a poco nel buio dei nostri giorni. Pensiamo al Natale della Vergine Maria e di San Giuseppe: non furono rose e fiori! Quante difficoltà hanno avuto! Quante preoccupazioni! Eppure la fede, la speranza e l’amore li hanno guidati, sostenuti e illuminati. E perché sia così anche per noi, vi propongo quattro “passi”.
Primo passo: lo stupore. Il primo atteggiamento da avere per gustare profondamente questo Natale è lo stupore. Siamo di fronte a un fatto incredibile, meraviglioso. E’ una cosa grande perché Dio si è fatto Bambino. E mi ricordo di una leggenda che è rimasta molto famosa di un giovane pastore che va lì davanti al presepe, non c’ha nessun dono e vede gli altri che portano dei doni. E ad ogni dono dice: “Che bello! Stupendo!”, col suo “Oh” di stupore. E, poi, sta scritto che qualcuno avrebbe voluto allontanarlo perché la sua presenza sembrava inutile, non aveva nulla da offrire – ieri come oggi chi non ha nulla, non conta nulla – ma la Madonna fece cenno che rimanesse. “Lui ha portato il dono più bello, disse, lo stupore!”.
Senza lo stupore non portiamo a casa il Natale. Io vi auguro in questo giorno o nei prossimi giorni – pensando, pregando, partecipando alla liturgia, guardando il presepe di casa vostra o il presepe delle nostre chiese – di essere commossi da Dio.
Auguro a ciascuno di voi il dono di poter mettere accanto alla parola “Dio” il punto esclamativo. Non il punto di domanda: Dio c’è? Dio non c’è? ma piuttosto il punto esclamativo dello stupore e della gratitudine. Stupore e gratitudine per il nostro Dio che ha preso alloggio nella locanda del tempo. Che non ha voluto camminare sopra i tetti della storia, ma ha voluto camminarvi dentro.
Il Natale ci dice che Dio è l’Emmanuele, che Dio è con noi, che Dio è qui, con noi, ogni giorno. Questo Natale segnato dalla pandemia è un Natale diverso dal solito per tanti aspetti, tranne uno: Gesù è nato. E’ qui con noi! Un Dio così, ad altezza di Bambino, merita sempre e solo stupore e gratitudine.
Secondo passo: la tenerezza. Quel poeta e profeta che è stato don Tonino Bello ha scritto:
“Per vincere le nostre durezze tu, Dio, un giorno hai avuto il coraggio di dare un volto alla tua tenerezza. Un giorno, Dio, hai avuto il coraggio di osare. Di osare Gesù“.
Per vincere le nostre durezze, Dio un giorno ha avuto il coraggio di dare un volto alla sua tenerezza: Egli è venuto come un bambino. Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, ma Egli non vuole la nostra resa, vuole il nostro amore. Vi auguro di “arrendervi” alla forza della tenerezza del nostro Dio, una tenerezza disarmante che ci regala un’immagine di Dio così diversa dall’immagine di un Dio lontano, chiuso nel suo cielo, indifferente agli uomini.
A Natale Dio ci ha lasciato come sua immagine un Bambino. Lasciamoci commuovere – e chi si commuove è salvo – da questo Bambino. Una tenerezza che chiede altra tenerezza. Perché ogni uomo, ogni donna, ha un infinito bisogno di tenerezza, di mani che accompagnino, che sappiano curare le ferite, di occhi con sguardo da amante che sappiano vedere, di cuori che sappiano perdonare, consolare, ricostruire.
Vi auguro di accogliere l’invito alla rivoluzione della tenerezza che il Figlio di Dio ci ha rivolto nella sua incarnazione. Un colore fondamentale dell’amore di Dio è la tenerezza. E se non si sa da che parte cominciare, s’incominci da una carezza. E in questo tempo in cui non possiamo incontrarci ed abbracciarci, accarezziamoci con le parole.
Terzo passo: la speranza. “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia”. “Non temere, non lasciarti cadere le braccia…”. Si sentono spesso queste parole nelle liturgie natalizie. Vi auguro di lasciarle entrare dentro di voi.
Il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer ha detto: “Solo Gesù è il signore della paura: essa lo riconosce come suo padrone, e solamente da Lui si allontana. Per questo nella vostra paura guardate a Lui, pensate a Lui, ponetelo davanti agli occhi, invocatelo, credete che ora sia presso di voi e vi venga in aiuto. Allora la paura svanirà, se ne andrà via e sarete liberi”. Abbiamo tutti urgente bisogno di testarde speranze; il mondo intero ha bisogno di speranza.
Spesso viviamo ore amare e dure ma desidero raccontarvi la gioia di credere in un Dio che a Natale ci consegna una speranza più forte del male, più forte della morte e che ci dice, usando le parole di Charles Peguy: “La fede che preferisco è la speranza. La piccola speranza procede tra le sue due grandi sorelle, la fede e la carità. E il popolo crede volentieri che sono le due grandi a trascinare la piccola per mano. Ma è quella in mezzo a trascinare le sue grandi sorelle. Senza di lei, loro non sarebbero niente. E’ lei, la piccola, che trascina tutto”. Sulla strada che porta da Betlemme al nostro quotidiano, segnato dalla pandemia, è dalla speranza che occorre farsi trascinare.
Quarto passo: il dono. Ci racconta questa triste ma graffiante storia ebraica: Fu riferito ad un saggio rabbì che alcuni affermavano che il Messia fosse già venuto. Egli non rispose ma aprì la finestra e guardò il mondo, poi si girò, scosse il capo e disse: “Se il Messia fosse venuto, il mondo si presenterebbe diverso!”. Gesù non ha cambiato il mondo: è morto crocifisso, e dunque il mondo non è cambiato. Ma ha amato il mondo; questa è stata la sua novità; ha amato questa terra, ha amato l’uomo, ha amato la donna, ci ha insegnato a cambiare le cose da lì. Perché quando c’è amore – amore come il suo – le cose, se pur lentamente, tendono a cambiare.
Mi ricordo un cantautore, mi pare Zucchero, al quale hanno chiesto: “Ma tu credi in Dio?”. E lui ha risposto: “Se credo in Dio? E’ una cosa un po’ grossa ma Lui crede in me”. Ha capito il Natale. E’ Dio che crede in me, che crede in ciascuno di noi presenti a questa Messa e dice: “Ma io credo in te. Tira fuori la scintilla di divino che hai nella tua vita. Libera il divino che è in te”. Sono convinto che in ciascuno di noi ci sia una potenza di amore tale che il mondo ne sarebbe trasformato.
Per questo vi auguro che questa potenza non vada perduta, dimenticata, sciupata, congelata. E anche se le nostre brocche sono screpolate, dobbiamo essere portatori e donatori dell’acqua viva della gioia, della speranza, della giustizia, del perdono. Ecco, tocca a noi. Il vero regalo di Natale siamo ciascuno di noi. Se abbiamo capito questo, abbiamo capito che Natale è la festa del dono: Dio ci regala se stesso in Gesù di Nazareth e ci invita a regalarci l’uno all’altro. In un libro interessantissimo di Alessandro D’Avenia, “Ciò che inferno non è”, c’è un dialogo fra Federico, un giovane molto intelligente, e il professore delle tre P, Padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 Settembre 1993:
“Padre, non si sente solo?”. “No, non mi sento solo; la mafia è forte ma Dio è onnipotente”. “E, allora, perché Dio non fa nulla?”. Don Pino rimane in silenzio. Mi sorride. Mi fa cenno con la mano di avvicinarmi, come se volesse confidarmi un segreto. “Una cosa l’ha fatta”. “Cosa?”. “Te e me”. Il vero regalo di Natale per gli altri, siamo ciascuno di noi.
Conclusione. Mi ha incantato un aforisma dello scrittore e cantautore Gio Evan: “Il segreto è questo. Bisogna diventare le due “E”. Quella con l’accento, per essere e quella senza, per unire. Questo è il nostro compito ed è il mio augurio: costruirci come persone che sanno essere, esserci come presenza luminosa e che insieme sanno unire. All’insegna del Vangelo, del nostro papa Francesco che non rinuncia mai a ricordarci che siamo “fratelli tutti”, all’insegna del Natale. Noi con questo Bambino, nato da questa donna ebrea, Maria, che è Figlio di Dio, noi con Lui cercare di portare nel mondo qualche briciola di amore in più.
Don Luciano Marchetti
Pievano di Borgo San Lorenzo
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