DAI LETTORI – Ancora una replica critica all’articolo “Quote rosa e vocabolario”
MUGELLO – Le riflessioni in merito all’utilizzo di vocaboli al maschile e al femminile per diverse professioni, avanzate da Gianni Frilli nel suo articolo “Quote rosa e vocabolario” hanno suscitato un bel dibattito. Adesso ci scrivono, in modo critico, altri lettori. Ecco il loro intervento, e la risposta di Frilli.
Il recente articolo “Quote rosa e vocabolario” apparso su Il Filo sembra rientrare nella categoria delle esternazioni sconfortanti per il progresso della società, sia a livello sociale sia a livello grammaticale. L’autore denigra in poche righe un momento importante del processo di parità di genere adducendo motivazioni di carattere linguistico, che non sembrano però essere state indagate davvero a fondo. Si prenda la lista di vocaboli usati indistintamente la cui “pronuncia evoca il femminile”, come dice l’autore. Fra quelli citati se ne riconoscono facilmente alcuni che derivano direttamente dal latino e che sono, ora come allora, sostantivi maschili. Si possono citare ad esempio poeta (il cui femminile è poetessa) e artista, o le varianti di -nauta (astronauta, Argonauta). Sono parole che da millenni si presentano in questa forma. Fra gli altri esempi elencati nell’articolo si ritrovano in gran numero parole derivate da altre lingue, che l’italiano ha assunto a proprio uso, e non hanno quindi subito il processo di trasformazione delle parole di origine latina. Ad esempio maratoneta, pilota e atleta derivano dal greco; spia dal gotico; guida dal provenzale; sindacalista e giornalista dal francese; tennista e ciclista dall’inglese. Sono parole a cui è stata data una sonorità italiana, ma, esattamente come ai giorni nostri accade con computer, password, welfare, mobbing e via dicendo, il genere della parola è dettato solo dall’uso. A questo insieme di parole che non prevede una declinazione è possibile aggiungere anche quei sostantivi che derivano direttamente dal participio presente delle forme verbali: rappresentante, consulente, insegnante e quindi anche presidente. Sono sia maschili sia femminili perché indicano colui/colei che compie l’azione. Quindi l’onorevole Casellati giustamente si fregia del titolo di Presidente del Senato; ma compie un errore di grammatica basilare chi si ostina a chiamarla “il Presidente del Senato”, perché, come a tutti hanno insegnato già alle elementari, l’articolo si accorda con il sostantivo. E dato che “presidente” è anche un sostantivo femminile e l’onorevole Casellati è una donna, l’unica forma grammaticalmente corretta per citarla è “la Presidente del Senato”.
Passiamo alle motivazioni e implicazioni sociali. L’uso delle declinazioni al femminile dei titoli, dei ruoli e delle professioni non è un esercizio eufonico: una parola non deve “suonare bene” per essere accettabile; una parola è accettabile quando veicola un determinato messaggio. Il messaggio è inequivocabile: a svolgere quella mansione è una persona che si riconosce nel genere femminile. La questione non è solo “di principio” e va oltre la “battaglia di emancipazione”: il punto è il riconoscimento e il rispetto, professionale e individuale. Molte di queste parole non hanno mai visto prima la loro declinazione femminile perché indicano ruoli della società che negli anni o secoli addietro sono stati preclusi alle donne. Sindaco, vicesindaco e assessore si sono sentiti per lunghissimo tempo declinati solo al maschile perché non era possibile che una donna ricoprisse quei ruoli. Ora lo è, fortunatamente; non c’è quindi motivazione alcuna per non cominciare a usare sindaca, vicesindaca e assessora (e ministra, viceministra e sottosegretaria). Non sembra un “esercizio linguistico improbo” e, al contrario di quanto afferma l’autore, solo la giusta e consapevole declinazione rispetta davvero il merito. Il merito di quelle donne che nonostante tutto hanno raggiunto una posizione professionale a cui molte loro sorelle, madri e nonne nel mondo non possono nemmeno aspirare. Nonostante tutto -nonostante lo svantaggio sociale sin dalla partenza, in una società che continua a limitare la loro sfera d’azione, che continua a usare a sproposito e con condiscendenza “quote rosa” e “gentil sesso”, che si spaventa all’idea di dover “riscrivere il dizionario dei ruoli”, che teme di “annaspare in un labirinto di vocali e suffissi”, che persevera in un comportamento che mina la parità tra le persone e che non costa nulla abbandonare, se non la perdita di uno sterile privilegio- nonostante tutto questo, quelle donne hanno raggiunto una posizione sociale ed è sicuramente una fatica minima, rispetto a quella che loro hanno dovuto affrontare, quella di chiamarle col titolo che loro spetta. Si tratta di una fatica minima ma fondamentale, per il bene della lingua italiana, continuamente bistrattata; e soprattutto per il bene delle donne di domani, perché le nostre figlie crescano con la consapevolezza che potranno rivestire qualsiasi ruolo sociale vorranno.
Chiara Mugnai, Eleonora Falchi, Elisa Rolleri, Francesco Calamai
Risponde Gianni Frilli:
Ringrazio per il vostro commento. Lo ribadisco, parere per parere, il vostro, il mio. Tuttavia non accetto che quanto ho scritto sia considerato denigratorio. Fra l’altro, non c’era bisogno della vostra ricostruzione didattica sulla derivazione delle parole, che non aggiunge niente alla stato di fatto sull’uso corrente delle parole, con l’occhio sul dizionario contemporaneo. L’esempio della Presidente del Senato è lampante, la stessa mia interpretazione, Presidente resta tale senza cambiare vocali o aggiungere suffissi. Perché non farlo anche in altri casi? Sicché le vostre sono delle aspirazioni, legittime e anche nobili, ci mancherebbe, che per essere validate, mi ripeto, devono trovare fondamento nella riscrittura di un aulico dizionario dei ruoli e delle professioni. Ammesso che serva e che sia davvero fondamentale. Del resto potrei ricordarvi come in altre lingue non esista la distinzione fra maschile e femminile. In ogni caso, sgombriamo il contenuto da ogni riferimento allusivo che mini la parità tra le persone e il mancato rispetto verso il prossimo. Nel mio articolo non vi era alcuna traccia verso tutto ciò. Chiudo. Per motivi di lavoro ho collaborato con svariate professioniste tutte volitive nel mantenere il proprio titolo o ruolo, più determinate nel far valere la meritocrazia alla lingua. Ancora grazie per il vostro intervento.
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 marzo 2021